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I 70 anni di Robby Krieger
I 70 anni di Robby Krieger
di [user #33493] - pubblicato il

Affabile come compagno di band, originale come artista, il chitarrista dei Doors compie oggi settant'anni. Robby Krieger è ancora molto attivo e, dietro il suo ruolo al fianco dello sciamano del rock, si cela un musicista di uno spessore inaspettato.
Non c’è dubbio che alcuni astri di quel meraviglioso insieme di costellazioni che è la storia del rock rimangano maggiormente impressi per la loro prepotente luminosità, spesso distogliendo la nostra attenzione da altri che non contribuiscono di meno all’unicità dell’asterismo a cui appartengono.
Con un "ipergigante" come Morrison nel ruolo di principale autore e frontman, i Doors sono un esempio calzante: i testi poetici e visionari, le performance infuocate e il carisma dello sciamano del rock hanno sempre offuscato il prezioso lavoro dei suoi bandmate. Eppure non c’è dubbio che il successo del gruppo risieda nell’alchimia tra i quattro e che sia dovuto in grandissima parte all’originale complemento sonoro che i tre musicisti hanno saputo creare per i testi di Morrison, scrivendo alcune tra le più belle pagine della storia del rock nei sei dischi con lui realizzati tra il ’67 e il ’71, anno della sua morte. La visibilità dei tre è cresciuta in seguito alla scomparsa di Morrison, in particolare da quando hanno cominciato a portare la propria testimonianza sulla storia e la musica dei Doors in giro per il mondo, da "superstiti" di un’epoca leggendaria che ha mietuto troppe vittime.
Anche in quella "seconda vita", la loquacità di Ray Manzarek (“anziano” del gruppo e tastierista, scomparso nel 2013) e la sicurezza a tratti supponente di John Densmore (batterista) hanno sovente messo in ombra il più riservato Robby Krieger, chitarrista. Il suo low profile sorprende se consideriamo che Krieger è l’autore di brani come “Light My Fire” e “Love Me Two Times” (i primi due brani scritti per i Doors, all’età di 19 anni) o come “Touch Me” e “Love Her Madly”, che ha creato riff leggendari (pensiamo anche solo all’intro di “Roadhouse Blues”) e che con il suo playing personalissimo ha accompagnato i Doors in domìni sonori all’epoca inesplorati. L’8 gennaio 2016 Robby Krieger compie settant'anni e Accordo vuole rendergli un tributo più che doveroso.

I 70 anni di Robby Krieger

Classe 1946, di Los Angeles e a tutt’oggi residente nel sud della California, Robert Alan Krieger nasce in una famiglia benestante, in cui la musica entusiasma tutti: il padre è un appassionato di classica e la madre, amante di Frank Sinatra, ascolta spessissimo la radio, ma la discoteca sterminata dei genitori include anche dischi flamenco, blues, jazz, R&B, country e folk. Il primo disco che lo entusiasma è quello di “Pierino e il Lupo”, la favola sinfonica di Prokofiev, ma ben presto la sua attenzione viene rubata dal rock’n’roll degli albori, che ascolta avidamente in radio (Elvis, Fats Domino e mille altri). I primi approcci con la tromba verso i dieci anni non lo entusiasmano, così decide di passare al piano da autodidatta per suonare un po’ di blues, ma la scintilla non scocca fino ai 17 anni, quando si appassiona alla chitarra strimpellando quella di un amico all’epoca degli studi presso la Menlo School. A differenza dei tanti coetanei desiderosi di emulare le star del rock’n’roll, Krieger è affascinato dai dischi flamenco del padre: Sabicas, Mario Escudero e Carlos Montoya sono i suoi eroi, così per qualche mese prende delle lezioni con la sua copia messicana di una Ramirez, prima chitarra che possiede a 18 anni.

All’epoca delle superiori e nei primi tempi alla University of California Santa Barbara arriva anche l’amore per i grandi del blues & dintorni (Robert Johnson, Blind Willie Johnson, Blind Willie McTell, Mance Lipscomb e Albert King) e per il folk, in particolare per il suo prediletto, Bob Dylan (“Bringing It All Back Home” gli cambiò la vita), oltre che per Woody Guthrie e Paul Butterfield e altri artisti dei più svariati generi. Sarà un concerto di Chuck Berry a trascinare Krieger verso il rock’n’roll: «Prima di suonare delle elettriche, non ne sapevo nulla. Ma poi ho visto Chuck Berry e ho dovuto prendermene una. Andai in un banco dei pegni e tutto ciò che potei permettermi fu una Gibson SG Standard usata. Mi costò 180 dollari. È la chitarra che ho usato coi Doors». [Quella chitarra anni dopo venne rubata e Krieger la sostituì con una del ’67 praticamente identica. Su questo secondo modello è basata la Gibson Robby Krieger SG Reissue, con una modifica al manico, che è una copia di quello della SG Junior del ’61 di un amico, ma quel primo acquisto sigillò un legame  - quello di Krieger con Gibson – indissolubile, n.d.r.].

I 70 anni di Robby Krieger

Dopo aver suonato in varie band di amici, Krieger si trova a fare pratica (di blues, perlopiù) col batterista John Densmore, appassionato di jazz conosciuto qualche anno prima con cui militerà nei Psychedelic Rangers. Proprio in quel periodo Densmore segue le lezioni di meditazione del Maharishi Mahesh Yogi, dove fa la conoscenza del tastierista Ray Manzarek, grande amante del jazz e del blues, che lo invita caldamente a partecipare alle prove con un poeta-cantante molto promettente (Jim Morrison). Dopo qualche sessione di prova con i fratelli minori di Manzarek e in seguito al loro abbandono, per completare la lineup la scelta più ovvia sembra essere quella dell’amico di Densmore, nonché altro frequentatore del centro losangelino del Maharishi, ovvero Krieger: è l’autunno del 1965 e nascono, così, i Doors.
Da quel momento gli eventi si susseguono a ritmo frenetico: dalle prove in casa alla prima demo, dalle esibizioni nei locali del Sunset Strip di Los Angeles al contratto con la Elektra Records fino alla registrazione del primo disco, omonimo (in una settimana, alla fine di agosto del ’66) pubblicato nel gennaio del ’67.

Il loro è un successo immenso, alimentato da un’intensa attività live che li porta in tutti gli Stati Uniti e in Europa, e dalla pubblicazione dei successivi album Strange Days (1967), Waiting for the Sun (1968), The Soft Parade (1969), Morrison Hotel (1970) e LA Woman (1971). I Doors sono unici sotto molti punti di vista: lineup senza bassista, testi oscuri, soluzioni sonore atipiche e performance estreme, un gioco di forze ingenerato dalle personalità dei quattro componenti, diversissime sia sul versante artistico sia caratteriale.
Il ruolo di Krieger in questo scenario è stato fondamentale. Il più giovane nella band, si è trovato a far fronte alle pressioni di una carriera in ascesa a soli 19 anni e ci è riuscito in primo luogo grazie a un carattere umile e accomodante, che spesso ha attenuato le frizioni tra gli altri membri del gruppo, ma soprattutto regalando composizioni e sonorità davvero originali. Il suo background variegato e la sua impostazione di chitarrista flamenco lo hanno reso diverso da tutti i chitarristi rock dell’epoca: mentre la maggior parte di loro imitava i grandi del blues, Krieger suonava l’elettrica senza plettro (conquista che avverrà molti anni più tardi), rifuggendo dalle mode del momento e cercando di ricavare qualcosa di innovativo dall’interazione con la propria eterogenea lineup: «Ho imparato a suonare quando ero nei Doors. Cercavo semplicemente di suonare come me stesso. Ho evitato consapevolmente di copiare Chuck Berry o BB King perché era quello che tutti stavano facendo. Ho cercato di trovare la parte giusta per la canzone che mi trovavo a fare e di suonare qualcosa che potesse completare il cantato di Jim».
Oltre all’approccio atipico allo strumento, Krieger amava creare insolite improvvisazioni nelle parentesi strumentali dei Doors, attingendo al jazz modale e alla libertà espressiva che aveva riscontrato nei concerti di artisti come John Coltrane ed Elvin Jones: «Era qualcosa che andava oltre le mie capacità, ma avevo capito che si erano liberati degli accordi fondamentali e dei suoni convenzionali. Sentivo che era ciò che volevo fare. Il jazz negli anni ’50 e ’60 si era evoluto dal bebop al modale, ed era un po’ come il rock’n’roll perché meno cambi di accordi c’erano e meglio era. È un’arma a doppio taglio, ma se riesci a suonare in quel modo e a far sì che funzioni, è grandioso. Era il mio obiettivo coi Doors e nel primo disco sia “Light My Fire” che “The End” hanno quell’approccio». L’assenza di un bassista nei live della band, inoltre, ha portato Krieger a integrare le essenziali linee di basso suonate da Manzarek con copiose note basse (cosa resa più agevole dal fingerpicking). Particolare anche il suo uso dello slide, che sul sito della Gibson commenta così: «Mi piacevano Blind Willy Johnson e Robert Johnson e tutta quella gente, ma sapevo che non sarei mai stato bravo come loro, così ho deciso di usare lo slide più come un effetto. Per esempio, se ascolti qualcosa come “Moonlight Drive”, lo uso più come un colore che non come un lick di blues standard» e quando gli è stato fatto notare che ha uno stile davvero particolare nei solo di slide, ha risposto ridendo: «Penso che dipenda semplicemente dal fatto che non so farlo correttamente!». Last but not least, anche in qualità di autore, Krieger ha firmato alcune tra le canzoni dal successo più persistente tra quelle del catalogo dei Doors.

I 70 anni di Robby Krieger

Dopo la morte di Morrison, i Doors hanno pubblicato due dischi (Other Voices nel ‘71 e Full Circle nel ’72) prima di sciogliersi e seguire altri percorsi. Krieger, dopo due album con la Butts Band, ha collaborato al disco An American Prayer (perlopiù un collage di poesie di Morrison musicate dai vecchi compagni di band) e pubblicato ben sette dischi a suo nome, sperimentando vari generi musicali, oltre a collaborare con diversi artisti dal vivo e in studio. Tornato a esibirsi sia con la propria band sia con Manzarek, ha dovuto affrontare una dura battaglia legale contro Densmore, contrario all’uso del nome “Doors” da parte degli ex compagni. La diatriba si è conclusa in favore del batterista (la band ha usato vari nomi, tra cui The Doors of the 21st Century e Riders of the Storm), con cui si è riappacificato solo in tempi recenti, dopo la morte di Manzarek.

Benché sia rimasto sempre attivo, Krieger ha una visione piuttosto concreta del modo in cui viene percepito dal pubblico, ovvero come “il chitarrista dei Doors”: «Ho capito molto presto che non avrei mai più avuto una band come i Doors. La musica per me è diventata un divertimento, così come lo è la pittura, qualcosa di gratificante per la mia persona. È ciò che faccio e in cui mi identifico: sono Robby Krieger, chitarrista».

I 70 anni di Robby Krieger

Ho avuto la fortuna di vedere Krieger dal vivo varie volte, una delle quali a me particolarmente cara. Nel giugno del ‘95, in occasione del suo tour europeo con la RK Band, uno sciopero aereo impedì ai suoi musicisti di raggiungerlo a Imola, dove avrebbe dovuto tenere un concerto al Cap Creus e dove era giunto in anticipo per una serie di interviste. Non ero ancora ventenne e, trovandomi davanti al locale già nel primo pomeriggio, mi permise di entrare e assistere alle prove e di passare il pomeriggio con lui. In quell’occasione, Krieger si scusò per l’imprevisto e chiese al pubblico se desiderasse sentirlo suonare comunque e, visto il boato di approvazione, suonò mezzo concerto da solo e l’altra metà con una tribute band dei Doors contattata al volo dal gestore del locale. Un successo. Non credo di aver mai incontrato una persona tanto affabile, umile, disponibile e professionale. Una vera mosca bianca nel music business.

Il successo di cui gode ancora oggi la musica dei Doors testimonia del valore di ciò che ha creato Krieger con i suoi compagni di viaggio. Non un virtuoso, ma un chitarrista dallo stile inconfondibile e autore di pezzi intramontabili. Alle prese con la realizzazione di un disco con la sua band, i RK Jam Kitchen, Krieger si sta già preparando a un 2017 impegnativo: l’anno prossimo segnerà, infatti, il cinquantennale dell’esordio discografico dei Doors e con buone probabilità Krieger e Densmore prenderanno parte alle celebrazioni che, si spera, li porteranno anche nel nostro Paese.
Buon compleanno, Robby!
robby krieger the doors
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