di Giovanni Ghiazza [user #31] - pubblicato il 15 febbraio 2013 ore 13:30
Un argomento sempre caldo tra i chitarristi è quello delle corde: marche, materiali, scalature, finitura e altre caratteristiche costruttive sono sovente oggetto di dibattito per chi è alla ricerca del suo miglior suono.
Un argomento sempre caldo tra i chitarristi è quello delle corde: marche, materiali, scalature, finitura e altre caratteristiche costruttive sono sovente oggetto di dibattito per chi è alla ricerca del suo miglior suono.
Tutti sappiamo, e in onestà dobbiamo ammettere, che le variabili sono veramente tante e, di conseguenza, ogni giudizio è fondamentalmente soggettivo. Metto quindi le mani avanti: quanto sto per esporre, sebbene trovi fondamento su dati oggettivi, non ha particolari pretese, ma è semplicemente il frutto di un mio divertissement dal quale il lettore potrà magari trarre qualche spunto di riflessione.
L’esercizio è stato quello di raccogliere e mettere a confronto le scalature (gauge) delle corde jazz-oriented di marche diverse, per capire un po’ se si potessero evidenziare delle vere e proprie scuole di pensiero.
Ho preso in considerazione i seguenti prodotti: D’Addario Chromes, D’Angelico Stainless Steel Flatwound, Dogal Marchio Rosso (standard e long-scale), Fender Stainless Steel Flatwound, Galli Jazz Flat, GHS Precision, GHS Briteflats, Gibson L-5, La Bella Flat Wound Stainless, Thomastik Swing, Thomastik BeBop, Thomastik George Benson.
Una prima approssimazione è segnalata dal fatto che nella particolare tipologia di corde, quelle indirizzate a essere montate su archtop con pickup magnetico, coesistono le roundwound (Gibson, Thomastik BeBop), roundwound “spianate” (GHS Briteflats) e flatwound (le rimanenti): tutti sanno che la risposta timbrica, specie tra round e flat, è del tutto differente. Ho altresì trascurato, anche se penso che la resa magnetica sia piuttosto diversa, la lega metallica della quale sono composte: si trovano leghe in nickel, nickel cromo, acciaio. Fatte le debite premesse, ecco i risultati, divisi per diametro della prima corda: .011, .012, .013. Ho trascurato, in quanto poco diffusi, set da .010 e .014.
Gauge .011 Tra quelle considerate, la famiglia in questione mostra la massima differenziazione tra i vari produttori: pare che ciascuno abbia una sua particolare ricetta. La composizione del set più diffusa (solo 3 su 10) è: .011 – .014 – .022 – .028 – .038 – .050 Il set più leggero (per somma diametri) è .011 – .047 (Thomastik), il più pesante .011 – .052 (Gibson, La Bella). Ho poi valutato la differenza di massa (somma diametri) tra le prime tre corde (E+B+G) e i bordoni (D+A+E) come espressione di omogeneità: minima differenza per Thomastik (ambedue le versioni), massima per Gibson. Altre indicazioni: il diametro della seconda corda (B) si divide al 50% tra .014 e .015, c’è prevalenza di .022 per la terza (G) e di .050 per la sesta (E, 6 su 10); la maggior variabilità la mostra la quinta (A) con un range oscillante tra .035 e .041.
Gauge .012 La famiglia delle Light mostra viceversa una differenziazione contenuta: tutti i produttori adottano le prime due corde (E, B) in diametro .012 e .016, mentre la terza (G) vede la prevalenza del diametro .024 (62% dei casi) seguito da un sensibilmente più sottile .020 (31%). La composizione del set più diffusa (5 su 13) è: .012 – .016 – .024 – .032 – .042 – .052 Il set più leggero (per somma diametri) è .012 – .046 (Dogal), il più pesante .012 – .056 (Gibson): le due marche sono anche quelle che adottano la sesta corda, rispettivamente, più sottile e più spessa, e anche quelle con la più omogenea e disomogenea composizione, considerando la differenza di massa tra le prime tre corde (E B G ) e i bordoni (D A E).
Gauge .013 Vediamo infine le scalature Regular, che mostrano una differenziazione ancor più contenuta: anche qui tutti i produttori adottano le prime due corde (E B) in diametro .013 e .017. La terza corda (G) vede la prevalenza del diametro .026 (66% dei casi), e solo due produttori se ne discostano: Thomastik che adotta un calibro particolarmente sottile (.021) e Galli che adotta un più normale .024. La composizione del set più diffusa (4 su 9) è: .013 – .017 – .026 – .036 – .046 – .056 Il set più leggero (per somma diametri) è Thomastik, il più consistente .012 – .056 è quello di Galli. Di nuovo, i due produttori si segnalano anche per il set più “omogeneo” e “disomogeneo” considerando la differenza di “massa” tra le prime tre corde (E+B+G ) e i bordoni (D+A+E). Si deve peraltro tener conto dell’assenza da questa scalatura del prodotto Gibson, caratterizzato da bordoni particolarmente sostenuti.
Commento di sintesi finale Non è semplice trarre delle conclusioni univoche. Gli unici dati che emergono con chiarezza, considerando anche le scalature di confine .010 e .014, non riportate perché con un’offerta più limitata, sono soprattutto la filosofia Gibson, che vuole corde roundwound con una forte progressione di massa a crescere verso i bordoni. Del tutto opposta l’impostazione di Thomastik, che offre tutte e due le versioni di avvolgimento, con bordoni leggeri e una più limitata progressione e maggior uniformità di massa. Le caratteristiche evidenziate stimolano riflessioni innanzi tutto circa l’esistenza di un rapporto di proporzione diretta tra massa complessiva (sinonimo di tiraggio) delle corde e consistenza dello strumento (in particolare lo spessore e rigidità del piano armonico), che poi dovrà essere ottimizzato sul singolo strumento. In secondo luogo è evidente come, ragionando in senso elettrico, ci siano gusti differenti circa il bilanciamento del livello di segnale tra bassi e acuti. Questi due ordini di considerazione, associati alle specifiche sopra esposte, possono costituire una prima indicazione utile a meglio orientare la ricerca del set ottimale per il singolo strumento, con risparmio di qualche soldino in prodotti che hanno un costo non così a buon mercato.
Che poi cercare e provare corde, e discuterne dei risultati, sia anche divertente è tutt’altro affare.
Nota della Redazione: Accordo è un luogo che dà spazio alle idee di tutti, ma questo non implica la condivisione di ciò che viene scritto. Mettere a disposizione dei musicisti lo spazio per esprimersi può generare un confronto virtuoso di idee ed esperienza diverse, dando a tutti l'occasione per valutare meglio i temi trattati e costruirsi un'opinione autonoma.