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Alla scoperta del lawsuit made in Japan con Silvio Bucci
Alla scoperta del lawsuit made in Japan con Silvio Bucci
di [user #116] - pubblicato il

Il vintage giapponese anni '70 e '80 è una realtà affascinante che attira sempre più amanti e curiosi. Ne approfondiamo i risvolti con un vero esperto.
Il mondo delle lawsuit e del vintage made in Japan conquista sempre maggiore interesse del grande pubblico di appassionati di chitarre elettriche d'annata. The MIJ Pusher, aka Silvio Bucci, è un collezionista specializzato proprio nella produzione orientale degli anni '70 e '80, e con lui abbiamo voluto addentrarci nei retroscena di questa passione sfrenata.

"Voglio cogliere l’occasione per ringraziare la redazione di Accordo per la curiosità espressa nei confronti dell’argomento da me trattato e per la cortesia col quale sono stato accolto anche nelle due edizioni del SHG alle quali ho partecipato da espositore (2016/2017), principalmente nelle persone di Gianni Rojatti e Denis Buratto" spiega Silvio, che così si racconta: "Se ho la fortuna di avere un minimo di esperienza tale che mi permetta di poter spiegare questo mondo oggi lo devo a mio padre, Gianni Bucci, scomparso nell’aprile del 2015, rinomato collezionista di Gibson e Fender d’annata, conosciuto in tutta Italia e anche all’estero, stimato e apprezzato per fortuna da tutti."

Alla scoperta del lawsuit made in Japan con Silvio Bucci

Ci aiuti a inquadrare il concetto di "vintage made in Japan"? Che marchi e annate interessa? Quali sono i modelli più rappresentativi?
La storia del Vintage Made in Japan è contorta e complessa. Tutto nasce da una diatriba principalmente nata tra Ibanez e Gibson alla metà degli anni '70. In quegli anni infatti, per un motivo che a me attualmente ancora sfugge, Gibson e Fender non esportavano i propri strumenti in Giappone, a meno di casi eccezionali per facoltosi collezionisti e/o musicisti che pagavano prezzi spropositati per accaparrarsene una, decisamente alti rispetto all’allora prezzo di listino.
Fu così che i Giapponesi pensarono: “Perché dobbiamo privarci di queste chitarre fantastiche? Siamo ottimi artigiani, anche bravi copiatori... facciamoci le nostre!”.
A casa Ibanez decisero di darsi da fare nel copiare le Gibson e le Fender più famose dell’epoca. E ci riuscirono decisamente bene. Fu così che anche i Giapponesi poterono avere le loro Les Paul e le loro Stratocaster (e altri modelli famosi), a prezzi umanamente accessibili.
Ovviamente il tutto fu visto di certo non di buon occhio da Gibson, che trovò la scusa del layout della paletta identico per intentare causa contro l’azienda giapponese. Da qui nasce il termine “lawsuit”. L’accordo raggiunto di fronte al giudice fu che qualsiasi copia Made in Japan dovesse differire in qualche dettaglio dall’originale, di modo che non venisse violata la legge sul Copyright, ma non poteva venirne vietata la vendita, almeno sul territorio nazionale. Nel frattempo, anche Fernandes e Tokai intrapresero la strada delle copie. Le prime Burny (Fernandes) e Tokai, addirittura portavano il marchio Les Paul sulla paletta (model per le Burny, Reborn e Reborn Old per Tokai), per non parlare delle copie di Stratocaster anni '70 che tirarono fuori in casa Fernandes. Nel frattempo, nelle fabbriche di Matsumoku, anche Greco, Aria, Pearl e altre si davano da fare per ampliare il mercato, dando uno sguardo anche ad altri marchi, come per esempio Rickenbacker.
Una successiva azione legale fu intentata da Fender, Gretsch e Rickenbacker che si aggregarono a Gibson, utilizzando la causa di qualche anno prima come precedente, ma il risultato fu identico. Veniva protetto il Copyright cambiando qualche particolare sullo strumento (bastava anche la forma del Copri Truss Rod leggermente diversa), ma non essendoci mercato in Giappone per strumenti originali, non si poteva vietare le vendite delle repliche in territorio nipponico, motivo per cui si specificava che queste chitarre fossero solo ed esclusivamente per il mercato interno giapponese (almeno fino a prima dell’avvento di internet).
Fender (nei primissimi anni '80 con le produzioni Squier JV) e Gibson (con l’accordo firmato con Hoshino per immettere delle chitarre a marchio Orville - da Orville Gibson, fondatore della casa di Kalamazoo - solo nel 1988) si ripresero parte del mercato, ma ormai il danno era fatto.
Ecco spiegata (in breve, spero in modo chiaro comunque) la nascita del termine lawsuit, usato impropriamente ma popolarmente, per identificare una produzione di repliche (ben fatte, a volte meglio delle originali) temporalmente collocata tra la metà degli anni ‘70 e buona parte degli anni ’80.
Si continua a usare ancora più impropriamente per associazione di idee il termine lawsuit per le produzioni Odierne. Vedi ESP-Edwards o Tokai o comunque per qualsiasi produzione di repliche Made in Japan o di marchi che nel corso del tempo hanno decentralizzato la produzione in Korea o Cina.

Alla scoperta del lawsuit made in Japan con Silvio Bucci

Se non erro, gli esemplari più rappresentativi sono copie dei modelli di sei corde più iconiche: Telecaster, Stratocaster e Les Paul. Esistono degli aspetti costruttivi, di rifinitura in cui le Giapponesi davano filo da torcere ai modelli che imitavano?
La questione è piuttosto delicata e controversa, motivo per cui, per poter apprezzare una chitarra lawsuit, ci vuole un minimo di esperienza e, perché no, di apertura mentale e resistenza al brand addiction (per i non avvezzi con l’Inglese: “fissa per il marchio”).
Le chitarre copiate dai Giapponesi negli anni '70 erano sia le Norlin Gibson e le CBS Fender, sia le Pre Norlin e le Pre CBS. Gli stessi Giapponesi si accorsero del calo qualitativo che entrambe le case americane stavano subendo in quel decennio e nel corso degli anni, sui modelli delle repliche anni '70, forti dei loro alti standard qualitativi, risultarono addirittura migliori delle originali, a prezzi decisamente più competitivi perché non lievitati da un brand famoso. Riuscirono poi ad accaparrarsi ottimi legnami (Su alcune Tokai e Greco c’è addirittura il mogano Honduras o il palissandro brasiliano) e a garantire un’ottima qualità liuteristica, spesso più elevata rispetto al Made in Usa coevo. Non è facilissimo trovare top figurati (ma neanche impossibile) o manici in acero super occhiolinati, ma la qualità generale del Made in Japan risultò sorprendentemente superiore agli standard degli anni '70 e molto più vicina a quella degli anni d’oro di Gibson e Fender (anni '50 e '60), soprattutto per la scelta dei legni e per i prezzi incredibili.
Spesso, ma non sempre, il punto debole erano elettroniche e pickup (eppure alcuni modelli di Maxon o di pickup Tokai restano una rarità bramata anche dai collezionisti). L’idea fu quella di lasciare a basso prezzo qualcosa di facilmente modificabile senza cedere organi interni per pagare gli upgrade, così da avere strumenti più economici ma di qualità comunque eccelsa ed alla portata di tutti.
Un buon artigiano che sappia metterci mano può usare una chitarra lawsuit MIJ come base di qualità per creare uno strumento incredibile con pochi cambiamenti e la spesa risulterà comunque contenuta.
Per assurdo, i Giapponesi furono gli inventori del Custom Shop a basso costo. Repliche perfette, di qualità elevata. Molte, a detta di molti e anche del sottoscritto, anche meglio di chitarre da 4000€ oggi.

Entrano in questo filone anche le Ibanez RG? Parlo ovviamente dei primi modelli e dei primi e più conosciuti esemplari signature: Jem, JSM, PGM...
Nonostante il tutto sia nato proprio da Ibanez, il filone definibile “lawsuit” è appunto quello delle repliche. Modelli nati negli anni '70 o al massimo nei primi anni '80 possono essere definiti (sempre più o meno impropriamente) “lawsuit era”, ma hanno preso direzioni diverse da quella che è la fetta di mercato occupata dal Made in Japan lawsuit originario.
Le Ibanez comunque le producevano a FujiGen, punto nevralgico della produzione Giapponese (Seguito da Matsumoku, Terada, Dyna Gakki e altre) e restano comunque di alto livello e anche molto ricercate, parlando soprattutto di produzioni che ispirano l’attuale concetto di "chitarra moderna". Si pensi che addirittura FujiGen, diventata ormai famosa come la fabbrica Gibson di Kalamazoo che ora produce le Herritage, è diventata così famosa e ricercata da creare un proprio brand che ora tira fuori bei pezzi e va molto di moda: la FGN.

Alla scoperta del lawsuit made in Japan con Silvio Bucci

Dovendo selezionare in questa scena chitarristica la chitarra secondo te più riuscita (marca e modello) quale incoroneresti come reginetta più ambita del vintage made in Japan?
A questa domanda non ci fu risposta. Non perché non mi vada di rispondere, ma perché realmente non c’è. C’è chi dice siano le Tokai, chi dice siano le Orville...
La mia N.1, dopo aver fornito i progetti dei PAF che mio padre stesso mi aveva “dettato” con i suoi studi nel corso degli anni (replicati artigianalmente con maestria da Michele D’Albis - Liuteria D’Albis e D’Albis pickup) e dopo aver modificato le elettroniche con uno schema vintage e i condensatori appropriati, era una Epiphone prodotta nel 1999 a FujiGen, due anni dopo la cessazione della produzione delle Orville, e ha dato filo da torcere anche alle Custom Shop americane in negozio! Altri ritengono che le Greco siano quelle più fedeli di tutte, altri sono devoti solo a Burny e ai pickup VH1. Tra le produzioni moderne ci sono Edwards (Fatta da ESP, come la sottomarca Grass Roots), Bacchus e la FGN nominata poco fa. Non c’è una regina e qualche esemplare non fortunatissimo capita anche tra le Giapponesi.
La cosa assurda, ma comunque piacevole per noi comuni e poveri mortali, è che i prezzi sono da Gibson economica, ma la qualità difficilmente lascia delusi.
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