La risposta è: benissimo!Amici di Accordo, siamo oggi di fronte a un altro gioiellino della mia piccola collezione: U1 del 1956 nel rarissimo colore Emerald Green. L'oggetto in questione pare essere appartenuto al chitarrista Dean De Leo degli Stone Temple Pilots, che anni fa se ne disfò e dopo lungo peregrinare è giunto a casa mia, con un'estenuante trattativa per mantenere il costo sotto i mille euro.
La prima impressione quando la prendi fra le mani e la rigiri, guardandola: la ragazza ha suonato! Segni del tempo, graffi e sbucciature, ma nell'insieme un buon conservato.
Vi ricordo che la masonite è quel cartone pressato con cui una volta - e penso anche oggi - si faceva il pannello dietro gli armadi o il fondo dei cassetti. Sì, avete capito bene, quel pannello con l'interno liscio del colore dell'armadio e l'esterno a nido d'ape, di solito marroncino. Ma mi gioco gli zebedei che a nessuno fra noi è mai venuto in mente di smontarlo e ricavarci una chitarra.
Il manico è sottilino. Di solito la penso come Muddy Waters: più il manico è grosso, meglio suona la chitarra. Ma qui mi devo ricredere perché questa spacca!
La tastiera è in palissandro brasiliano, che all'epoca te lo tiravano nella schiena per quanto ce n'era e quindi se ne faceva vasto uso. Bella la paletta con le sue brave Kluson tre in linea che fanno la loro onesta figura e la tengono accordata.
La vernice del manico è consumata ma non troppo e già di serie sfuma su un giallo oro che quando sei sotto la luce è spettacolare. La striscia adesiva sul bordo esterno è consumata e ha preso una tonalità ambrata da lacrime a gli occhi.
Il ponte è di una semplicità elementare e c'è ben poco da regolare, misteriosamente la bambina è intonata anche al dodicesimo tasto.
Manico a parte, di legno antico non se ne parla, ma se la accordi in DADGAD "Kashmir" esce da sola. Mojo da vendere, se attacchi "Born on the Bayou" ti viene da guardarti intorno per vedere dove si è nascosto John Fogerty. La accordi in Re e via di slide: ti vibra lo stomaco e i vicini di casa picchiano sul soffitto con la scopa. Se suono ancora gli saltano le piastrelle del bagno, è un terremoto!
Se non avete mai sentito una Dano degli anni '50 in questo momento per me è come per Ulisse spiegare alla ciurma il canto delle Sirene: quando la senti ti innamori. Il suono del lipstick è corposo, un single coil di fronte al quale levarsi il cappello. Armonici a non finire, scura sui bassi, aperta su medi e acuti. Potente, non si fa mettere i piedi in testa da chitarre armate di humbucker.
L'elettronica conta su un condensatore Sprague in carta e olio, un potenziometro per il volume, un tono e uno switch che taglia alcune frequenze, tipo la Fender Esquire, anche se i tagli sono un po' meno evidenti, ma un suono blues da spavento.
Non si sente la mancanza di un altro pickup. Semplice e sanguigna, ti arriva dritta al cuore. La attacchi a un ampli valvolare (io preferisco i Fender tweed o blackface) e dai gas. Come un rito voodoo ti prende allo stomaco, suoni, il tempo passa e continui a chiederti chi è il genio che l'ha fatta.
Lo so, sono un nostalgico, ma a me le chitarre piacciono semplici, con pochi fronzoli e che quello che hanno da dire lo dicano subito, e questa è così. Come sempre il consiglio è di provarne una appena possibile, così vi potrete fare un'idea vostra. Vi tolgo subito il dubbio: ho avuto anche le riedizioni sia coreane sia cinesi. Suonano anche loro, ma sono diverse e non muovono grandi emozioni. Questa è una veterana con conclamato pedigree. Inutile dire che non è sicuramente per la stagionatura del legno e, non so voi, ma io non ho informazioni che supportino un'eventuale teoria secondo la quale il cartone invecchiato suona meglio.