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Flex-Able, il debutto di Steve Vai
Flex-Able, il debutto di Steve Vai
di [user #17404] - pubblicato il

Dedichiamo una retrospettiva a Steve Vai riascoltando alcuni dei suoi album più vecchi e meno conosciuti. Partiamo con Flex-Able suo album d'esordio, intriso di influenze Zappiane e straripante di virtuosismi alieni.
Flex-Able è il debutto di Steve Vai come solista, stampato nel gennaio del 1984.
Pubblicato da un Vai giovanissimo ma già reduce da tre anni di tour e registrazioni con Frank Zappa, il disco è interamente prodotto e registrato dal chitarrista che si costruisce uno studio di registrazione investendo quanto guadagnato dalle sue collaborazioni con Zappa, che gli mette inoltre a disposizione parte della strumentazione.
Vai è spronato a incidere un suo lavoro proprio dalle insistenti lettere e richieste dei fan di Zappa, ammirati e incuriositi dalle esecuzioni impossibili del giovane virtuoso. L’album risente totalmente dell’influenza Zappiana e, a un ascolto distratto, potrebbe essere addirittura confuso con un disco di Zappa stesso.
Flex-Able è molto lontano da quello che ci si potrebbe aspettare dal debutto di uno dei più grandi shredder e chitarristi rock di sempre. Vai racconta che dopo nove mesi investiti nel costruire e allestire lo studio di registrazione dove incidere Flex-Able, sentiva la sua forma chitarristica non al top.
Così, nella scelta dei brani da inserire nell’album, preferisce quelli più legati all’arrangiamento piuttosto che al chitarrismo funambolico. Gli episodi chitarristici estremi lo stesso non mancano, ma sono diluiti tra deliziose composizioni tra lo strampalato e lo stralunato che nascondono maniacali virtuosismi di scrittura, arrangiamento e sperimentazione.
Vai incarna una nuova figura di guitar hero che si lascia alle spalle l’immagine del virtuoso sanguigno, tutto pentatonica, con la camicia a fiori aperta sul petto villoso e la chitarra alle ginocchia.
E’ un ventenne nerd, pallido ed emaciato, che scrive e legge la musica meglio di un direttore d’orchestra, nomina Dio come sua principale fonte d’ispirazione ma è capace di pronunciarsi in virtuosismi pornografici e satanici. Il giovane Steve Vai cita Beck, Page e Hendrix tra i suoi maestri ma ad ascoltarlo pare abbia studiato chitarra tra i marziani: non c’è traccia di blues e di pentatonica nella sua musica e nel suo fraseggio. 
Non solo. Vai costruisce il suo solismo quasi esclusivamente su scale modali, arpeggi, ma riesce a sdoganare persino questi elementi dalla pronuncia jazz e fusion tradizionale.
Nei suoi assolo tra legati, tapping, giochi di leva, armonici e armonizzazioni cervellotiche tutto suona nuovo, alieno e irriproducibile.
Tra gli episodi più chitarristici, l’album contiene “The Attitude Song” e “Call It Sleep” brani tra i più intensi di tutta la produzione di Vai e manifesto di come da lì, il virtuosismo chitarristico per come lo si era inteso fino ad allora, avrebbe assunto ora nuove forme, colori e preteso un nuovo standard esecutivo.
“Call It Sleep” in particolare è una ballad intensa, dedicata alla morte, con tinte struggenti e lancinanti. Vai esplora le possibilità del Floyd Rose con un piglio radicalmente diverso dell’approccio più irruento alla leva di Van Halen e Hendrix. Le corde sembrano diventare elastici per come Vai stiracchia e dilata le note con l’aggiunta di un controllo e una consapevolezza ritmica e melodica chirurgiche. Vai ridefinisce anche il suono della chitarra solista mostrandosi poco interessato al classico suono da Marshall imballato e opta per una distorsione più ricercata, trovando tinte più scure, algide e quasi digitali.
 
 
Flex-able contiene anche dei veri e propri mostri disegnati con la chitarra elettrica come “Chronic Insomnia”. Vai incide questo pezzo dopo che per tre giorni e tre notti di fila non chiude occhio e continua a suonare e registrare senza sosta: sono due minuti di sovraincisioni di deliri cacofonici, sproloqui di leva, armonizzazioni malate; un’ inquietante foto in musica delle turbe di un giovane genio destinato a diventare tra i più famosi chitarrista rock al mondo.
 
 
 
“So Happy” è una delle prove di virtuosismo metrico, ritmico e armonico più shockante anche se  a primo acchito meno appariscente, al quale si possa assistere. Steve Vai, come già aveva fatto con Zappa, doppia con la chitarra, parola, per parola, fonema per fonema, un discorso frenetico pronunciato da un ragazzino. Ricalcandone ogni sfumatura e inflessione, dimostra di riuscire a codificare su pentagramma e pronunciare con la chitarra una delle cose ritmicamente più irregolari, il parlato. Terrificante, soprattutto se si pensa che allora non era possibile editare e quantizzare in digitale come si fa oggi.
Ma sono tante le schegge di musica impazzita presenti in questo disco; piccoli capolavori disturbati come la ritmica in cinque di "Little Green Man" che sembra una specie di rap suonato da Eta Beta, la dichiarazione d'amore al modo Lidio di "Salamanders in The Sun"o l'assolo sconvolgente di "Junkie" dove Vai fa alla chitarra quello che nemmeno il più efferato e fantasioso dei serial killer avrebbe il coraggio di fare alla sua vittima più desiderabile.
 
 
Flex-Able è un disco talmente folle e sui generis che non può invecchiare. Era assurdo allora e lo è altrettanto oggi, con l’aggiunta che l’idea che sia tutto suonato e registrato in analogico rende ancora più sconvolgente la portata del virtuosismo di Vai.
Il Vai di Flex-Able è giovane, dissacrante e alterna sense of humor a ferocia spietata alla chitarra, senza ancora quel respiro tra il mistico, l’epico e l’auto celebrativo che inizierà a serpeggiare tra i suoi dischi successivi.
 
LA STRUMENTAZIONE
 
Erano ancora lontani gli anni della collaborazione con Ibanez. Vai incide questo album con una Fender Stratocaster del 1977 ricoperta di adesivi e al cui ponte monta un Humbucker Di Marzio, pare un X2N. L’amplificatore è una testata Carvin X100 da 100 Watt abbinata a una cassa 4x12 sempre Carvin. Vai, oltre a un piccolo assortimento di effetti a pedali dell’MXR, tra cui un immancabile Phaser P90, si serve dell’outboard del suo studio per processare le chitarre: un delay della Korg usato per chorus e delay, un phaser shifter e un flanger dell’Eventide, un paio di unità di riverbero AKG e Pearl e un Eq della Peavy. Per i microfoni il classico SM-57, un Beyer 500 e due Sennheisers. 
 
Flex-Able, il debutto di Steve Vai
 
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