di aPhoenix90 [user #22026] - pubblicato il 16 dicembre 2011 ore 19:00
Da John Dryden ai Queen: perversione o follia?
Quando scrissi l'articolo su «Il Potere evocativo della Musica», trovai per caso in rete un documento assai curioso: si tratta di un'opera di John Dryden, poeta (e non solo) inglese la cui esistenza è coincisa quasi alla perfezione con l'età del Secolo Lungo (stiamo quindi parlando del 1600).
Il documento è intitolato «Alexander's Feast, or the Power of Music» (1697), successivamente tradotto nel 1819 da Angelo Mazza in «Il potere della musica sul cuore umano». Si tratta di un'ode scritta in occasione delle celebrazioni di Santa Cecilia, santa patrona della musica e dei musicisti.
Dopo la conquista di Persepoli (capitale persiana) ai danni di Dario I, Alessandro Magno allestisce una gran festa dove il suo "ammiraglio" (un bardo/cantastorie e quindi necessariamente un leccapiedi) Timoteo ne canta le lodi. La vicenda è molto divertente perché mette in evidenza il fatto che le emozioni di Alessandro siano completamente manipolate dalle parole e dalla musica della poesia di Timoteo... alludendo all'ipotesi secondo la quale la musica avrebbe un'incisione tutta speciale nella logica delle azioni umane.
Inizialmente lo glorifica come un dio, gonfiandolo d'orgoglio. Poi canta i piaceri del vino incoraggiandolo a bere, ma vedendolo sbronzo e chiassoso, devia i suoi versi sulla triste morte di Dario, riportando il re alla quiete. Successivamente loda la bellezza di Thaïs (l'amante di Alessandro...) sciogliendo il cuore del suo re, e infine incoraggia i sentimenti di rabbia e vendetta che portarono gli stessi Alessandro e Thaïs a incendiare la città per vendicare i soldati caduti in guerra. Insomma, la musica sarebbe la grande burattinaia dei sentimenti umani.
Il testo fisico della poesia è vestito di un linguaggio molto arzigogolato, il che rende in poche righe lo scritto (dalle intenzioni vagamente satiriche) quanto di più palloso sia mai stato letto... In ogni caso, se qualcuno fosse particolarmente interessato e abbia la pazienza di leggere con meticolosa concentrazione, può trovare qui la traduzione italiana. Effettivamente dopo un paio di letture se ne colgono gli aspetti divertenti.
Come era inevitabile e scontato che accadesse, Alexander's Feast diventa una sorta di oratorio musicale composto da Georg Friedrich Händel nel 1736. Sebbene non sia un amante della musica classica, devo ammettere di aver apprezzato almeno una parte dell'opera, che rimane comunque troppo lunga affinché le mie orecchie possano ascoltarla con attenzione per intero (dopo un po' mi faccio due maroni così). Ve ne lascio un assaggio:
Ero già fortemente convinto che la musica avesse una particolare attitudine a svolgere il ruolo di interfaccia istintiva attraverso la nostra sfera intima, qui però ne deriva un discorso sull'incisività e sull'interdipendenza: musica ed essere umano sembrano condizionarsi a vicenda, senza possibilità di soluzione.
È chiaramente evidente che la musica, alla luce di quanto detto, abbia un legame di interdipendenza implicita con i sentimenti propri dell'essere umano.
A questo punto però, tra archi e fagotti, comincia a stuzzicarmi il ricordo dei Queen della «No-Synth Era», di Sheer Heart Attack, di News of the Word e in particolare di A night at the Opera. Non si tratta di analogie tecniche, ma di sensazioni astratte.
Non ho ancora ben capito se la mia sia una fissazione volontaria o una preoccupante patologia nei confronti della Royal Band... Ma chissà come avrebbe reagito Alessandro Magno all'ascolto di questa canzone: