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Addio a Ray Manzarek
Addio a Ray Manzarek
di [user #33493] - pubblicato il

Ray Manzarek, membro fondatore dei Doors insieme a Jim Morrison, è morto ieri in Germania, dove si trovava per motivi di salute. Il tastierista, affetto da un tumore per il quale si stava curando, aveva da poco compiuto 74 anni.
Ray Manzarek, membro fondatore dei Doors insieme a Jim Morrison, è morto ieri in Germania, dove si trovava per motivi di salute. Il tastierista, affetto da un tumore per il quale si stava curando, aveva da poco compiuto 74 anni.

Non è mai semplice commentare la dipartita di un grande musicista. Sono convinta che sia un sentimento diffuso presso chi si è trovato a farlo, quello di sentirsi totalmente inadeguati mentre si tenta di ricordare in poche righe la carriera di chi ha cambiato radicalmente la storia della musica. Si deve parlare di qualcuno che è entrato nella vita di milioni di persone, magari anche nella propria, per non uscirne mai più, e il fardello di rendere un omaggio proporzionato al lascito dell’artista rende il compito decisamente arduo.

È quello che provo oggi nel darvi notizia della morte di Ray Manzarek, tastierista e fondatore dei Doors e uno dei pochi veri miti che io abbia mai avuto, morto ieri in una clinica di Rosenheim, in Germania, dopo aver strenuamente lottato contro un cancro al dotto biliare.

Addio a Ray Manzarek

Nato a Chicago nel 1939, Raymond Daniel Manzarek veniva da una famiglia di origine polacca (il corretto spelling del nome è infatti Manczarek). Grazie alla grande passione per la musica dei genitori, comincia a prendere lezioni di piano intorno ai sette anni e, dopo l’immancabile formazione classica, si appassiona in fasi successive allo stride, al boogie-woogie, al blues (lo vive per le strade della sua città, al mercato di Maxwell Street) e anche al jazz, fino ad arrivare al fatidico incontro con il rock, che gli si presenta nelle vesti di Elvis Presley. Lo vede cantare “Blue Suede Shoes” in tv, al Jackie Gleason Hour, e da allora nulla è più stato lo stesso.

Sembrava destinato ad altro, Manzarek. I genitori speravano che sarebbe diventato un avvocato e per questo passò quattro anni alla De Paul University, studiando legge ed economia. Le attività extracurricolari, però, avevano su di lui un appeal irresistibile: la passione per la musica, l’arte, il teatro, ma soprattutto il cinema, oltre alla gioventù e il desiderio di vivere la propria libertà artistica e intellettuale, lo portarono in California, dove frequentò la Film School della UCLA in un periodo di grande fermento culturale. Fu proprio al dipartimento di cinematografia che conobbe la futura moglie Dorothy (sposata nel 1967 e da allora inseparabile compagna di vita), ma anche un altro aspirante cineasta di qualche anno più giovane: Jim Morrison. Il resto è storia.

Manzarek ha il grande merito di aver scorto il talento di Morrison quando era ancora un diamante grezzo. Un fugace ascolto ai testi canticchiati da Morrison sulla spiaggia di Venice nel 1965 gli bastò, infatti, per comprenderne l’originalità e la ricchezza. Reclutati Robby Krieger alla chitarra e John Densmore alla batteria, i Doors erano al completo. Provarono a cercare un bassista ma nessuno fu mai in grado di soddisfare pienamente le esigenze del gruppo, la cui sinergia era il frutto del delicato equilibrio interno tra quattro personalità diversissime, anche a livello artistico. Ed è anche questo che ha conferito ai Doors quel sound inconfondibile fin dall’inizio: Manzarek suonava il suo organo Vox Continental con la mano destra e con la sinistra suonava le linee di basso su un piano elettrico. Dopo un inizio nei piccoli club del Sunset (l’aneddotica di quel periodo primordiale è sconfinata e sfocia nella leggenda), i Doors diventano la house band del Whiskey A Go Go e poi via, verso il contratto con la Elektra Records, l’omonimo disco di debutto nel ‘67 e il successo che li porta quasi immediatamente dall’anonimato a diventare la band più popolare degli Stati Uniti.

Tra il ’67 e il ’71 i Doors realizzarono sei dischi in studio che testimoniano di un’evoluzione e di una ricerca continue e si esibirono in un numero impressionante di concerti in tutti gli Stati Uniti. Giunsero anche in Europa, ma mai in Italia (avrebbero dovuto suonare a Roma e Milano nel ’70 ma le date vennero annullate a causa dell’incresciosa vicenda del processo di Miami). Al momento della morte di Morrison, nel luglio del 1971, i Doors avevano già costruito la propria leggenda, poi alimentata dalla prematura scomparsa di un frontman dal carisma senza precedenti, ma ciò che più conta è il lascito artistico, incommensurabile.

Il più maturo dei quattro (non solo anagraficamente), Manzarek è stato per molti sensi l’architetto di uno dei più leggendari capitoli della storia del rock. Non solo i Doors sono nati da una sua idea, ma spesso si è trovato nella necessità di incanalare l’esuberanza e di tamponare l’imprevedibilità di Morrison da un lato, e di placare le ire suscitate dalla difficile gestione dei suoi eccessi dall’altro, gestendo in prima persona i delicati equilibri alla base di questo colosso. Essendo per certi versi il musicista più solido all’interno della band, ha contribuito enormemente alla composizione, riversando la sua variegata formazione in una produzione a dir poco eclettica (nei dischi dei Doors si trovano brani rock e blues, dei waltzer, dello swing, delle ballate, della musica sperimentale, chi più ne ha più ne metta) e ha sempre rappresentato un perno imprescindibile nei live. Infine, è diventato a tutti gli effetti lo sposkesman del gruppo, portando con passione la storia della band, oltre che la sua musica, in giro per il mondo attraverso le generazioni per più di quarant’anni.

Non si è mai fermato, Manzarek. Oltre ad aver realizzato due dischi – passati quasi inosservati – coi Doors dopo la morte dell’amico Jim, ha realizzato svariati album da solista, diretto dei video dei Doors, prodotto dischi di altri artisti, scritto un’autobiografia di successo, ideato innumerevoli progetti artistici per poi riprendere la via dei concerti con Robby Krieger, per provare ancora l’emozione di suonare il repertorio dei Doors dal vivo, finché gli è stato possibile.

Ho avuto l’onore di incontrare Ray e la moglie Dorothy al Festival Internazionale della Poesia di Genova nel 2001, in una magica serata dedicata alla poesia di Jim Morrison in occasione del trentesimo anniversario della sua morte, e di vederlo in concerto due volte. Credo di poter affermare di aver visto di rado musicisti altrettanto appassionati e appassionanti.

Una nota dolente: nel corso degli anni ho riscontrato una certa snobberia nei confronti di Manzarek e dei Doors, soprattutto da parte di musicisti, che troppo spesso li bollano come una band per teenager irrequieti e li associano sarcasticamente a(l ritornello di) “Light My Fire”. Un tempo li avrei invitati ad ascoltare i sei diamanti che ci hanno lasciato e a riflettere all’influsso che hanno esercitato su band di ogni epoca. Oggi mi rendo conto che in realtà basta ascoltare l’intro di organo di “Light My Fire” per capire che non è cosa da tutti.

Ma per fortuna non per tutti è così, come dimostrano le reazioni a caldo di molti grandi. Naturalmente tra i primi ad arrivare ci sono stati i commenti dei compagni di band Robby Krieger ("Sono profondamente addolorato dalla notizia della morte del mio amico e compagno di gruppo. Sono felice di aver potuto suonare le canzoni dei Doors con lui negli ultimi dieci anni. Ray era una grande parte della mia vita e sentirò la sua mancanza per sempre”) e di John Densmore (“Non c’era tastierista al mondo più appropriato per supportare le parole di Morrison. Ray, mi sentivo completamente in sintonia con te musicalmente. Era come se fossimo una sola mente, che teneva giù le fondamenta su cui Robby e Jim potessero fluttuare”). A seguire i commenti di colleghi e fans, tra cui Slash (“I Doors rappresentano il sound di Los Angeles per me. È stata la prima band che mi ricordo di aver sentito quando sono arrivato dall’Inghilterra; “Light My Fire”, non me ne dimenticherò mai”), Joe Perry (“Adesso è con Jim. Per me oggi significano tanto quanto significavano 40 anni fa”), Randy Jackson dei Jackson 5 (“Wow, Rip Ray Manzarek. Uno dei più grandi artisti mai esistiti”) e David Paich dei Toto (“Mi dispiace ricevere la notizia della morte del mio collega tastierista dei Doors, Ray Manzarek. Ray era un archetipo. Un originale, di cui si sentirà la mancanza ma che non verrà dimenticato. Hai acceso il fuoco, Ray.”).

Addio a Ray Manzarek

A mio personale avviso, il merito fondamentale di Manzarek è stato quello di riuscire nell’incredibile impresa di creare una controparte musicale così efficace per i testi di Morrison. Nulla è lasciato al caso nell’economia dei dischi dei Doors, ogni dettaglio è curato per interagire funzionalmente con gli altri, e la formazione (anche cinematografica) di Manzarek è stata determinante per la realizzazione di un progetto così ambizioso. Originale, personalissimo, geniale, era a mio avviso un fuoriclasse, uno dei più grandi della sua generazione.

Ray se n’è andato ieri, chiudendosi per sempre le porte alle spalle. Aveva compiuto 74 anni lo scorso 12 febbraio. Al suo fianco c’erano la moglie Dorothy Fujikawa, l’amore di una vita, e i fratelli Jim e Rick (suoi primi veri compagni di band, nei Rick & The Ravens).

Mi addolora immensamente pensare che le nostre strade non si incroceranno mai più, ma mi rincuora pensare che la sua musica è destinata a vivere ancora a lungo.

La famiglia di Manzarek ha chiesto di devolvere le eventuali donazioni all'associazione Stand Up 2 Cancer
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ray manzarek
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Stand Up 2 Cancer
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