Traendo ispirazione dal Lexicon 224 e dalle suggestioni sonore intessute da Vangelis per le musiche di “Blade Runner”, Meris infila in un comodo formato pedale dotato di due switch il suo potente modulo rack: il Mercury 7.
Gli algoritmi messi in campo dal particolarissimo riverbero sono due: Ultraplate e Cathedra, selezionabili via micro switch. Il primo propone un Plate verb capace di colorare il suono in maniera estremamente singolare, mentre il secondo strizza l’occhio agli ambienti Church, risultando molto denso e corposo. I due potenziometri Lo e Hi Frequency servono a enfatizzare le frequenze basse e alte dell’effetto. Space controlla la quantità di riverbero – il decay, per intenderci – che si desidera impiegare e Mix miscela il segnale dry con quello wet. Il controllo Modulate aggiunge modulazioni alle code, agendo come il controllo Depth di un chorus, mentre Pitch Vector agisce sul pitching: si può passare da riflessi d’ambiente intonati un’ottava sotto a quelli con un quinta su, fino a giungere a un effetto shimmer. Con questo cursore è possibile anche indirizzare come calanti o crescenti le modulazioni innescate attraverso Modulate.
Ciascuno di questi controlli, combinato alla contemporanea pressione di un secondo micro switch denominato Alt, aziona un ulteriore livello dei parametri che vanno dal Rate delle modulazioni al predelay, dalla profondità del vibrato addizionale all’intensità degli effetti di pitching, dalla densità del riverbero al tempo di attacco della funzione swell attivabile via foot switch. Dunque, sei potenziometri per dodici parametri. Anzi 18, perché i sei cursori presenti frontalmente servono anche a controllare una serie di funzioni legate al global setting del pedale come output mono o stereo, programmazione MIDI eccetera.
Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti: il Mercury 7 è uno strumento, non un semplice effetto. È una vera e propria macchina creativa che non si accontenta di stare al fianco del suono del chitarrista “regolare”, ma davanti. Siamo di fronte a una prima donna. I suoi riverberi e le possibilità offerte di scolpirne le code rubano la scena alla strumentazione che l’accompagna.
Il mercato è ipersaturo di buoni riverberi dal rapporto qualità-prezzo vantaggioso, utilissimi a colorare il proprio sound di partenza anche nella maniera più originale e stravagante. Non è però questo il caso del pedale di casa Meris. Qui si deve essere ben disposti a far prendere il sopravvento a un dispositivo capace di stravolgere il setup di base e ad abbandonarsi senza riserve a un’esperienza sonora e musicale totalizzante.
Selezionando la modalità Cathedra basta portare a fine corsa il controllo Mix e attivare la funzione Swell tramite foot switch – molto simile all’effetto prodotto da uno Slow Gear – per generare forme d’onda da synth soprattutto se davanti abbiamo avuto cura di piazzarci un bel fuzz.
Sempre Swell funge anche come una sorta di sustainer. In modalità Ultraplate, portando il potenziometro Modulate a ore tre, sarà sufficiente infatti tenere premuto il footswitch mentre si suona per immergere ciascuna nota pizzicata in un vorticoso e cosmico buco nero che risuonerà in parallelo agli arpeggi o alle singole parti. Il suono generato non risulta come freezato, ma segue invece il pattern tonale eseguito.
I vari svolazzi dinamici di ottave o di quinte generati dagli effetti pitching selezionati con il Vector hanno il pregio di schiodarci da comode certezze e osare maggiormente durante i momenti di composizione e arrangiamento. Lo shimmer è molto particolare: più metallico che altrove, algido per certi versi, ma con una texture tutta sua che consente di plettrare e muovere le dita sulla tastiera in maniera sorprendentemente inedita.
Determinate considerazioni farebbero pensare di trovarsi di fronte a un pedale da sconsigliare ai più, molto di nicchia e solo per i cultori delle atmosfere rarefatte e fantascientifiche. Io non direi: il Mercury 7 ben si presta anche a utilizzi più convenzionali per conferire, cioè, al proprio suono di partenza profondità e spessore, soprattutto nella modalità Ultraplate, ma a parer mio non è questa la vocazione peculiare di questo particolarissimo – ribadisco – strumento, sicuramente e naturalmente più a suo agio quando si tratta di evocare e scolpire paesaggi sconfinati e siderali.
Limitatamente alla mia esperienza, restando grosso modo nella stessa fascia di prezzo, se si cerca maggiore naturalezza è forse più giusto guardare a uno Strymon Bluesky, mentre se si è alla ricerca di una certa versatilità ci si potrà rivolgere al Boss RV-500. Chi vorrà confrontarsi con la voglia di sperimentare soundscape articolati, costruire ambienti tanto galattici quanto organici, non potrà esimersi dal provare il Mercury 7 di Meris. |