Tweed - Dal nome del tipico rivestimento in tessuto color miele (in rarissimi casi verde), i Fender Tweed fecero la loro comparsa sulla scena musicale (con il primo Champion 800) nel 1948 e tale rivestimento sarebbe stato dismesso solo nel 1960 (unica eccezione il Champ, fino al 1964).
Blonde/Brownface - Dopo il periodo Tweed, Fender cominciò a utilizzare il tolex e comparvero due tipologie di colori: blonde (color crema) e brown (color caffè). L'utilizzo in contemporanea di queste due tinte sarebbe durato dal 1959/60 al 1964.
Blackface - Dal 1964 al 1967 fecero la loro comparsa gli amplificatori in tolex nero con mascherina nera e scritte bianche, forse i più apprezzati di sempre probabilmente per la loro massiccia presenza sui palchi e negli studi di quasi tutto il mondo durante un periodo musicalmente esplosivo, affidati a mani indimenticabili che ne avrebbero immortalato l'essenza, le sonorità nel cuore di generazioni di musicisti e ascoltatori... oltre a varie tonnellate di vinile.
E dopo?
Dopo vennero i Silverface, emblema (nell'immaginario comune) del passaggio del marchio dal buon vecchio Leo a CBS e del successivo periodo di lento declino che avrebbe caratterizzato tale gestione fino al 1985, quando CBS cedette le redini a FMI (Fender Musical Instruments) costituita da Willy Schultz (ex presidente della divisione strumenti musicali della CBS e promotore dell'iniziativa che coinvolse gli impiegati Fender di ogni livello per rilevare il marchio, rendendolo la realtà che oggi conosciamo).
Parentesi storiche a parte, è necessario precisare che, aldilà degli abiti, gli amplificatori che li indossavano avevano dei propri concepts caratteristici sia da un punto di vista costruttivo sia come target di mercato in termini di generi musicali e di potenza finale. Questa è una verità almeno per le prime tre famiglie di amplificatori citate all'inizio. Seppure in realtà tutti i blackface dal '65 al '67 siano già a tutti gli effetti di produzione CBS (e non tutti pre-CBS come qualcuno potrebbe erroneamente pensare) è innegabile come in questa fase il nuovo management non abbia alterato la filosofia costruttiva e progettuale del buon Leo, conservando in gran parte l'uso del cablaggio tipico e la componentistica cara al padre del marchio. Dal 1967, con la nascita dei primi Silverface, la politica aziendale iniziò a rivolgersi sempre di più al risparmio sacrificando allo stesso quella qualità costruttiva che aveva caratterizzato il periodo precedente, modificando (e talvolta stravolgendo) i concepts originali degli ampli ai quali si ispiravano fino ad arrivare a prodotti che in comune con il modello ispiratore avevano solo il nome.
Quanto detto finora sembrerebbe giustificare l'opinione (e il conseguente atteggiamento) di tanti appassionati dei vecchi ampli del blasone californiano la cui passione si ferma davanti ai Silverface. Quello che molti non sanno è che quanto detto finora è vero principalmente (oserei dire esclusivamente) per gli ampli di grosso wattaggio, mentre è lontano dal vero per gli amplificatori fino ai venti watt, dove il design costruttivo di Fender fu appena sfiorato se non addirittura lasciato inalterato.
Mi riferisco in particolare a due amplificatori che sembrano fatti (oggi come allora) per un'enorme schiera di musicisti consapevoli di quanto siano davvero consistenti 15/20 Watt per suonare in sala o in locali medio-piccoli: Princeton Reverb e Deluxe Reverb.
Credo che il modo migliore per descrivere l'argomento sia proporvi un'esperienza reale vissuta da me e un fortunato amico che si è presentato da me con un Princeton Reverb del 1978 arrostito per il prevedibile decadimento del famigerato condensatore elettrolitico multiplo di alimentazione e un uso alternativo del fusibile e dei suoi valori (promuovendolo da salvacircuiti ad arma di distruzione di massa).
Trasformatore di alimentazione bruciato, elettrolitico defunto, finali e rettificatrice alla frutta e tanto sconforto per un bel suono perduto.

Con una prima occhiata devo dire che, come tutti i Silverface, mi ha lasciato sconsolato per il cablaggio caotico (seppure sia sempre a tutti gli effetti un point to point su eyelet board) rispetto ai predecessori sui quali ho avuto il privilegio di mettere le mani e la punta del saldatore. Riguardo alla componentistica, non ho mai apprezzato i condensatori di segnale utilizzati, una sottospecie di Orange drops 715 ma sul cianotico per aspetto e sterilità di suono (e se credete che non siano percepibili differenze fate pure).
A questo punto parte un dibattito acceso tra me ed il mio amico: restauro filologico, upgrade a blackface (per le poche differenze che ci sono) o Princeton Reverb on steroids maggiore per affidabilità, headroom, soglia di clean, volume e capacità digestive invidiabili nell'assunzione di pedali?
Dopo un mesetto o più, complice un tagliando a un bel Deluxe Reverb poco più anziano, con le idee più chiare contatto il mio amico e gli sottopongo la mia idea di Princeton Reverb on steroids:
- upgrade del trasformatore di alimentazione con uno più performante di casa Hammond
- upgrade del trasformatore di uscita per prevenire la saturazione indesiderata, aumentare l'headroom e tirare un po' di più le 6V6 passando dal trasformatore del Princeton Reverb (8000 ohm/8 ohm 15W) a quello per il Deluxe Reverb (6600 ohm/8 ohm 20W)
- cambio di raddrizzatrice dalla 5U4 alla GZ34 per diminuire sensibilmente il sag, cioè quella compressione sui picchi che si avverte a volume medio/sostenuto e relativo impoverimento della soglia di clean dovuti allo sforzo della raddrizzatrice spinta al limite delle sue capacità (nel caso della 5U4)
- upgrade condensatore elettrolitico multiplo da 20-20-20-20/450V a 40-20-20-20/500V JJ Electronics e alimentazione divisa in quattro stadi invece che in tre, per dedicare uno stadio alla phase inverter (allo scopo di rubarle un'ulteriore spinta) fornendole una tensione più alta rispetto a quella delle preamplificatrici
- bias regolabile al posto del bias a tensione fissa predeterminata dalla casa costruttrice
- doppio circuito di feedback selezionabile da switch per passare dal guadagno convenzionale a un guadagno maggiore (e una voce diversa ovviamente)
- resistenze di precisione a film metallico per il segnale, condensatori di segnale mallory e resistenze metal oxide da 2W per alimentazione, anodi e punti strategici
- montaggio point to point, ovviamente su torrette.
- varie ed eventuali piccole modifiche a valori dei componenti o parti del circuito in fase di test e secondo lo scopo.
Prima della cura

Confronto A/B tra il trasformatore di uscita originario e l'upgrade nuovo

Dopo la cura

Qui vi confido un segreto (alcuni andrebbero in terapia per molto meno) per dare il buon esempio e per fare outing: soffro di un'insana paura dell'elettricità. Mi spiego meglio: nonostante abbia un'esperienza non di primo pelo in questa materia, ogni volta che completo un lavoro (a prescindere dall'entità dello stesso) ho sempre il timore di aver fatto un errore che manderà in fumo tutto o, peggio, che mi folgorerà sul colpo anche se non mi è mai successo nonostante carriole di valvole sostituite, chilometri di cavi usati e giornate passate tra oscilloscopio e saldatore. Tutto questo per invogliare i neofiti in materia non a desistere, ma a fare con prudenza e un po' di sana diffidenza. Anche se non mi è mai successo, non smetto mai di pensare che per un attimo di distrazione o una piccola leggerezza potrebbe succedermi. Un suggerimento: queste cose si fanno da soli, preferibilmente in silenzio e, quando si fatica a concentrarsi, si posa lo schema, il saldatore o qualsiasi altra cosa si abbia tra le mani e si va a fumare una sigaretta o a prendere un caffè... per i più virtuosi vanno bene anche due passi.
Tornando al tema, dopo i test di routine, il montaggio di un bel set di valvole e la taratura del bias, è il momento di collocare lo chassis nel suo mobile, collegare lo speaker, collegare il riverbero, accendere l'ampli, lasciarlo riscaldare e vedere cosa succede. A onor del vero, molto si sente solo dopo qualche decina di ore di funzionamento, quando le placche cominciano ad ammorbidirsi e la rettificatrice è rodata. Al primo impatto quello che è venuto fuori è stato l'headroom molto più evidente (volume a 3-4, bass 5, treble 5, reverb, speed e intensity rigorosamente a zero), un senso di leggero riverbero presente al naturale, molto dinamico e capace di raccogliere con meno sofferenza anche una mano destra pesante con il plettro.
Nonostante la prima prova venga fatta con il selettore del negative feedback posizionato sul valore canonico, l'ampli è molto più presente e azzardare su 3-4 di volume è già al limite della sofferenza per l'ambiente che ho a disposizione. Nella stessa modalità, passo alla sezione riverbero e tremolo (dove ho osato qualche modifica per moderare appena il reverbero, secondo me eccessivo da 6-7 in poi) a favore di un maggiore segnale dry e per migliorare la gestibilità del tremolo, soprattutto il comando speed, e riscontro quanto mi aspettavo: il potenziometro del riverbero da 6 a fine corsa non è più prolassante e il comando di Speed del tremolo è più user friendly, permettendo regolazioni più agevoli.
Provo due pedali, Tubescreamer e Booster MXR, trascritti nello stesso ordine con il quale sono stati collegati all'ampli: con il Tubescreamer c'è poco da dire, andavano abbastanza d'accordo già prima, ma adesso c'è una continuità diversa e ho avvertito come più piacevole il passaggio dal clean all'overdrive. Spento l'overdrive, provo a spingerlo un po' con il booster e il primo triodo della preamplificatrice ci mette del suo saturando dolcemente: da questo a riaccendere l'overdrive lasciando il booster così com'è il passo è breve.
A Tubescreamer acceso, riducendo leggermente il gain è uscito dallo speaker un suono che mi ha indotto a suonare per quasi un'ora in stato di demenza/ipnosi limitandomi a soste brevi giusto il tempo di ascoltarlo su speaker diversi.
La tentazione di non restituire questo ampli anabolizzato al titolare legittimo prima di un anno o due è stata forte.
Tornando alla questione speaker, devo dire che l'originale da dieci pollici (CTS in alnico) fa il suo lavoro nei limiti costruttivi (anche in quel caso in verità soffre sui bassi e non mi fa proprio impazzire) e non è molto adatto a suoni più spinti (date le intenzioni originarie del costruttore ha un senso) mentre l'amplificatore in esame cambia diametralmente sul Celestion G10 Vintage (circa settanta euro) dove migliora molto e acquista una mediosità piacevole, sconfinando forse troppo lontano (ovvio) dalle originarie sonorità clean.
Un sorprendente e inaspettato candidato, per coerenza con le caratteristiche dell'originale, ma con un marcia in più sui bassi e un'interessante risposta in overdrive, è stato un economico Eminence Legend 105. Se tanto mi dà tanto, restando in casa Eminence, un bel Ragin Cajun potrebbe essere la risposta migliore come compromesso tra clean e overdrive, restituendo anche bassi meglio definiti.
Condivisa quest'esperienza, è il momento di tornare all'argomento iniziale: i bistrattati Silverface.
Alcuni di questi amplificatori, in particolare i due modelli citati sopra (Princeton Reverb e Deluxe Reverb) di wattaggio interessante, grazie alla fama immeritata che si ritrovano sono reperibili oggi sul mercato a cifre comprese tra i 6cento e i mille euro contro le stime pari al triplo dei progenitori blackface (dai quali differiscono per la veste estetica e per il cablaggio forse un po' caotico ma tutt'altro che critico in termini di suono). Dall'altro lato del campo ci sono i relativi reissue models (differenti per progetto e costruzione) a prezzi addirittura superiori.
Forse, con qualche pregiudizio in meno, ci si può ritrovare con un buon amplificatore tra le mani, facile da riparare o persino modificare togliendosi lo sfizio di modellarlo secondo le proprie necessità con poche ma sostanziali operazioni. Da quegli schemi, modificando e ampliando quei criteri costruttivi, è partito persino Alexander Dumble per arrivare creare un ampli diverso da tutti, l'ODS.
Conclusioni? Giudicare un ampli dal vestito è come valutare le grazie di una fanciulla d'inverno: meglio farlo dopo che si è tolta almeno il cappotto!