È mezzogiorno. Il mio Tissot con la cassa placcata oro e il cinturino di vitellino color nero, regalo della prima Comunione, spacca il secondo.
Con il pollice e l’indice, meccanicamente, quasi sovrappensiero, carico il meccanismo dell’orologio, regalando un altro giorno di vita alle lancette. Ho le unghie un po’ lunghe e sporche, come le può avere un bambino della prima media che come i suoi coetanei non si lava tanto, in quell’età in cui non si è né carne né pesce, in quel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, così difficile, faticoso, ma inevitabilmente obbligatorio. La campanella che decreta la fine delle lezioni attaccata al muro, vicino al ritratto del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, tra pochi secondi comincerà a suonare.
Più di cinquanta occhi la stanno fissando. La cartella in finta pelle è già pronta sotto al banco, devo solo aggiungere il quaderno in cui ho segnato il compito di storia per domani, spiegare quali furono le cause del crollo dell’Impero Assiro. Sai quanto me ne importa degli Assiri e del loro Impero! È suonata la fine dell’ora, si va a casa!
Mi alzo dal banco tra la confusione, l’ euforia generale, le minacce del professore di lettere e schizzo come un gatto verso la porta. Nel pacco di figurine che gonfia la tasca dei pantaloni c’ è finalmente Helmut Haller che ho scambiato con Josè Altafini, un colpaccio.
Sono strafelice, mancava solo lui, l’attaccante tedesco, per completare la formazione del Bologna. Tocco ancora una volta il malloppo di rettangolini di carta per essere sicuro di non aver dimenticato il mio capitale sotto il banco.
Ho un altro piccolo tesoro nascosto nell’astuccio, un pacchetto, purtroppo ormai alla fine, di Esportazioni senza filtro, quello verde con la caravella nera, e quattro o cinque fiammiferi familiari sparsi nelle tasche. Accendere la sigaretta per strada è un po’ pericoloso, se mi vede qualcuno che mi conosce, potrebbe raccontarlo ai miei genitori, ma i miei compagni di scuola lo fanno e per non sembrare un cacasotto li imito. Sono a digiuno e respirare il fumo forte della “paglia”, come la chiamiamo noi, mi fa girare la testa. Attraversiamo i giardinetti, oggi il sole scalda e rimpiango i pantaloni corti che mettevo alle elementari, soprattutto quando c’ è un pallone a cui dare due calci come adesso.
Passa ! Passa la palla! Gridiamo a due ragazzi che stanno giocando, ma che non ci danno retta. Il gruppo si divide, ci salutiamo, ognuno va per la sua strada e io rimango da solo. Ho una fame da lupi, la sigaretta mi ha vuotato lo stomaco. Oggi è venerdì, mia mamma mi ha promesso che troverò la pizza sulla tavola. Come fa la pizza mia mamma non la fa nessuno.
Prepara una teglia tutta per me, una teglia da forno in metallo smaltato, nera, con l’interno bianco. Ieri dal salumiere deve aver comprato prosciutto, acciughe, olive e carciofini, ho visto nel frigorifero i pacchettini di carta oleata. Mancano ancora i funghi per una vera quattro stagioni, ma va bene lo stesso.
Quando arriverò a casa preparerò l’acqua con le bollicine, è un mio compito e mi piace farlo. Prima la bustina blu, poi la bustina rossa, si aspetta due minuti ed è pronta, frizzante che fa bruciare il naso. Giro l’angolo e vedo già casa mia, il cancelletto è aperto. Questa mattina il Professor Perez di educazione artistica ha detto che ho talento, ha scelto alcuni miei disegni a tempera per esporli nella mostra di fine anno. Lui dice che finite le medie potrei iscrivermi al liceo artistico, che sono portato per l’arte. Perez mi ha confidato che sono l’unico della classe a cui consiglierebbe quella scuola. Tra una fetta di pizza e l’altra glielo racconterò a mia mamma, così per una volta non dirà che sono un asino. Sono arrivato e rimando i miei pensieri di cosa farò da grande a un altro momento, anche se la voglia di crescere in fretta è tanta.
Salgo le scale tre gradini per volta e rimango un po’ stupito e deluso, normalmente già al piano terreno sento il profumo della pizza. Suono il campanello. Silenzio, nessuno apre.
Mi chino, e prendo la chiave nascosta dietro al vaso di gerani. È un segreto, per le emergenze, lo conosco solo io. Entro. La cucina è vuota, la tavola non è apparecchiata, il forno è spento. La televisione è accesa e il telegiornale sta trasmettendo immagini in bianco e nero. Mia mamma è sdraiata sul divano con gli occhi chiusi. Ho un attimo di batticuore, poi però vedo la bottiglia vuota di Fundador sul tappeto, un bicchiere rovesciato e il portacenere colmo di mozziconi di sigaretta.
Sono abituato a questa scena, però oggi non me l’aspettavo. Mi aveva promesso la pizza.
Torno in cucina, riempio un pentolino con dell’acqua e mezzo dado. Accendo il fornello. Tempestine Barilla, cottura 7 minuti.
https://youtu.be/fkT6q_lM4WY (Ben Harper - Don't give up on me now)