Dietro le tende in lino ricamate a mano con motivi floreali in stile Liberty, Ricky osservava pensieroso il traffico che da via Giolitti portava a Piazza San Carlo.
L’ elegante appartamento situato all’angolo della strada intitolata al famoso statista piemontese era provvisto di un luminoso bowindow, tanto in voga negli edifici aristocratici di inizi novecento della capitale dell’auto.
Come se un sesto senso gli anticipasse qualcosa di inevitabile, Ricky si muoveva su e giù per la stanza, nervosamente, con passi silenziosi, attutiti dal morbido spessore di un antico tappeto caucasico della regione Nagorno-Karabakh.
Due Alfa Romeo dei Carabinieri a sirene spente si fermarono sotto il portone di ingresso del palazzo e quattro uomini in divisa scesero velocemente guardando in alto nella direzione della sua finestra.
Ricky spense la Marlboro in un portacenere d’ ottone che raffigurava una sirena seduta su uno scoglio, aprì il trumeau in noce massello con intarsi in avorio del 700 e da un cassetto segreto tirò fuori un anello in oro bianco impreziosito da un diamante grande come un acino d’uva.
“Kristal ! Su, Kristal, vieni qui, bello !”
Scivolando con le unghie su un angolo di parquet in mogano rosso libero da tappeti, sbavando e scodinzolando, Kristal, il mastino napoletano di Ricky arrivò da lui.
Ricky prese da una scatola due croccantini secchi per cani, li tirò in aria e il pesante molossoide di 80 chili li agguantò al volo ingoiandoli, poi tirò in aria l’anello che fece la stessa fine.
Contemporaneamente suonarono alla porta.
Felipe, il tuttofare guatemalteco andò ad aprire, ma non ebbe tempo di capire cosa stava succedendo, che un ufficiale e tre militi fecero irruzione nel salotto.
Il mandato d’arresto e di perquisizione parlava chiaro.
Era partito dalla madre di Ricky, Donna Adelaide, stanca di essere derubata da un figlio nullafacente, cocainomane e con le mani bucate.
Dopo un veloce colloquio preliminare col Comandante delle pattuglie, Ricky non ebbe alternativa che salire su una delle due gazzelle bianca e blu per essere discretamente condotto al Carcere delle Vallette, mentre l‘altra squadra procedeva alla perquisizione dell’alloggio.
A casa del giovane, con grande sconforto del gruppo investigativo in divisa, non fu trovato nulla di rilevante a parte una modesta quantità di cocaina e Ricky, dopo quarantott’ore, fu rilasciato.
Un taxi lo riaccompagnò alla sua abitazione e una volta entrato nel portone, trafelato, facendo i gradini tre alla volta si catapultò in casa, nella cucina della servitù dove il tuttofare guatemalteco, moglie e figlio stavano mangiando.
“Felipe !! Ha portato Kristal a fare la passeggiata e i bisogni , e dove ?”
“Certo Senor, nei giardini di Piazza Cavour, tre volte al giorno come sempre”
“Ha raccolto con la paletta e gettato nel cestino dei rifiuti il sacchetto ?”
Spaventato da quell’insolita richiesta e dall’aria stravolta del suo datore di lavoro, il fedele Felipe mentì dicendo di sì.
Se c’era qualcosa che veramente gli faceva schifo, era proprio raccogliere quei maleodoranti escrementi.
Come un invasato, Ricky scese di nuovo in strada e correndo a perdifiato arrivò ai giardini di Piazza Cavour.
Cominciò dal primo cestino.
Con un senso di disgusto affondò le mani dentro.
La gente che passeggiava lo guardava e scuoteva la testa, un altro tossico fuori di testa era l’unica spiegazione logica.
Stava diventando buio e lui non poteva andare tanto per il sottile e fare lo schizzinoso, inspirò un po’ di aria fresca e continuò il suo ingrato lavoro.
Cestino dopo cestino, sacchetto dopo sacchetto, col batticuore ogni volta che trovava un contenitore igienico per animali, lo apriva e come un investigatore dei RIS, aiutandosi con la Mont Blanc, fanculo anche a lei, controllava, apriva, spalmava.
I polsini della sua camicia Harmont & Blaine erano disgustosamente sporchi di immondizia, le mani meglio lasciar perdere.
L’ultimo cestino non era diverso dagli altri.
Nulla.
Ricky sconsolato, con le lacrime agli occhi, andò verso la fontanella a forma di toro di Piazza Maria Teresa per darsi una sommaria ripulita.
A una decina di metri da lui un barbone che si dirigeva verso una panchina tirò una bestemmia che avrebbe fatto arrossire anche un camionista bulgaro.
“Maledetti cornuti che non raccolgono la merda dei loro cani !”
Il clochard si sedette sul marciapiede e si tolse lo scarpone con la suola in vibram, per ripulirlo.
Attaccata alla suola, ricoperto di una spessa coltre di escremento canino, un anello con una pietra di grosse dimensioni brillava alla luce fioca del lampione.
Aiutandosi con un pezzo di giornale, il barbone ripulì il gioiello, una lucidata sulla manica e infine, dopo una occhiata soddisfatta, lo infilò al dito mignolo.
Guardandosi la mano ingioiellata, con le dita aperte e le unghie nere, esclamò.
“Porco boia! E’ proprio vero che porta bene pestarle !”
https://youtu.be/MzvgXRLxw9A (The Verve - Lucky Man)