Una cosa è certa: quando la si comincia a scrivere, di sicuro non ci si pone la domanda. E nemmeno quando si è in corso d’opera o la si sta ascoltando ormai realizzata, a casa o in studio. Si tratta, dunque, di una domanda che ci si pone quando si è molto in là con l’esperienza compositiva e si è già riusciti ad accendere qualche luce fuori e qualcun'altra dentro noi stessi. Luci personali di chiarimento, che raramente servono a illuminare il percorso ai nuovi cantautori.Voi, se vi sentite di appartenere a questa categoria, non ponetevi la domanda. Anche perché, probabilmente, non avete altra risposta che quella di dire che si è trattato di dar corpo, deforme o bellissimo non importa, a una semplice urgenza, anche fisica. Eravate come un vulcano in fase eiettiva, eruttavate note appiccicose di sensazioni, lapilli d’esperienze, bugie e maledizioni, stupide frasi d’amore e grappoli di niente. Il tutto per il tempo di qualche tormentoso minuto o in qualche secondo di intenso morire.
Io non credo più a quelli che asseriscono che hanno composto in tranquillità il nucleo importante, testuale o musicale, del brano. Facevo parte anch’io di questa schiera. Ero un fan di Wordsworth, poeta inglese, che asseriva che la creazione era un flusso di emozioni “recollected in tranquillity”, cioè ricordate in gran serenità. Poi, col tempo, almeno per quanto mi riguarda, mi sono reso conto che in realtà il pezzo (o il solo testo o la sola musica) lo avevo composto prima dell’effettiva scrittura, nel turbinare di qualche vera emozione, e che il momento della tranquillità compositiva era, ed è, solo il momento “dattilografico”, del salvataggio, del riportare a galla, della cazzuola e malta, del far scoppiare le munizioni e dar loro, se possibile, la bellezza dei fuochi artificiali.
Dunque l’urgenza di “sputar fuori il ranocchio”, ingoiato in precedenza, è la ragione più nobile per cui si scrive una canzone. Significa cercare di trasformarlo in principe, senza grande coscienza di far questo; comunque di toglierselo di dentro, per motivi di ingombro o desiderio di dargli una vita tutta sua.
Certo di ragioni che spingono alla composizione ce ne sono molte altre: celebrative, di “obbligo” professionale (il classico brano commissionato da/per qualcuno), imitative e di analisi (un buon esercizio, indubbiamente). Le principali, e più interessanti artisticamente, restano comunque quella di costruire marker del proprio passaggio o quella di soddisfare un’esigenza liberatoria. Che poi quest’ultima si concretizzi in un poderoso Vaffa o in una preghiera alla Vergine non è importante.
Credo che se si interrogano quelli che hanno provato, al di là dei risultati, la via compositiva (io direi al benessere interiore!), alla domanda “Perché?” le risposte potranno esssere le più varie, tipo: perché mi girava intorno una chitarra, perché la birra fa questi scherzi, perché volevo dirgliene un po’ alla stronza che mi ha mollato, perché volevo diventare Elvis, perché non ho mai parlato con qualcuno e mi restavo solo io... e via discorrendo. Nel prossimo appuntamento inizieremo una lunga strada asfaltata di tanti “Come”, sperando che anche i vostri contributi aprano porte inconsuete e interessanti.