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Intervista a Luca Francioso
Intervista a Luca Francioso
di [user #116] - pubblicato il

Ci siamo imbattuti in "Towards the other" nuovo disco del chitarrista - e scrittore - Luca Francioso. Dodici brani originali per chitarra acustica, composti e suonati insieme a dodici chitarristi diversi tra cui Walter Lupi, Don Alder, Adam Morkus, Massimo Varini, Maneli Jamal e Vicki Genfan...Un disco ricercato ed elegante, suonato con grande perizia e prodotto in maniera magistrale. Ce lo siamo fatti raccontare dall'autore.
Colpisce del tuo disco il grande numero di colleghi presenti. Uno per ogni canzone. Come li hai scelti e coinvolti?
Negli ultimi due anni ho viaggiato molto per (e con) la musica, soprattutto all’estero. Ho conosciuto diversi musicisti, artisti davvero talentuosi e persone straordinarie, con cui c’è stata da subito una forte empatia, umana e musicale. “Towards the other” è la sintesi più completa ed efficace – e direi anche la più naturale! – di questi incontri, condivisioni che sono diventate note e note che sono diventate brani. Il progetto si è evoluto lentamente, nel concetto e nel numero dei chitarristi coinvolti. Inizialmente si sarebbe dovuto chiamare “A road traveled by two” (una frase che avevo in mente da tempo, poi divenuta il titolo di uno dei brani) e non doveva essere un album, bensì una serie di video da divulgare esclusivamente online. Poi però, come mi è già accaduto in passato, mi sono lasciato sedurre dal fascino di una nuova produzione e alla fine ho scelto di farne un disco.

Ci racconti come avete lavorato? Immagino che con alcuni avrete dovuto collaborare a distanza. O no?
Quella che all’inizio sembrava una scelta obbligata, considerata la distanza che mi separa da tutti i chitarristi coinvolti, si è rivelata a tutti gli effetti un’opportunità di crescita, perché lavorare in rete, con una serie infinita di email e file allegati, mi ha permesso di sperimentare nuove situazioni, tecniche e compositive. Se si esclude “Purple sea", il brano scritto con l’amico fraterno Domenico Calabrò, che vive a pochi chilometri da casa mia, ogni brano del disco è stato infatti composto e registrato in due momenti diversi e in due parti del mondo diverse, sapientemente mixato poi al “True colours studio” di Padova, da Mauro Santinello.
Sono consapevole che oggigiorno soluzioni come queste sono del tutto normali, ma l’idea di espandere all’infinito lo spazio di un atto così intimo come quello compositivo, mi riempie di meraviglia e di incredulità, nonostante tutto.

Intervista a Luca Francioso

La presenza di così tanti ospiti ti ha comunque permesso di essere totalmente spontaneo? O hai plasmato la tua musicalità attraverso l'esigenza di assecondare gli stili dei tanti musicisti coinvolti?
La scintilla compositiva di ogni brano l’ho sempre accesa prima sulle mie corde, con l’obiettivo di creare una parte autonoma e ben definita su cui, successivamente e altrove, il mio compagno di viaggio potesse comporre la sua, altrettanto autonoma, seguendo i miei sentieri melodici e le mie indicazioni dinamiche. L’atto compositivo è sempre stato spontaneo, ma la sua forma ha sempre tenuto in considerazione le inclinazioni ritmiche e melodiche del chitarrista a cui mi stavo rivolgendo, perché il duetto non fosse artificioso e risultasse naturale per entrambi.

Il tuo album ha una rosa di atmosfere così ampia e variegata che è subito chiaro che le tue influenze non si limitano alla musica chitarristica. Quali sono i tuoi ascolti e riferimenti al di fuori della chitarra?
Il riferimento è la musica, senza eccezioni. Ascolto di tutto, a volte anche cose che non gradisco, perché alimento senza sosta la curiosità, indispensabile attitudine per un artista, e non nego mai un primo ascolto a qualcosa che non conosco. Naturalmente ho i miei gusti e le mie preferenze, anche piuttosto selettive se si tratta di comprare un album, ma non si limitano esclusivamente a quel genere o a quell’artista, piuttosto seguo e sostengo la musica che mi emoziona, indipendentemente dal compositore o dall’autore. Ci sono certamente artisti che amo particolarmente, come Dave Matthews Band, Damien Rice, Pat Metheny, Niccolò Fabi, James Taylor, Claudio Baglioni, Lucio Battisti, Glen Hansard, Michael Jackson, Mike Oldfield, Mina, Norah Jones, Pink Floyd, Snarky Puppy, Sting, Tom Waits, U2, Sakamoto, ma non sono accomunati da un filtro stilistico né da un percorso artistico. Diciamo così: ascolto tutto e compro solo ciò che amo. Di alcuni artisti poi ho l’intera discografia. Originale, ci tengo a dirlo!


E viceversa, in ambito chitarristico quali sono stati i tuoi modelli? Più in generale quale è stata la tua formazione?
Ho una formazione classica, che inevitabilmente ha influenzato il mio stile esecutivo. Durante la mia infanzia calabrese ho studiato per entrare al conservatorio, ma il mio trasferimento in Veneto, nel 1989, ha smorzato il desiderio accademico, anche per le difficoltà legate al drastico cambio di vita e di mondo, difficili da gestire per un ragazzino di tredici anni. Ho iniziato a suonare la chitarra acustica, e più specificatamente il fingerstyle, a metà degli anni novanta, quando ho ascoltato per la prima volta una cassetta di Stefan Grossman e John Renbourn: l’ho letteralmente distrutta a furia di ascoltarla! La botta definitiva però c’è stata il giorno in cui ho scoperto Franco Morone e la sua chitarra. In quel preciso istante, infatti, ho deciso che il fingerstyle sarebbe stato il linguaggio con cui avrei composto la mia musica, fino ad allora a metà tra il più tradizionale cantautorato e alcune sperimentazioni strumentali. Dopo un seminario con Franco, mio insegnante e mentore, ho iniziato ad ascoltare molti chitarristi, tra cui Walter Lupi, Peter Finger, Michael Hedges, Giovanni Unterberger oltre naturalmente a Franco, Grossman e Renbourn. Allora internet non era così diffuso e le occasioni di ascolto si limitavano a cassette o LP presi in prestito da amanti della musica acustica. Oggi, attraverso la rete, è più semplice scovare artisti interessanti, ma in effetti non è che ascolti molto fingerstyle, cioè non in modo così esclusivo come ci si potrebbe aspettare da un chitarrista acustico. È la musica in genere ad interessarmi, non un singolo stile.

Quali sono gli spazi per promuovere e diffondere e - perché no - anche guadagnare con la musica strumentale o comunque di settore?
Non credo ci siano regole universali scritte, o meglio io non ne ho e non me ne sono mai date. È evidente che ognuno fa del suo meglio per rimanere a galla e cercare di ottimizzare e monetizzare quanto più possibile l’incredibile mole di lavoro a cui è necessario dedicarsi, ogni giorno. Io provo ad alimentare e sostenere quotidianamente più direzioni e più linguaggi, così da tenere viva la mia proposta artistica quanto più possibile, attraverso il sito web, i social i live e tutte le situazioni che offrono possibilità di divulgazione. Ad oggi, credo che sia l’unico modo per gli artisti di sottobosco per tenersi stretto il sogno di vivere di arte.

Intervista a Luca Francioso

Sei anche un apprezzato scrittore. In che maniera la tua abilità di scrivere musica ha arricchito e condizionato quella di scrivere prosa. E viceversa.
Il mio percorso formativo non ha mai seguito una linea retta, ma ha subito diverse deviazioni nel corso del tempo, svolte improvvise che da una parte ne hanno frammentato il cammino, dall’altra lo hanno reso più vario e versatile. Ho frequentato il Liceo Artistico perché amavo disegnare e ne sono uscito che amavo scrivere romanzi e racconti, mentre sullo sfondo non ho mai smesso di studiare chitarra e comporre brani. Nel corso del tempo ho poi sperimentato altre arti creativi come la fotografia, il video e la creazioni di siti internet. Tutti questi linguaggi non possono che influenzarsi a vicenda, perché a monte hanno tutti la stessa scintilla, il cui unico obiettivo è la comunicazione e la condivisione emotiva. È normale che la tecnica di ogni linguaggio abbia avuto nel tempo capacità, tempi e modi diversi di ottimizzazione, tuttavia il loro flusso intenzionale scorre sempre nella medesima direzione: da me agli altri, da me al mondo e ritorno. A volte mi ritrovo a scrivere idee che avevo pensato di suonare e altre volte mi ritrovo a suonare idee che avrei voluto scrivere. La cosa certa è che ogni mia composizione deve avere una storia da raccontare e ogni storia una musica da sentire!

Che ruolo ha la didattica nella tua attività?
In realtà non è da molto che propongo ufficialmente materiale didattico, considerato che il mio primo manuale fingerstyle l’ho pubblicato nel 2011, dopo undici anni dal mio primo album. È stata davvero una strana evoluzione, perché fino a qualche anno fa non avevo alcuna intenzione di proporre metodi didattici. Addirittura, solamente al mio terzo album ho iniziato a pubblicare gli spartiti dei miei dischi! La mia priorità è sempre stata l’aspetto artistico del mio mestiere, dell’aspetto didattico ho preso coscienza solamente più tardi e devo dire che questo nuovo approccio alla musica ha rinnovato e arricchito il mio linguaggio compositivo, maturandolo e fortificandolo.

Intervista a Luca Francioso

Ci aiuti ad entrare nei dettagli più tecnici del tuo disco? Dove l'hai registrato? Come hai effettuato riprese, mix?
Il disco è stato registrato nell’arco di poco più di un anno, dal dicembre del 2014 al febbraio di quest’anno. Ho sempre registrato la mia parte nel mio home studio e poi, dopo aver spedito via email la mia traccia nuda e cruda, senza effetto alcuno, ho lasciato che l’artista del duetto a cui stavo lavorando scegliesse la modalità di registrazione a lui più congeniale. Qualcuno ha registrato nel proprio home studio, qualcun altro ha preferito farlo in uno studio di registrazione. Ricevuta poi la traccia del mio compagno di viaggio, ho mixato il tutto al “True colours studio” di Padova, affidando il lavoro a Mauro Santinello, il tecnico del suono e fraterno amico con cui collaboro ormai da dieci anni. Per registrare la mia chitarra ho usato un microfono a condensatore AKG C414, l’interfaccia audio Apogee Duet e Logic, cercando di fare una buona presa da consegnare a Mauro e facilitargli il lavoro.

Ci descrivi il parco chitarre impiegato nelle registrazioni?
La prima parte dell’album l’ho registrata con tre differenti chitarre acustiche, diverse per suono e costruzione: due chitarre di liuteria del Mo. Roberto Lanaro, chitarre che adesso non posseggo più, e la Overhead di Journey Instruments, una chitarra che si smonta per poter essere trasportata in aereo come un semplice bagaglio a mano. Le Lanaro hanno accompagnato il mio percorso artistico per dodici lunghi anni e hanno avuto un ruolo fondamentale per la mia musica. Dopo tutto questo tempo, tuttavia, ho avuto il desiderio di cambiare sonorità e così la seconda parte dell’album l’ho registrata con una Cole Clark Angel 2E-BB, un bellissimo strumento di cui sono endorser, costruita con legni australiani (bunya per il top e blackwood della Tasmania per fasce e fondo) e con in dotazione un innovativo sistema di elettrificazione a tre vie (piezo, trasduttore e microfono).

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Il sito di Luca Francioso
Le sue chitarre
La chitarra da viaggio di Luca
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