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Perché odio il digitale, o è lui che odia me
Perché odio il digitale, o è lui che odia me
di [user #51340] - pubblicato il

Kemper, Fractal, Headrush, Helix, Neural, rappresentano lo stato dell’arte della moderna tecnologia digitale. Pur avendo provato praticamente tutto quello che il mercato propone, c’è qualcosa che mi fa sempre tornare a usare amplificatori e pedali singoli e vi stupirà sapere che non è un problema di sound e valvole!
Potrei glissare, tenermelo per me, alla fine il digitale è una rivoluzione che prima o poi tocca tutti, no? I’m a digital men in a digital world, adoro la tecnologia e tutto ciò che è automatico o automatizzabile, eppure quando si tratta di suonare, il mio amore per il digitale si affievolisce e va quasi a sparire.

A tratti nella mia vita di chitarrista ho provato varie volte a tuffarmi completamente nel digitale. Il primo approccio è stato con una tremebonda Digitech RP100, una piccola pedaliera con svariati difetti, perfino per l’epoca in cui è stata messa in commercio. L’unico suo punto di forza era il costo. Presa usata per pochissimi euro, mi ha traghettato verso l’amore smodato per gli stompbox che mi ha portato a comprarne e vendere a centinaia. Programmare e salvare una patch, però, era un’impresa titanica.



Il secondo tuffo nel digitale è stato quasi 10 anni dopo con una Zoom G5. La situazione era decisamente migliore per quanto riguarda i settaggi e i salvataggi. Alla fine le differenze tra la Zoom e la RP100 son le stesse che ci sono tra un 747 e un Cessna 172. Il problema però, per me persisteva. Avevo difficoltà a regolarmi coi volumi nei live, differenze di presence nei suoni. Perfino il Roland GR55, una macchina straordinaria, ha preso la via della vendita dopo pochi mesi.

Parlando qui su Accordo con gli haters del digitale, ho notato che la maggior parte di loro non lo sopporta per via della mancanza del “calore delle valvole”, per il suono, insomma, il feeling del vecchio e caro analogico (salvo magari avere comunque in pedaliera due o tre pedali digitali).

Io sono di tutt’altro avviso. I suoni che si producono con i moderni sistemi digitali sono pazzeschi. Chi non ci crede può dare un ascolto ai suoni che Gianni Rojatti spreme dal Kemper e dalla sua vecchia Zoom G3, oppure quelli di Vince Pastano e la sua Helix, per non parlare di Max Rosati che con il Kemper ci fa veramente di tutto!



Gira che ti rigira, alla fine ho capito che non odio il digitale, è il digitale che odia me!

Arrivati fin qui vi starete chiedendo perché Burats ha deciso di farvi fare questo bel paiolo di cavoli suoi. L’intento non è far ricredere gli amanti delle valvole riguardo il digitale. Per loro non c’è cura, o meglio, la cura è sempre una e una sola: una Plexi, a cannone (una vera goduria).

Mi rivolgo a quelli che come me provano e riprovano a sfidare il digitale, restando sempre con l’amaro in bocca, finendo irrimediabilmente per rivendere la pedaliera dopo poco. Probabilmente, come Burats, siete PROFONDAMENTE PIGRI.

Esatto, la pigrizia è ciò che mi ha fatto scontrare, perdendo sempre miseramente, con il digitale. Prendi il TS9, lo metti davanti all’ampli, alzi il volume. Per tirar fuori una ciofeca di suono devi essere veramente uno scimpanzé, altrimenti, potrai non essere John Mayer, ma in una maniera o nell’altra te la cavi.

Il digitale ha bisogno di una cura molto più maniacale nel controllo e nella gestione dei suoni, nella ricerca dei settaggi. Avendo a disposizione centinaia di migliaia di possibilità, provarle tutte e affinarle al meglio è qualcosa che porta via davvero tante e tante ore. Perfino quando si ha a che fare con dei profili già belli che pronti come quelli di Choptones usati da Gianni nelle lezioni qui su Accordo, del lavoro da fare per rendere il tutto perfetto per la situazione c’è sempre.



Ecco quindi qual è il più grande difetto, non del digitale, ma del sottoscritto: la pigrizia. Capito questo, ho iniziato a vedere il digitale sotto un’altra luce. Ho capito che anziché essere uno scoglio contro cui sbattere, poteva essere la volta buona per approfondire ulteriormente la ricerca non solo del suono perfetto, ma anche, e soprattutto, un modo per indagare più a fondo la natura di quello che poi fa diventare il suono "perfetto”. Quel punto di compressione, il chorus messo in parallelo, un delay stereo, ma anche un posizionamento diverso dei microfoni o un altro IR.

Insomma alla fine ho capito che non ero io a odiare il digitale, ma era lui a odiare me, perché il più delle volte la pigrizia prendeva il sopravvento e finivo per utilizzare le patch native con scarsi risultati. Passerò mai definitivamente al digitale? No, ma non siate come me, sconfiggete il mostro! Alla fine ci ho messo anni, ma ora 9 volte su 10 uso addirittura un Multiamp, che come digitale, è anche un po’ vetusto almeno nell’intefaccia!
 
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