Il 2024 è stato molte cose, ma sicuramente è stato un altro anno pieno zeppo di musica, e noi di Accordo.it non potevamo esimerci dal selezionare il meglio del meglio! Dalla redazione, con le orecchie incollate alle cuffie, Umberto Poli e Francesco Sicheri hanno compilato una lista che speriamo avrà qualcosa da dire anche ai più esigenti.
Tra riff che scuotono le fondamenta, ballate che toccano le corde più profonde e produzioni che alzano l’asticella generale, l’invito è quello a esplorare gli album che hanno lasciato un segno nel 2024. Qualcuno dei vostri preferiti è nella lista? Quali sono gli album che aggiungereste?
Non resta che lasciarsi andare all’ascolto: il nostro articolo è qui per offrirvi un riassunto del meglio di quest’anno musicale.
Le scelte di Umberto.
1.
La celebre coppia della scena country americana firma il suo capolavoro. Tutto, in Woodland, emana una bellezza fuori dal tempo e dallo spazio. Nelle canzoni targate Welch e Rawlings, gli ingredienti base del country (gioia, dolore, amore e morte) si fondono con la pellaccia dura di chi non si farebbe abbattere neanche dalla furia di un uragano. Da ascoltare e riascoltare. Come ogni instant classic che si rispetti.
2.
Scomparsa dai radar per qualche anno, la band capitanata da Colin Meloy torna in gran spolvero e con una manciata di brani destinati a restare. Nessun riempitivo, nessuna stravagante deviazione di rotta, soltanto 70 minuti di grande musica. Rock à la R.E.M. (Burial Ground), radici (William Fitzwilliam) e un’escursione in territorio prog (Joan In The Garden) per un amalgama di assoluto fascino, copertina compresa.
3.
In un mondo sempre più votato all’accelerazione, al “tutto e subito”, Ray LaMontagne mette un freno e ci consegna un lavoro - ancora una volta - meravigliosamente lento, da gustare con la dovuta calma. Dal groovy soul dell’iniziale Step Right Up alle tinte folk della conclusiva Long Way Home, l’album punta dritto al cuore dell’ascoltatore. All you need, you already own… l’essenziale è qui, invisibile agli occhi e a portata di mano.
4.
Enfant prodige della sei corde e membro storico della band di Vinicio Capossela, Alessandro “Asso” Stefana ha collezionato, anno dopo anno, una serie di collaborazioni di rilievo internazionale. È però con questo disco omonimo, sua seconda prova solista, che il multistrumentista bresciano confeziona la sua opera più compiuta e personale. Neil Young, monti Appalachi, blues delle origini e musica da film. Per intenditori.
5.
Basterebbe il singolo All In Good Time - e il relativo videoclip, tra i più belli usciti nel corso di quest’anno - per concedersi, anima e corpo, all’ultimo album in studio di Iron & Wine aka Sam Beam. Delicate chitarre acustiche, pianoforte, violino, basso, percussioni, cori. Tutto funziona, incastrandosi alla perfezione, in questo piccolo gioiello discografico. Songwriting di razza calato in una dimensione eterea e sognante.
6.
In questo annus horribilis, Shajara è una luce in fondo al tunnel. Una luce di salvezza e di grazia, di rigenerazione e respiro, quello della Terra, della natura, dell’uomo. L’opera affonda le proprie radici in Siria ma nasce in Italia, grazie alla sensibilità di un artista, Giorgio Debernardi, capace di cogliere - attraverso armonie ricercate e accordature aperte - la meraviglia che (ancora) ci circonda, invitandoci a preservarla.
7.
Si è detto di tutto e di più di Cowboy Carter, secondo atto della trilogia iniziata da Beyoncé nel 2022. Il lavoro è denso di storia/e made in USA nonchè di validi motivi per essere approfondito. Dal lungo elenco di ospiti e produttori al numero debordante di tracce, generi e sottogeneri che lo compongono, la cantante texana invita ad andare oltre, sfidando le apparenze. Superlativo e coraggiosamente ambizioso.
8.
Cutouts è il terzo capitolo ufficiale pubblicato da Thom Yorke, Jonny Greenwood e Tom Skinner. La “costola” dei Radiohead, fin dallo splendido esordio, si è dimostrata una realtà intrigante e solida, eccellente tra le pareti di una sala d’incisione così come dal vivo. Il sound del gruppo, ricchissimo di influenze ed echi del passato, migliora col tempo alla pari di un vino pregiato. Uno dei dischi dell’anno… senza se e senza ma.
9.
A 23 anni, Billie Eilish, accompagnata nel suo viaggio dal fratello chitarrista Finneas, (ri)scrive e detta le regole del pop. La tracklist di Hit Me Hard and Soft ci obbliga a fare i conti con nuovi modi di arrangiare e di concepire la forma canzone. Il risultato è un prodotto musicale validissimo, suonato come Dio comanda, il cui successo risulta direttamente proporzionale alla qualità strumentale e compositiva.
10.
C’era molta attesa per il seguito del precedente, chiacchieratissimo, I'm Not Sorry, I Was Just Being Me. E Big Swimmer, pur dividendo pubblico e critica, ha saputo proseguire con classe il discorso cominciato dal duo di Liverpool formato da Hannah Merrick e Craig Whittle. New York, Let’s Do Nothing, Somewhere Near El Paso e la titletrack vi guideranno in un viaggio americano che non dimenticherete facilmente.
Le scelte di Francesco
1.
Seppure possa sembrare impossibile Washington ha trovato il modo di combinare la tradizione con un senso di modernità audace e sperimentale. Terrace Martin, George Clinton, André 3000, e rapper della nuova generazione, si riuniscono sotto un cielo composto da una miriade di buone idee per 86 minuti di musica che rinunciano al grandeur per preferire funk, ballabilità e sagacia sonora.
2.
Cometh the Storm è un album che non fa sconti, dotato di una potenza viscerale e di un'aggressività che non accenna mai a affievolirsi. Matt Pike sforna riff devastanti, alternando sequenze dalla violenza inarrestabile a momenti dal groove oscuro e minaccioso. L’album è un fendente sonoro che colpisce come un martello pneumatico, e gli High On Fire si dimostrano una delle band più solide per chiunque ami i generi estremi.
3.
16 anni di attesa sono lunghi, ma ne è valsa la pena. Ogni brano di Songs of A Lost World è una tessera di un mosaico emotivo complesso, che risuona in chiunque si senta parte di un “mondo perduto”. Vivere ed essere in grado di raccontare l’uscita di un nuovo album dei The Cure non è qualcosa da dare per scontato.
4.
R’n’B, jazz, disco, cantautorato, cos’è che Tom Misch non riesce a fare? Uno degli esponenti più catartici del neo-soul contemporaneo torna per rassicurare che giorni migliori ci attendono. Sei brani che aggiungono due nuove tracce ad altre già ascoltate durante l’anno. Quando si parla di Misch c’è sempre molto di cui gioire sul versante chitarristico, e anche questo EP ne è una testimonianza
5.
Quanta tenerezza si racchiude nella nuova proiezione musicale di Sophia Regina Allison, in arte Soccer Mommy. Evergreen sprigiona un tepore che è proprio di quegli abbracci che si danno di fronte ad un caminetto quando si condivide una tazza di tè o di cioccolata calda. Ciò nonostante Soccer Mommy non riesce mai a nascondere quella vena decadente che si addice così bene alle sue chitarre più languide, alle sue distorsioni co care, ed alla sua dizione dolcemente strascicata.
6.
Il numero tredici è considerato un numero karmico, portatore di trasformazione, rinnovamento e cambiamento, e guarda caso sono proprio 13 le tracce di Speak To Me, quarto album di Julian Lage per Blue Note. Per alcuni la musica è una necessità, per altri è una via di uscita dal baratro, per Julian Lage è un po’ entrambe le cose. La qualità tecnica e sonora di Lage sono tali che si tende a dimenticare la profondità artistica, o evocativa, delle sue composizioni. Con Lage ogni volta è una scoperta, ogni volta una magia.
7.
Sembra esserci qualcosa di salvifico nella musica di Bon Iver. Le speranze di molti sono state tradite, però, perché SABLE, non è “soltanto” un EP di quattro tracce. A caval donato non si guarda in bocca, però, e per rallegrare gli animi ci sono i suoni del singolo S P E Y S I D E, che riportano la mente a quel primo For Emma, Forever Ago del 2007. Voce e chitarra, della solita incredibile qualità.
8.
Piacciono ai punksters di ampie vedute, tanto quanto ai rockettari in cerca di qualcosa di più leggero, gli Amyl & The Sniffers hanno lo stesso appeal di quel punk rock anni ‘90 che ha fatto tante vittime. In Cartoon Darkness la band prende persino qualche deriva glam e, senza mai dimenticarsi di badare alla dissezione della moderna deriva esistenziale, snocciola sarcasticamente il disegno in cui tutti ci troviamo a vivere. I suoni ed i riff di It’s Mine, di Jerkin’ e Going Somewhere dovrebbero bastare.
9.
Rompere i confini di generi come il grindcore non è qualcosa di facile, ma qualcuno deve pur provarci. Quel qualcuno, oggi, viene dal New England e risponde al nome di Escuela Grind. Dreams On Algorithms si fa carico di una manciata di brani che a blast beat e riffing idiosincratico aggiungono il timbro vocale di Katerina Economou. Al grind si alternano sezioni di Nirvana sotto steroidi. La cosa più bella di tutto questo? Funziona alla perfezione.
10.
C’è tanto nei Chat Pile. Forse troppo, ma non è il caso di lamentarsi. Cool World è il secondo album per gli statunitensi, che con grande nonchalance producono un groviglio di materiale già ascoltato in passato su fronti anche molto distanti tra loro. In questo caso, però, il groviglio funziona. Fra una citazione dei Korn, uno schiaffo al djent, e un riff dal piglio un po’ più thrash, i Chat Pile confezionano un ascolto comunque fresco e ben articolato.