di Denis Buratto [user #16167] - pubblicato il 14 ottobre 2014 ore 07:30
Colore sgargiante e forme sinuose. Una chitarra per niente tradizionale la Danelectro Dead On ’67 in prova oggi. Uno strumento vintage, ma a suo modo innovativo e insolito. Lo abbiamo testato con un amplificatore arrivato dritto dal ’67 e con un chitarrista di una decina d’anni più giovane: il nostro Michele Quaini.
Colore sgargiante e forme sinuose. Una chitarra per niente tradizionale la Danelectro Dead On ’67 in prova oggi. Uno strumento vintage, ma a suo modo innovativo e insolito. Lo abbiamo testato con un amplificatore arrivato dritto dal ’67 e con un chitarrista di una decina d’anni più giovane: il nostro Michele Quaini.
Le forme ricordano alla lontana quelle di una Fender Jaguar, ma imbellettata, quasi artistica. A differenza della Dano Pro che abbiamo testato poco tempo fa, la Dead on ’67 ha un corpo in tiglio, non in masonite. Questo la rende molto più normale rispetto alle altre chitarre con la paletta coke-bottle (non presente su questo modello tra l'altro). Il manico avvitato a 21 tasti invece è in acero con tastiera in palissandro. Nonostante anche la Dead on ’67 sia una chitarra economica, i bordi dei frets sono rifiniti con cura e non infastidiscono il musicista in nessun modo. Alla Danelectro hanno optato per dei medium per rendere la chitarra più suonabile e più comoda. Ai più non sarà sfuggita la somiglianza tra questo strumento e la Coral Hornet, chitarra imbracciata e demolita da Pete Townshend. La Dead on ’67 è infatti una sorta di reissue. Un modello che come design e caratteristiche si pone a metà tra le Danelectro Dane D e, appunto, la Coral Hornet, prodotte entrambe dalla MCA che nel 1966 acquistò Danelectro. ’67 è proprio l’anno in cui entrambe vennero immesse sul mercato, numero di cui si fregia la Dano in prova oggi.
La Dead on ’67 sfoggia un battipenna madreperlato, leggermente bombato e con una sottile decorazione nera. Molto elegante e accoppiato in maniera perfetta con la piastra controlli in alluminio. Annegati nella plastica troviamo gli immancabili pick up lipstick, nell’alluminio spazzolato invece trovano posto due toni e due volumi, l’ingresso jack e lo switch a tre posizioni.
Qualche parola va spesa per il tremolotantoparticolarequantospartano. Un pezzo di alluminio, avvitato con due sole viti nel legno e connesso a un’unica molla. Questo in sostanza il tremolo della Dead on ’67. Scavati nel blocco di metallo abbiamo gli alloggiamenti per fissare le corde che vengono sorrette da un ponte in palissandro, unico mezzo con cui si possono regolare le ottave su questo strumento. La leva è una barra di metallo dritta e piatta per un risultato estetico, per così dire, rustico. A differenza di quello che ci si può aspettare questo ponte è funzionale. Leggermente rumoroso, ma fa il suo dovere e lascia libere le corde di tornare al loro posto senza problemi.
Orami il Super Reverb ’67 è un habitué dei nostri test e visto che condivide l’anno di nascita con quello dell’antenata della Dead on ’67 non possiamo più attendere e colleghiamo la simil vintage guitar al vero vintage amp. Sulle prime, dobbiamo ammetterlo, ci aspettavamo un suono più twangy. Sarà merito del tiglio, ma le alte sono tenute bene a bada e non si ha un suono per nulla squillante. Questa la sensazione generale, ma bisogna fare le dovute distinzioni tra il pick up al manico più scuro e rotondo e quello al ponte che oltre a una dose vivacità sulle alte in più mostra anche un volume d’uscita leggermente più alto. Le dimensioni del ponte si fanno sentire, lo si sente in qualche modo risuonare. Il suo peso lo ha anche sul sustain che non è elevatissimo ma è sicuramente più marcato che sulla Dano Pro di qualche settimana fa. Il suono che sui clean sembra un po’ scuretto diventa perfetto quando si passa ai crunch. Aggiungendo un overdrive la rotondità sembra accentuarsi, si sgranano gli accordi senza problemi e senza che questi diventino impostati soprattutto sulle basse. Il suono resta equilibrato e garbato anche quando si spinge sul gain fino ad arrivare a dei veri distorti. In questo caso il magnete al ponte è quello che ci ha entusiasmato di più. La piccola dose di medie e medioalte in più aiuta a bucare il mix e a tirare fuori la cattiverianecessariaanchenegliassolopiùbluesy.
La Danelectro Dead on ’67 è forse uno degli strumenti più particolari che ci sono capitati tra le mani. Esteticamente adotta soluzioni interessanti, vuoi il coprimolla a specchio o il battipenna in madreperla. Dal punto di vista dell’hardware tra pick up lipstick, ponte e meccaniche non si può certo considerare standard. Se poi si nota che unisce forme, passateci il termine, fenderose a una scala da 25’’ si capisce che questa chitarra vuole distinguersi dalla massa, e lo fa con decisione. In definitiva come la Pro o la si ama o la si odia, ma se si entra in sintonia con il carattere tutto suo della Dano ’67 il gioco è fatto. In questo si è aiutati dalla comodità del manico con il profilo a C e dal bilanciamento perfetto dello strumento. Il prezzo si aggira intorno ai 400 euro, un prezzo che tutto sommato non è spropositato ma che sgravato di un centinaio di euro avrebbe potuto rendere questo strumento ben più irresistibile.