Corso Traiano, quartiere Mirafiori sud di Torino.
L’hinterland suburbano di una città cresciuta e sviluppata negli anni sessanta
a misura e dimensione della Fiat, il propulsore economico del capoluogo piemontese.
Viali periferici e caseggiati moltiplicati come funghi per offrire alloggio alla manodopera della fabbrica della Cinquecento.
Al numero civico 226 di questa importante arteria torinese era impossibile non vedere l’orribile condominio color verde salvia che, come un indice puntato verso il cielo, sembrava un ammonimento a non costruire mai più simili brutture architettoniche.
Al primo piano oltre a due famiglie di rumeni da poco insediate, vivevano il signor Cimmarosa e nell’appartamento confinante la signora Corino.
In pensione, vedovi e con un cane entrambi.
In comune però avevano un’altra cosa.
Si odiavano a vicenda.
Lui meridionale, gioviale, rumoroso, aperto e ottimista.
Lei piemontese, chiusa, silenziosa, diffidente e pessimista.
Tutte le volte che si incontravano per strada o fuori dal pianerottolo erano discussioni, quasi sempre per il volume troppo alto della televisione di lui o per l’aspirapolvere messo in funzione alle sette di mattina da lei, o chissà per quale altro futile motivo.
C’era sempre un pretesto per attaccarsi, per discutere per farsi venire il sangue amaro.
Banalità, stupidaggini, abitudini e orari che nessuno dei due era disposto a modificare per far contento l’altro.
Cimmarosa venerava Pavel il suo bastardino battezzato così in onore del pallone d’oro della Juventus Nedved. Non per niente era un meticcio di piccola taglia col mantello bianco e nero.
La Corino, per conto suo, non passava un istante lontano dalla sua Birba, una barboncina nera molto dolce e affettuosa.
Tanto si detestavano i due vicini di casa tanto si amavano le loro creature a quattro zampe.
Pavel e Birba passavano le giornate accucciate vicino all’ingresso comunicando tra di loro con sospiri e colpetti di zampa contro la porta.
Abbaiare era severamente proibito e loro rispettavano rigorosamente il silenzio imposto, ma con quel loro codice riuscivano a mandarsi dei messaggi incomprensibili al genere umano.
Nelle belle giornate prima si mettevano d’accordo con quel sistema, poi prendevano in bocca il guinzaglio e con gli occhi che solo un cane sa fare, andavano dal loro padroncino a implorare una anche breve passeggiata.
Impossibile dire di no.
Pavel e Birba si trovavano così a scorrazzare e a guardarsi trasognati nei giardinetti vicino all’asilo infantile.
Cimmarosa e la Corino incrociandosi mugugnavano un saluto, troppo presi dai loro pensieri per accorgersi degli sguardi languidi e innamorati dei loro amici a quattro zampe.
A volte i due cagnetti riuscivano a darsi una strofinata o una leccata al muso, ma subito uno strappo al guinzaglio li riportava alla triste realtà dell’incomunicabilità dei loro due padroni.
Non era certo il cibo, i croccantini e le cure veterinarie che mancavano a Pavel e Birba, non erano le carezze e le attenzioni a venir meno, era la solitudine della loro esistenza e quella dei loro amici umani a dipingere i loro bei musi di una tristezza infinita.
Era un pomeriggio di maggio, di quelle giornate che si sta fuori in camicia, con il sole che fa capolino tra le nuvole.
La consueta passeggiata stava terminando.
A pochi metri l’uno dall’ altro Cimmarosa e la Corino rientravano a casa.
A un semaforo un fuoristrada sbucato all’improvviso dal controviale centrò in pieno un’ autovettura che doveva girare.
Ci fu un rumore assordante di frenata e lamiere che sbattevano.
Birba, terrorizzata, con uno scatto improvviso scappò lungo il marciapiede.
Pavel vedendo la scena fece lo stesso e le corse dietro.
I due cani filavano come lepri mentre Cimmarosa e la Corino cercavano a gran voce di richiamarli.
Inutile sgolarsi, erano spariti.
La signora Corino si sentiva in colpa, in fondo se non le fosse scappata la sua barboncina, nulla sarebbe successo.
Il Cimmarosa stava per inveire contro di lei, ma aprì e chiuse la bocca.
Capì quanto era mortificata e addolorata la sua vicina di casa, non era il caso di insistere per ferirla ancora di più.
“Signora, io vado a cercarli, se trovo anche la sua, gliela riporto”
“Andiamo insieme, subito, non perdiamo tempo, non possono essere andati lontano”
Era una comica vederli insieme fermare i passanti e domandare se avevano visto passare i due cani.
Li descrivevano a gran gesti facendo segno con le mani dell’altezza da terra, della lunghezza delle orecchie e Cimmarosa volle strafare mimando il trotterellare del suo Pavel come se fosse diverso da quello degli altri suoi simili.
Prima un edicolante li mandò in Corso Unione Sovietica, poi un ciclista, al Parco Colonnetti, ma dei due animali nessuna traccia.
E’ vero che quando c’è un problema più grande, gli altri come per incanto spariscono.
Era prioritario ritrovare i loro amati quattro zampe, le loro beghe personali erano faccende secondarie.
Cominciava a imbrunire, e i due anziani vicini di casa erano stanchi di camminare e si fermarono in un Bar.
Si sedettero qualche minuto e presero un caffè e poi, dopo una fermata ai servizi, ripartirono.
A un certo punto la Corino giurò di aver visto Pavel, ma fu un falso allarme era si bianco e nero, ma non lui.
Rallentando il passo per la stanchezza pian pianino arrivarono in prossimità del 226 di Corso Traiano. Erano finalmente a casa.
Le sigle dei telegiornali delle ore venti echeggiavano dalle finestre aperte dei primi piani delle abitazioni del viale.
“Domani si va al canile di Via Germagnano con una foto di Pavel e Birba”
“Ottima idea Cimmarosa, bravo”
“E se non li troviamo tappezziamo tutto il quartiere con le fotocopie delle foto, telefono e lauta ricompensa”
“Certamente signora Corino, vedrà che li recuperiamo presto i due monelli”
Alla signora scappò un sorriso che cercò di camuffare. Non era poi quell’essere sgradevole che aveva sempre immaginato, il suo vicino di casa.
Cimmarosa le aprì il portone di ingresso con una galanteria che non aveva mai visto prima.
Salirono in silenzio la rampa di scale che portava al primo piano.
“Birba!”
“Pavel!”
I due cani erano accucciati contro il muro, in zona neutrale, tra le due porte degli appartamenti e cominciarono a guaire di gioia alla vista dei loro proprietari.
Coccole, carezze e qualche velata lacrima liberatoria chiusero definitivamente il piccolo ma convulso imprevisto pomeridiano.
“Tutto è bene ciò che finisce bene”
“Sia ringraziato il cielo, che paura, signor Cimmarosa”
“Il signor Cimmarosa oltre al cognome ha anche un nome, lei sa come mi chiamo ?”
“Certamente, cosa credi Pietro, che gli accidenti te li mandassi solo a metà?”
“Finalmente siamo passati al tu, era ora Teresa. Ti faccio una proposta. Dal volume alto del tuo televisore so che questa sera guarderai la Corrida, cosa ne pensi di vedere il programma tutti e quattro assieme?”
“Senti chi parla, e io che mi sorbisco tutte le partite di calcio, ma lasciamo perdere. Va bene, ma solo perché non voglio vedere soffrire ancora i nostri piccoli amici a quattro zampe. Che tenerezza fanno quando sono assieme. Ti avverto, si tratta solo di una prova, non farti venire strane idee.”
“Beh, Teresa, almeno stappare una bottiglia per brindare a questa giornata, almeno questo lo possiamo fare.”
“Sì, Pietro, questo si, oggi è una giornata da ricordare”
https://youtu.be/QYEC4TZsy-Y