Tra le varie risposte-commenti ai primi articoli della rubrica “Il canta-Untore”, da parte di Adriano 26 ne ho ricevuta una che si è poi trasformata in contatto diretto e il desiderio di sottopormi alcune sue composizioni ascoltabili a questo indirizzo.
L’occasione si è fatta ghiotta per me perché avevo a disposizione del materiale fresco da analizzare, ascoltabile eventualmente da subito anche da tutti gli accordiani interessati e quindi con la possibilità di dare spunto a una chiacchierata potenzialmente interessante e costruttiva. Ecco cosa avrei scritto ad Adriano26 nel caso lo avessi contattato in privato. Per chi voglia entrare nel gioco è obbligatorio, prima di leggere quanto segue di andarsi ad ascoltare i brani.
Caro Adriano, butterei subito sul tavolo un’osservazione che mi è venuta di botto. Nel primo pezzo, se non sbaglio, canti che la timidezza esiste ma non è il caso mio. La sensazione è che invece questo sentimento dalla faticosa bellezza appartenga anche a te, così come appartiene a un vagone di artisti. Forse mi sbaglio ma il grande desiderio di non esserlo produce spesso una specie di paravento protettivo al fatto di esserlo. Come mi dico e dico sempre: la timidezza è un tesoro. È un piccolo vulcano che sputa creatività appena lo si riesce, anche timidamente, a stappare! Questa breve annotazione mi fornisce il La per dire di fare attenzione alle contraddizioni nei testi.
Siamo tutti pieni di contraddizioni, a volte nello stesso fluire di un discorso ci ingamberiamo senza accorgerci in qualcuna di esse. Il fatto è che in un discorso abbiamo il tempo per una correzione. Nel testo di una canzone (a meno che la contraddizione sia voluta, e poi giustificata) purtroppo no e questa rimane come una macchiolina che non si può smacchiare. Per sottolineare sbrigativamente le cose più evidenti, ti consiglierei di fare più attenzione agli accenti nelle parole del testo, di essere più sintetico in generale (le ripetizioni se non hanno funzione ossessiva, ritmica o altro, diventano noiose), di curare maggiormente la precisione della linea di canto (a volte sembra improvvisata), se possibile di uscire dalla mitezza che pare essere un tuo tratto distintivo e frequentare l’aggressività verbale ed esecutiva. Vocalmente non posso sapere se ti puoi permettere di più della vocina che ti ritrovi. Potrebbe essere, basta provare. A volte ho scoperto che le voci così servono a farsi compagnia. Non sempre è bene. Ho imparato che scuotersi, anche usando la propria stessa voce, è stimolante, esplorativo di zone nascoste di noi stessi. Quindi, buttati sia con i testi sia vocalmente.
Per quello che puoi, ovviamente, ma sono certo che qualcosa scopri rischiando di mettere un po’ di brutalità sopra una crosta di mitezza, magari troppo compressa. Quando canti nelle divisioni che io chiamo “sbarazzine” mi ricordi un po’ Carmen Consoli ma lei ci dà dentro, si sfida e sfida, colpisce, sfregia. Prova anche tu. Compositivamente si fa sentire il fatto che scrivi per te, che non sei molto attento all’efficacia di quello che fai, che riposi un po’ troppo su quello che ti piace (sia esso un arpeggio, un suono). L’efficacia è fatta con la tecnica pugilistica del colpisci-arretra, dolce-amaro.
È la tecnica del contrasto, dell’inconsueto che crea sorpresa. Esempi banali: il sole a mezzanotte o il bacio non dato. Musicalmente: una tessitura di violoncello che si accompagna a una tessitura di chitarra elettrica distorta, un ritmo latino travolgente ad accompagnare un testo tristissimo.
Per ora mi fermo qui, facendoti comunque i complimenti per la voglia e la vontà di fare quello che ti piace e in cui credi. Sentiamo cosa ne pensano gli altri. Poi continueremo il discorso con serenità, sperabilmente senza asprezze.
Ciao.
Maurizio