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Paul Bigsby: genio del '900
Paul Bigsby: genio del '900
di [user #4093] - pubblicato il

Conosciuto principalmente per il suo sistema vibrato omonimo, Paul Bigsby può essere considerato il responsabile di buona parte delle idee poi sviluppate da geni come Les Paul e Leo Fender. Pochi, però, conoscono la sua storia fatta di chitarre custom, metalli fusi e motociclette.
Conosciuto principalmente per il suo sistema vibrato omonimo, Paul Bigsby può essere considerato il responsabile di buona parte delle idee poi sviluppate da geni come Les Paul e Leo Fender. Pochi, però, conoscono la sua storia fatta di chitarre custom, metalli fusi e motociclette.

Ogni volta che si parla di geni innovatori che hanno contribuito alla storia della chitarra elettrica, ci si sofferma quasi sempre sugli stessi nomi, ossia Leo Fender, Ted McCarty, Les Paul e qualcun altro ancora. Raramente il nome di Paul Bigsby fa capolino in questo Olimpo della sei-corde. Eppure, senza assolutamente voler sminuire Leo & company, per quali ho quasi una venerazione, il loro estro, senza l’apporto di questo signore del sud della California, non avrebbe avuto quello slancio che ha fatto esplodere le loro idee.
Facciamo un salto nel passato: Paul Bigsby è nato nel 1899 e morto nel 1968. Prima ancora di dedicarsi alla chitarra elettrica, alla sua invenzione e al suo sviluppo, era un corridore di moto abbastanza noto nella sua zona, diventato poi uomo di punta della Crocker, una marca di moto adesso ricercatissime, un vero e proprio santo Graal del motociclismo.
Per la Crocker Motorcycle Company, un giovane Paul disegnò e sviluppo una marea di componenti: roba innovativa per l’epoca, dove tutti i movimenti sincronizzati erano il risultato di attente ricerche e sperimentazioni. Sincronismi, leve, molle, bobine, alluminio fuso e lavorato pezzo per pezzo sono elementi esattamente coincidenti sia nei suoi famosissimi vibrato, sia nella meccanica delle pedal steel, come nei rivoluzionari pickup, così come in freni e sistemi alza-valvole delle motociclette Crocker.

Paul Bigsby: genio del '900

Apro una piccola parentesi cercando di rendere onore a questi personaggi che oggi sarebbero da studiare in ogni università: gente capace di passare con incredibile genialità ed estro tra mondi completamente disomogenei, ottenendo risultati che ancora oggi fanno dire "come è possibile?". Paul Bigsby (ma come Leo Fender, che sperimentava idee su qualsiasi cosa avesse sotto mano, o Les Paul che, oltre a essere liutaio-musicista, ha applicato concretamente le sue idee creando la registrazione multitraccia) in laboratorio o in officine era capace di imbracciare qualsiasi attrezzo con una predisposizione innata. Era tanto fabbro quanto ebanista (i suoi intarsi sulle chitarre non sembrano essere usciti dalle stesse mani che forgiavano il metallo per completare le parti degli strumenti).
Il suo genio, applicato allo strumento che noi tutti amiamo, ha reso possibile principi che oggi noi consideriamo scontati, ma che per l'epoca (la fine degli anni '40) erano pura fantascienza. Eppure Paul Bigsby, nel realizzare la sua idea di chitarra elettrica, stava semplicemente applicando un principio semplicissimo: far sentire lo strumento senza problemi di feedback e ottenere tanto sustain quanto le popolari lapsteel dell’epoca.

Sul suo primo strumento elettrico (la chitarra disegnata e realizzata per Merle Travis, una star ultra popolare dell’epoca, cantante, chitarrista, conduttore televisivo, personaggio eccellente in tutti gli ambiti in cui si collocava... altro genio insomma) ritroviamo delle idee che oggi sono ovvie ma che, agli occhi di Leo Fender, saranno state come levare il tappo a un vulcano in esplosione.
La chitarra di Merle Travis aveva, sulla paletta, le sei meccaniche in linea (perché? Semplice! Perché così era più facile accordare stando in posizione eretta!) e le corde ancorate al body (proprio come le lapsteel, in controtendenza alle archtop dove le corde erano ancorate al ponte-attaccacorde appunto), soluzione che donava sustain e affidabilità nell’accordatura.
Per dovere storico va ricordato che la chitarra di Merle Travis non è stata la prima chitarra elettrica della storia perché quasi un decennio prima altre chitarre elettriche avevano fatto capolino sul mercato. Ma l’idea di questi strumenti (come la "padella" costruita da Rickenbacker) non era altro che un manico spanish su uno strumento concepito per un manico squared, in pratica delle lapsteel con un manico normale. Questa concezione di strumento non ebbe piglio sui musicisti dell’epoca che non riconoscevano una chitarra tradizionale in questi esperimenti rudimentali.

Paul Bigsby: genio del '900

Il grande genio di Paul Bigsby risiede anche in questo fattore per niente da trascurare: l’essere riuscito a far accettare ai musicisti qualcosa di assolutamente innovativo, mantenendoli leggermente ancorati a qualcosa che già conoscevano. E mettere una chitarra in mano a Merle Travis è stato come mettere avere nella propria scuderia di endorsers, negli anni '80, Van Halen, Michael Jackson e Frank Sinatra insieme (giusto per rendere idea della popolarità e del talento a 360 gradi del personaggio in questione).
La chitarra che Paul Bigsby fece per Merle Travis fu costruita nel suo garage dietro casa, eppure tutti gli elementi dello strumento moderno sono presenti in questo strumento che non era assolutamente un rozzo prototipo, anzi. Corpo solido che acusticamente non suonava, ma che, se attaccato ad un amplificatore, restituiva tutto il suo potenziale in un attimo, e un sustain vero e presente: chi di noi oggi saprebbe fare a meno di questi presupposti su di uno strumento elettrico?

E adesso un poco di gossip!
Paul Bigsby, Leo Fender e Les Paul vivevano tutti e tre nella periferia di Los Angeles in quegli anni, e tutti e tre erano amici.
Quando la chitarra di Merle Travis era quasi completata fu prestata a Leo (probabilmente per testarla sui suoi amplificatori) per qualche giorno. Ebbene, pochissimo tempo dopo Leo cominciò a lavorare concretamente su quella che sarebbe stata la sua idea più innovativa: la Telecaster (prima Esquire, poi Broadcaster, infine Telecaster). Ed è impossibile non notare le similitudini con la chitarra di Paul, a partire dalla paletta con le sei meccaniche in linea, passando per il solo pickup nella posizione lead (sia la Esquire sia la chitarra di Merle erano equipaggiate di un pickup singolo in quella posizione, soluzione molto diversa, per esempio, dalla linea di chitarre archtop amplificate di casa Gibson), senza scordare l’idea delle corde ancorate direttamente al body (passanti nel caso della chitarra di Leo, soluzione che aumentava ancor di più il sustain). E che dire della forma della paletta? Quella di Bigsby sembra la versione dilatata del disegno storico di Leo Fender, che arriverà addirittura a usare la versione allargata nelle Jazzmaster e nelle Jaguar qualche anno dopo (il palettone, per intenderci).

Veniamo a Les Paul. Quest'ultimo, a causa di un incidente d’auto, fu costretto su di un letto di ospedale per qualche tempo e Paul Bigsby, suo amico, fece per lui una chitarra da viaggio, piccola, elettrica e innovativa. Successivamente, uscito dall’ospedale, Les diede la chitarra a un amico e cominciò a prendere le distanze da Bigsby, cominciando a lavorare sul suo progetto più famoso, ossia la spanish guitar che porta il suo nome. Similitudini anche qui a bizzeffe: dalla forma del body al posizionamento dei controlli di volume e tono sul body.

Paul Bigsby: genio del '900

Insomma l’apporto di Bigsby sull’evoluzione di questo strumento non è per niente da sottovalutare. 
Il nome Bigsby divenne famoso e popolare, ma non per le sue chitarre: fondamentalmente, per il suo sistema di vibrato. Le poche chitarre che Paul realizzò erano tutti strumenti custom made. Costavano un bel po’ e le troviamo in mano solo a chitarristi professionisti molto famosi dell’epoca, gente come Grady Martin, un session man di Nashville molto quotato, Hank Garland, colui che negli anni successivi collabora con Gibson per realizzare la Byrdland, Merle Travis appunto, i chitarristi di Hank Williams, di Ernest Tubb. Realizzò altri strumenti per musicisti famosissimi, come il mandolino elettrico di Tiny Moore (dei Texas Playboys di Bob Willis, la più famosa western-swing band dell’epoca) o la lapsteel di Speedy West (virtuoso incontrastato dello strumento). E donò di un manico più morbido le chitarre acustiche di Lefty Frizzell (una J200 che svettava orgogliosa con la sua paletta in stile Bigsby) e altri.
Tutto questo da solo, perché Paul Bigsby non voleva impiegati o aiutanti accanto a lui. Le 23 chitarre a lui accreditate sono state realizzate interamente da questo genio del '900. Ognuna diversa dall’altra, ognuna a misura del fortunato possessore (alcuni aspettarono anche due anni e mezzo per ricevere il loro strumento), ognuna decorata con la frase o il nome d'arte inciso sul generoso battipenna di bachelite o noce.
Ogni chitarra era sempre un condensato di innovazione e raffinatezza. A lui va accreditata la prima chitarra dotata di selettore per la scelta dei pickup, anche se la posizione scelta (sto parlando della chitarra del chitarrista di Ernest Tubb, Butterball Page) non è stata proprio felice: sul profilo inferiore, ossia accanto a dove solitamente si inserisce il jack in una Telecaster. La soluzione fu ovviamente messa da parte quasi subito in favore di quella sul body (scartata all’inizio perché Paul pensava che avrebbe infastidito il chitarrista durante il picking, salvo poi scoprire che in quel posto lì era impossibile suonare la chitarra da seduti). Sono sincero: adoro questo approccio rustico nell’evoluzione dello strumento!

Paul Bigsby non immaginava i suoi strumenti come facenti parte della mega distribuzione. Non ragionava come Leo Fender che desiderava quasi che ogni chitarrista sfoggiasse il suo cognome sulla paletta. Eppure per un attimo cedette alla tentazione, disegnando e mettendo la sua firma su una chitarra di massa, anche se non è stata così fortunata come avrebbe meritato. Nel 1957 la popolare Magnatone presenta in catalogo una chitarra dal nome Mark V (e una versione più povera, denominata Mark IV) disegnata e concepita da Paul Bigsby, equipaggiata di due pickup single coil disegnati da Paul, con un vibrato recante la sua celebre firma, corpo semi-hollow e manico con costruzione neck-through-body. Lo shape ricorda quella che Paul fece per Billy Byrd (altro leggendario chitarrista session man di Nashville, colui che insieme ad Hank Garland collaborò con Gibson nella realizzazione della Byrdland, il cui nome non è altro che la fusione dei due cognomi), shape che privilegia l’accesso ai tasti alti della tastiera. Una chitarra, la Magnatone, ottima e decisamente sfiziosa ma, a causa probabilmente della poca spinta mediatica del brand, non ebbe tanto successo. Oggi una Magnatone Mark V costa sui 4mila dollari, una cifra con due zeri in meno di una Bigsby originale, particolare da non sottovalutare.

Paul Bigsby: genio del '900

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