di janblazer [user #26680] - pubblicato il 03 aprile 2011 ore 01:32
A Bologna il 10 marzo 1970 il cielo era terso e cominciava a scaldare un tiepido sole. Il Jolly Bar di via Santo Stefano non beneficiava della luce e del calore delle giornate di inizio primavera perché era un locale buio e grigio sotto i portici, con un seminterrato adibito a sala biliardi e con quattro tavolini per il gioco delle carte, consolidato luogo di ritrovo per chi aveva tagliato da scuola, per chi aveva fatto il classico “fughino”.
Gianni posò il bicchiere di chinotto sul bancone, tirò fuori cento lire dal taschino dei jeans comprati alla Bottega 28 di Via Guerrazzi e si avvicinò al juke-box, poi inserì la moneta e selezionò i tre brani.
J 5 “Lady d’Arbanville” – Cat Stevens
E6 “Southern man” - Neil Young
Gli scappò un sorriso.
A2 “Dio è morto” – I Nomadi
Alla fine del secondo brano risuonò nel locale l’inconfondibile attacco di Augusto Daolio.
“..Ho visto la gente della mia età andare via, verso le strade che non portano più a niente..”
Vanes, il proprietario del Jolly Bar guardò Gianni con l’occhio torvo e gli gridò. “Soccia !! Che due maroni ancora con sta tiritera del Dio che è morto ! Mo non può morire, perché Dio non esiste! Adesso chiamo l’omino dei juke-box e lo faccio gavare sto disco. Lo fate apposta per stracciarmi i maroni, lo so! Va all’Osteria delle Dame che Guzzein te lo canta tutte le sere, va !”
Gianni uscì ridendo dal locale e si fermò all’edicola di fronte. Doveva decidere tra comprare la rivista musicale Ciao 2001 o un pacchetto da dieci di MS, le cosidette Marlboro Siciliane, le sigarette degli studenti squattrinati.
Le locandine esposte del Resto del Carlino parlavano ancora dell’eclissi totale di sole di due giorni prima, della guerra in Vietnam e di una massiccia offensiva U.S.A in Cambogia, e infine di quel Pietro Valpreda, in galera per l’attentato del 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana, che urlava di essere innocente.
Gianni diede un’occhiata distratta alle notizie di attualità, aveva quindici anni e la musica lo appassionava più della politica. Nella terza pagina del suo settimanale preferito a caratteri cubitali una news strepitosa. Il gruppo degli Hollies dopo la fuga negli Stati Uniti del chitarrista Graham Nash, entrava in sala di registrazione con una assoluta novità. Nessuna chitarra in più, ma un pianoforte. A suonarlo un illustre sconosciuto, un ragazzo piccolo e bruttino di nome Elton John.
Sistemò la rivista tra il libro di mate e quello di storia legandoli con la cinghia di caucciù in fretta e furia, stava arrivando Clara, a piedi dal Minghetti, il Liceo Scientifico. Anche lei aveva tagliato dalle lezioni.
A Gianni cominciò a battere forte il cuore. Clara era un fuscello, magrissima, con una cascata di capelli biondi e la pelle bianca e a lui non gliene fregava niente se i suoi amici dicevano che aveva le gambe talmente storte, che ci passava in mezzo un cane con l’osso in bocca. Per Gianni la ragazza più bella del mondo era lei, Clara. L’unico problema era di dichiararsi, di dirle quanto la pensava, quanto la sognava, quanto la desiderava, quanto la amava. Non l’aveva ancora fatto e quel giorno, il 10 marzo 1970, Gianni a costo di morire, glielo avrebbe detto.
I due si incamminarono verso i Giardini Margherita, in quell’oasi di verde avrebbero trovato la tranquillità di una panchina per chiacchierare. Un posto migliore non c’era. Se avesse aspettato due settimane, ci sarebbe stata l’esplosione di colori, profumi e fiori di quella meraviglia di giardini, ma Gianni non poteva più attendere quell’abbraccio, quel bacio, quel sentimento che era sicuro, sentiva corrisposto. Per strada parlarono dei compiti in classe, delle assemblee studentesche , dei saldi da Bang Bang, di quei jeans ultimo fischio con le tasche applicate, due davanti e due dietro, così stretti da far venire la colite. Gianni era un fanatico della moda e indossava già quel capo da mesi. Li portava leggermente lunghi su un mocassino nero della Saxone con i fiocchetti che a ogni passo si muovevano, un maglione a collo alto rigorosamente blu e un trench alla Tenente Sheridan annodato in vita. Ray ban con la montatura d’oro su quel bel nasino che l’anno dopo si sarebbe spiaccicato sul parabrezza dell’auto di un amico. Lei indossava una gonna scozzese sopra al ginocchio, maglioncino panna, scarpe basse e un soprabitino stretto, aderente, stile british.
Erano carini assieme. Proprio bellini, entrambi biondi, magri, una bella coppia, ma non ancora una coppia.
Arrivati ai giardinetti trovarono una panchina baciata dal sole e si sedettero. Ancora qualche discorso di feste, locali, scuola, amici e poi Gianni le chiese di uscire insieme, così, senza troppi preamboli. Clara lo guardò e scoppiò a ridere dicendo che lui era il suo migliore amico e non avrebbe mai funzionato, che gli voleva un bene dell’anima e che passare delle ore assieme era diverso da amare.
Praticamente, educatamente era un no. Che mazzata. Soprattutto perché lui non se l’aspettava. Lei gli chiese se c’era rimasto male e Gianni mentì spudoratamente. Fecero ancora qualche giro tra il verde dei vialetti, in silenzio. Guardarono l’ora. Era presto, ma entrambi avevano desiderio di stare ognuno per conto proprio. Ritornarono a passo veloce in via Santo Stefano e si salutarono amichevolmente ma con un leggero imbarazzo.
L’insegna del Jolly Bar si prospettò in lontananza, era ormai l’unico rifugio per quell’ora ancora da passare prima di ritornare a casa. Una mattina andata storta. Gianni si poneva domande su domande, su perché, per come, ma appena varcata la soglia della porta del locale fu Vanes, il titolare, a tempestarlo di domande. “Soccia ragaz, Zanni, ti è morto il gatto che hai una faccia brutta che fa schifo ? A jo capè ! Ho capito, ragazzo, la biondina che aspettavi, l’ho vista veh, mica male, ti ha dato il due di picche !” Gianni non rispondeva, guardava il barista con l’occhio spento, smarrito.
“Ascolta il vecchio Vanes, che di gnocca ne sa un pochino più di te, quella lì non sarà ne la prima ne l’ultima che ti farà soffrire, sai quante ne incontrerai ancora che ti spaccheranno il cuore e i maroni, toh, beviti un bicchiere di spuma, e non pensarci più. Offre la casa, però promettimi che non metti più quella canzone su Dio che è morto, Dio non esiste !”
Vanes aveva ragione e Gianni ne ha incontrate ancora tante di donne che gli hanno spaccato il cuore e i maroni, ma ne ha conosciute altrettante di meravigliose, di uniche, di speciali. Questo Vanes non gliel’aveva detto.