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Il digitale non suona come l’analogico, per questo ci piace
Il digitale non suona come l’analogico, per questo ci piace
di [user #17844] - pubblicato il

La realtà è che, forse, le apparecchiature digitali hanno compiuto il vero salto di qualità quando hanno smesso di cercare di imitare l’esperienza di una strumentazione analogica.
<< Noi il digitale lo vogliamo, ma non perché ci fa paura: perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace! >>

I non-più-giovanissimi ricorderanno bene l’arrivo di prodotti all’epoca rivoluzionari come il primo Line 6 POD, il “fagiolone” che prometteva di incorporare decine di amplificatori storici in un singolo dispositivo compatto, moderno, un impressionante studio di registrazione poggiato sulla scrivania. All’epoca, registrare il suono di una chitarra elettrica o anche solo esercitarsi in cuffia con soddisfazione non erano esperienze scontate, e avere dei suoni fatti e finiti in un semplice cavo jack seminava non poco hype tra gli appassionati. In molti erano pronti a giurare che quelle simulazioni suonavano proprio uguali agli originali valvolari.
Un salto in avanti al 2012, Kemper presenta il Profiling Amplifier e niente sarà più lo stesso: la tecnologia digitale permette finalmente di virtualizzare amplificatori con una purezza mai vista mediante tecniche di profilazione. A questo giro, il digitale suona proprio uguale all’analogico. Un po’ più uguale di prima.
2023: IK Multimedia presenta ToneX, un sistema compatto in formato pedalboard che permette a chiunque di catturare e portarsi dal vivo i suoni dei propri ampli valvolari preferiti sfruttando l’intelligenza artificiale. E suonano uguali uguali, stavolta per davvero.

Il digitale non suona come l’analogico, per questo ci piace
A sinistra, un meme di un fan del digitale. A destra, lo stesso meme rifatto da un fan dell’analogico…

Difficoltà di confronto
Il dejavu con gli slogan degli smartphone, che puntualmente sono “il più potente di sempre” fino all’arrivo del modello successivo, è lecito. E non c’è da sorprendersi che i fanatici dell’analogico prendano un po’ in giro i chitarristi dell’era digitale per questa loro corsa spasmodica alla replica perfetta, regolarmente soddisfatta dal prodotto miracoloso di turno, ma solo fino al prossimo.

Forse il continuo pensare che un algoritmo possa suonare identico a una valvola è frutto dell’eccitazione del momento, oppure sono i musicisti a non avere un orecchio allenato a sufficienza per riconoscere le differenze. Va anche detto che, messi alle strette, molti puristi delle valvole si sono trovati sbugiardati da blind test in cui probabilmente nessuno al mondo sarebbe sistematicamente in grado di distinguere il suono di un originale dal campione generato via software. Molto, è innegabile, lo fa la psicologia.

Il digitale non suona come l’analogico, per questo ci piace

L’ampli nella stanza
Suoni e psicoacustica a parte, di sicuro a cambiare in modo radicale è l’esperienza d’uso. Un segnale digitale nelle casse monitor non dà l’effetto dell’ampli nella stanza, non fa “vento dietro i pantaloni”. Tutti aspetti che rientrano nella sfera del puro godimento, ma lasciano il tempo che trovano quando si parla di registrare o suonare su un palco in maniera più seria rispetto al proverbiale bar in piazzetta.
Per sua natura, il digitale fa il verso ad ambienti professionali, nei quali non tutti sono abituati a muoversi. Così un fanatico della valvola da salotto non saprà davvero dire se quel modello virtuale è uguale all’originale ripreso in uno studio serio, ma neanche il nativo digitale saprà farlo, perché le sue orecchie si sono formate su una lunga serie di suoni già digitali. In più, se è vero che la memoria per il suono è una cosa estremamente labile, nessuno dei due ha dei veri metri di paragone. Allora tutto si riduce all’esperienza personale, al gusto, a cosa quel preciso suono trasmette a chi se lo ritrova sotto le dita. E così succede che un suono possa suggerire qualcosa di nuovo a un musicista, al di là della sua natura tecnica: è il fenomeno Axe FX.



Il digitale come sound
Il processore Fractal, ma non solo lui, ha il merito di aver alimentato tutta una schiera di artisti accomunati da una visione del suono distante dai canoni vintage a analogici. È una scuola di pensiero a sé che richiede strumenti specifici per prendere forma. Accadeva con alcune branche di metal che preferivano gli amplificatori a transistor per le loro distorsioni violente e a fuoco, e si ripete con i suoni asciutti, chirurgici e profondamente hi-fi che alcune derive del digitale sembrano rincorrere.
Non è necessariamente un’estremizzazione dell’hi-gain, e le correnti più recenti hanno dimostrato che anche i suoni puliti possono scoprire un carattere nuovo grazie alla prontezza, al dettaglio e al controllo che il digitale può riservare e che l’analogico non sempre riesce a fornire.
Le repliche sono belle, a conti fatti, ma forse il vero valore è altrove.



L’uovo di Colombo
Forse, la fine della guerra tra analogico e digitale avviene nel momento esatto in cui le due fazioni si rendono conto di non essere contrapposte. Il desiderio di infilare in una scatoletta il suono dei dischi storici di metà secolo scorso non si esaurirà mai, ma la musica non è fatta solo di quello.
Ogni epoca ha i suoi suoni e dei precisi strumenti in grado di renderli al meglio.
Il sintetizzatore ha guadagnato la sua dignità di strumento quando ha smesso di fingere di suonare come una ensemble d’archi e ha esplorato le potenzialità dei propri, unici, circuiti. I beat insoliti delle batterie elettroniche sono diventati oggetto di studio da parte dei batteristi acustici. Persino la chitarra elettrica si è emancipata nel momento esatto in cui ha smesso di imitare un’acustica o una archtop, trasformando i suoi limiti e tratti distintivi in punti di forza.
Allo stesso modo, quando i chitarristi realizzeranno le potenzialità del suono puramente digitale - non inteso come replica dell’analogico ma come forma nuova di espressione - potremmo assistere a una nuova pagina, eccitante e inedita, di espressioni artistiche libere da ogni vincolo.
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