di janblazer [user #26680] - pubblicato il 01 marzo 2011 ore 23:02
L’alba fresca e nebbiosa, classica delle pianure del nord Italia nei giorni di autunno, cominciava a regalare i primi raggi di sole.Berto, immobile, seguiva con pazienza e attenzione i leggeri impercettibili movimenti del galleggiante della sua canna da pesca. Erano mesi che dava la caccia a una carpa di almeno otto chili. Quel piccolo lago, nato come tanti per procurare la terra alla società che costruiva le rampe dei cavalcavia delle autostrade, era il suo regno. La sua unica grande vera passione. Lo accudiva, lo puliva dalle erbacce, potava i salici piangenti in modo che le chiome sfiorassero la superficie dell’acqua arricchendolo con larve e insetti, ma soprattutto seguiva il ciclo biologico, la vita dei pesci che nell’evolversi delle stagioni lo popolavano e si riproducevano. Quando la natura offriva poco da mangiare, Berto preparava dei pastoni che lanciava dentro al laghetto, e raccoglieva da tutto il vicinato pane secco che diventava un importante nutrimento per gli abitanti di quei fondali melmosi. Osservare le bolle d’aria sul pelo dell’acqua dei pesci che salivano in superficie per cibarsi, per lui era una soddisfazione, una ricompensa alla dedizione e al suo lavoro.Berto era lì, come tante mattine, seduto, infreddolito, col mozzicone di toscano tra le labbra che nervosamente succhiava. Calma piatta, il piccolo galleggiante con attaccato la lenza e l’ esca di farina di mais e formaggio era immobile e la canna appoggiata a un rametto a forma di Y conficcato nel terreno staticamente abbandonata alla noia di un’altra giornata improduttiva. Erano giorni e giorni che non abboccava nessun pesce all’amo . Dal tascapane Berto tirò fuori la colazione del mattino. Non si trattava di merendine o biscotti, ma di un robusto panino con la salsiccia e un altro sfilatino con la frittata fredda. Con la fiaschetta da mezzo litro di vino fece cenno di un cin-cin alle sue carpe e bevve un goccio. Vino e sigaro toscano, che accoppiata favolosa. Il pelo dell’acqua improvvisamente incominciò a incresparsi. Berto si alzò in piedi, guardò intorno, vento non ce n’era. Di fronte a lui si formarono dei mulinelli che grandi così non aveva mai visto nemmeno nei filmati di Piero Angela. No, non era possibile, come potevano crearsi delle onde in un laghetto artificiale ? Qualcosa stava succedendo. Pensò a un terremoto, ma intorno tutto era calmo e nell’autostrada, a poche centinaia di metri le auto e i camion sfrecciavano regolarmente con i fari accesi. La risposta non tardò ad arrivare. Una spiegazione dall’impatto terrificante. Berto voleva svegliarsi dall’incubo che lo stava prendendo per mano, ma non si trattava di nessun incubo, era sveglio, purtroppo. Dall’acqua uscirono tre esseri mostruosi. Il corpo era quello di un pesce, con squame grandi e putride, rostri, spine e pinne, la testa invece ricordava il muso di un cane molosso e incredibilmente per degli esseri usciti dall’acqua , erano dotati di quattro zampe retrattili munite di dita e artigli come un rapace. Il sorgere di un alba da non dimenticare, li rendeva ancor più spaventosi, facendo risaltare il loro corpo bagnato e luccicante a un sole nascente che abbagliava la vista. Si muovevano agili e veloci e in pochi movimenti accerchiarono Berto guardandolo con i loro occhi gialli senza palpebre. Un odore disgustoso li accompagnava. Il più grosso dei tre, aprì la bocca, smisuratamente grande, e un tanfo nauseabondo si propagò nell’aria. Non emetteva suoni, ma Berto cominciò a sentire un ronzio nelle orecchie sempre più forte, sempre più intenso, poi, dopo un silenzio da “day after” il brusio si fluidificò trasformandosi in linguaggio. Inimmaginabile, stava comunicando con lui. Dio, quanto avrebbe voluto scappare, correre all’osteria e bere fino a ubriacarsi per dimenticare quest’ultima mezz’ora, ma ormai era lì, inchiodato a quella sponda di lago. Cercò di convincersi che si trattava di innocui pesci siluro e che per un attimo aveva avuto le traveggole, ma i pesci siluro li conosceva bene, erano sì, grandi come quegli strani esseri, arrivavano anche a 70-80 chili, ma porca miseria, non avevano artigli, zampe e la testa da cane. E soprattutto i pesci siluro non parlavano. La voce ricordava il soffiare di un mantice, ma straordinariamente comprensibile. Incredibile. Non voleva credere alle sue orecchie. Lo stavano ringraziando. Berto si aspettava che da un momento all’altro gli saltassero addosso e invece gli esprimevano gratitudine per tutto il cibo che aveva portato fino a ora. Senza di lui sarebbero morti, ammettendo che tutti i pesci del lago se li erano già mangiati da un pezzo. Non avevano più nulla da cibarsi e i loro simili, dallo spazio, sarebbero ritornati a prenderli solo la prossima luna nuova. Berto, in una frazione di secondo, pensò alla sua carpa da otto chili, alle tinche che per mesi aveva accudito e che da settimane non abboccavano alle sue esche. Per forza non mordevano al suo amo con la polenta, non c’era più anima viva in quel laghetto! Poi l’assurda realtà ritornò in primo piano. Ormai anche un tonto l’aveva capito, quegli alieni, se così si potevano chiamare, erano affamati. Istintivamente, generosamente come un bimbo può fare col compagno di classe, prese i due panini della colazione, quelli con la frittata e con la salsiccia e li porse alle strane creature che senza fare complimenti divorarono tutto fino all’ultima briciola. Mangiavano e mugolavano di piacere come cuccioli attaccati ai capezzoli della madre. Tutto ormai poteva succedere e nulla avrebbe più stupito Berto. Un momento dopo, li vide prima raspare per terra e poi accucciarsi e pensò che non erano poi così diversi dal suo Rocky, il labrador che aveva a casa che come abitudine subito dopo mangiato, doveva liberare l’intestino. Non ci voleva credere, Berto non ci voleva credere. Da quel piccolo foro, sotto la pinna caudale, in seguito a quello sforzo uscivano tante piccole cacchette della grandezza di un fagiolo, lucide e dorate come pepite. Ma che metabolismo avevano questi alieni ? Un’ autoambulanza sull’autostrada, con la sirena al massimo, spaventò a morte la ciurma di esseri squamati, che si rituffarono in acqua scomparendo. Berto prese in mano quegli strani escrementi, li guardò, li soppesò e poi gridò in direzione del lago: “Se son d’oro vi porto da mangiare tutte le mattine!!” Berto non ha voluto vendere quella strepitosa notizia a un giornale. Far arrivare scienziati, ufologi, esperti di ogni razza e paese nel suo laghetto voleva dire emettere una condanna a morte. Il pensiero di tradire la fiducia, e la speranza di ritornare nel loro mondo, ai suoi inconsueti ospiti squamati, non l’avrebbe più fatto vivere sereno. Un orefice ha esaminato le particolari cacchette raccolte da Berto, che da quel giorno si sveglia ogni mattina alle quattro e si precipita in cucina fischiando e cantando a friggere uova e a srotolare metri di salsiccia. La diversità è sempre un patrimonio..