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Maurizio Solieri, curiosando
Maurizio Solieri, curiosando "Dentro e Fuori dal Rock'n' Roll"
di [user #116] - pubblicato il

Assieme a Maurizio Solieri ci addentriamo tra i solchi del suo ultimo disco "Dentro e fuori dal Rock'n'Roll". Tra aneddoti, strumenti utilizzati, approcci alla produzione, chitarra acustica e l'amore per Jeff Beck.
C’è un momento decisivo, particolare che ricordi nella storia, nella realizzazione di "Dentro e Fuori dal Rock'n'Roll"?
Sì, c’è un episodio che ricordo con piacere perché è illuminante su come, a volte, il guizzo e l’ispirazione arrivino da una situazione totalmente inattesa, insospettabile. O da una persona molto lontana dal tuo lavoro.
Ho un caro amico, Bruno, che è un parrucchiere. È comunque un artistoide, un creativo. Un giorno mi chiese se potevo regalargli per il suo sito qualche perla musicale: un riff, un arpeggio, un suono...Ero in studio e mi misi a giocare con la chitarra accordata in Drop D. In un solo pomeriggio uscirono, davvero per magia, tre canzoni, belle e finite: "The Rain" "Possible Crime" e "The Dream". Queste canzoni si sono unite a un pacchetto di brani di cui avevo già pronti i demo. E la fisionomia del disco ha preso forma.


 
In effetti quei tre brani hanno un respiro, un’atmosfera affine...
Sì, assolutamente. Del resto credo dipenda anche dalle chitarre che ho utilizzato. Quei tre pezzi sono una festa della Fender. Li ho incisi con due Stratocaster e una Telecaster. E poi ci sono delle percussioni elettroniche. Il tutto regala un sound omogeneo.
 
Su "The Dream", che hai appena nominato, c’è un tremolo bellissimo. Che hai usato?
È il tremolo dall’amplificatore. Un Fender Vibrolux Reverb del 1975
 
Maurizio Solieri, curiosando "Dentro e Fuori dal Rock'n' Roll"

Ancora su “The Dream”, e poi su un altro pezzo del disco, “Song For a Friend” ti ho sentito utilizzare la leva con un’intensità inedita. Ci sento un forte amore per Jeff Beck...
Certo, del resto chi non ama Jeff Beck? Lo ascolto da quando ero un bambino, visto che nei primi anni sessanta già mi mangiavo i dischi degli Yarbirds. Aveva dei suoni stravaganti ed esplorava dei fraseggi con sonorità medio orientali che adoravo. Utilizzava dei suoni che sembrava arrivassero da un altro pianeta, Fuzz, Wha Wha... cose al di fuori di tutto quello che potevi trovare e ascoltare in giro! Però la cosa che amo di più di Beck e il carattere vocale dei suo solismo. Un aspetto in cui mi ci ritrovo…
 
Spiegati meglio…
È una mia filosofia, di sicuro condivisa con Beck, un approccio che interessa prevalentemente i brani strumentali nei quali cerco di affidare alla chitarra delle parti che sono, a tutti gli effetti, quelle che spetterebbero a un cantante. Insomma, lascio cantare la chitarra…
 
Che è esattamente quello che succede in “Song For A Friend” …
Quello è un pezzo che ho scritto per Massimo Riva. È nato da un giro di accordi che avevo nel cassetto da tempo e mi piaceva molto. Ci ha lavorato con il mio amico e tastierista Mimmo Camporeale. Dopo averlo messo in ordine in un demo è finito nel disco.


 
Tutti i brani di "Dentro e Fuori dal Rock'n'Roll"sono inediti?
No, dieci sono brani inediti. Ma ce ne sono due che già avevo pubblicato, “Matilda”  e “Here My Call”. Ho deciso di riproporre queste canzoni che hanno due storie diverse. “Matilda” era un pezzo che avevo inciso anni fa e non avevo mai suonato dal vivo. Ma è una canzone che mi ha sempre messo una grande allegria e volevo che finisse in questo disco.

Su "Matilda" c’è una chitarra acustica importante. Che rapporto hai con questo strumento?
Sai, io sono un chitarrista prevalentemente elettrico ma l’acustica l’ho sempre suonata volentieri.
Sono anche cresciuto ascoltando chitarristi acustici come Neil Young, Crosby Stills Nash & Young, James Taylor che adoro…Per cui, alla mia maniera, ogni tanto mi piace usarla. Soprattutto come ennesima pennellata all’arrangiamento di un pezzo. Chiaro, non sono certo preso dall’acustica come il mio amico Dodi Battaglia: lui è dentro il mondo di chitarristi come Al Di Meola, Tommy Emmanuell…io li adoro ma non ho mai avuto tutta questa voglia di stare lì a studiare l’acustica per delle ore. Ho sempre suonato l’acustica per quello che mi serviva.


 
E invece, “Here My Call”?
"Here My Call" era un pezzo del 1999 presente nel disco dei Class che ho deciso di rifare, arrangiandolo come pezzo strumentale. Quindi, di quella versione precedente, ho tenuto solo basso e batteria. Pensa che è venuto in treno, il fonico dello studio di Firenze dove avevamo registrato, a portarmi in un borsone i nastri della sezione ritmica con i bassi del Gallo e la batteria di Beppe Leoncini. Allora avevamo registrato ancora in analogico! Li abbiamo passati in digitale, editati e ci ho costruito ex novo le parti di chitarra, rispettando la natura rock blues di quella canzone.
 
Quando hai iniziato a lavorare al disco, ti sei imposto dei paletti stilistici, di suono o produzione ai quali volevi attenerti?
Per risponderti ti racconto un aneddoto. Da ragazzo lavoravo nelle radio e facevo molte interviste.
A casa ho montagne di vecchie audiocassette con le registrazioni di quei programmi. Una delle interviste più emozionanti fu a Dizzy Gillespie. Io ero un ragazzo e lo stavo mettendo sotto torchio con un sacco di domande dettagliate, molto puntuali circa scelte stilistiche, dettagli esecutivi, registrazioni…lui tagliò corto e mi disse: “Ehy man, ricordati che la musica si divide unicamente tra quella buona e quella cattiva”. Un motto che ho fatto mio ed è diventato una sorta di filosofia di vita. Quindi ecco la risposta: nessun paletto stilistico, sonoro o di scrittura se non quello di fare e registrare al meglio tutto, assecondando le mie passioni, le cose che amo. E non mi preoccupo troppo se i pezzi che scrivo sono nel sound ora più anni ’70, ora più ’80, ’90…Mi curo esclusivamente che tutto sia fatto bene, a dovere, che mi piaccia e mi ispiri…

Maurizio Solieri, curiosando "Dentro e Fuori dal Rock'n' Roll"

Ok, però dai, nel tuo disco si percepisce forte una matrice rock molto definita. Un mondo che rispetti e a cui rendi tributo con sincera passione…
Ma certo: se fai rock è chiaro che i riferimenti restano quelli del rock anglo americano o, perché no, quello nord europeo. Del resto, non è certo un genere che abbiamo inventato noi il rock. Noi ci abbiamo messo del nostro, l’abbiamo in qualche modo fatto nostro. Ma l’ispirazione primaria resta quella…
 
Così come, visto che hai appena nominato gli anni ’80, c’è un pezzo "Dogsbody" che sembra uscito da un disco dei Van Halen.
Ma certo, volutamente ho omaggiato un periodo storico e una band che amo. In quel brano c’è tanto dei Van Halen ma anche dei Kiss.
Negli anni ’80, periodo che ho vissuto in prima persona, c’erano queste band solari, allegre e che al contempo suonavano da paura. In "Dogsbody" canta e suona le tastiere Michele Luppi che mi da anche una mano come vocal coach quando canto. Pensa che se Michele non fosse stato così impegnato con il tour gli Whitesnake avrei voluto far registrare la canzone alla sua band, ai suoi musicisti. Per avere un taglio metal moderno e divertirmi a metterci le mie cose di chitarra sopra...


 
Prima hai fatto due volte riferimento a dei demo che avevi inciso. Intuisco che per te, la pre-produzione e la preparazione dei demo sia una fase decisiva nella realizzazione di un disco...
La pre-produzione per me ha sempre avuto un ruolo decisivo, in tutti i brani che ho scritto e registrato, in tutti i dischi che ho fatto. Da Vasco alle mie cose soliste passando per la Steve Rogers Band. E così è stato anche questa volta. Sono sempre entrato in studio con le idee molto chiare, fissate nella pre-produzione…
 
Da sempre, davvero?
Certo, pensa che agli inizi andavo nella cantina di  Mimmo Camporeale e non avevamo altro che due vecchie piastre a cassetta! E facevamo tutto con quelle. Poi, pian, piano si è passati all’8 piste, poi al 12…ma cercavamo di fare dei demo che fossero il più completi possibile: una drum machine, una chitarra, un basso, l’assolo e qualche tastiera. E una guida di voce in finto inglese…il computer poi, negli ultimi anni mi ha aiutato ancora di più ad arrivare in studio con le idee tutte in ordine e dei demo completi, con le stesure dettagliate…
 
E qual è il vantaggio di una pre pre-roduzione così ben organizzata?
Al di là della praticità e metodo che garantisce al lavoro, non di rado è successo di avere trovato nelle pre-produzioni delle parti, dei suoni, delle situazioni (chitarre, qualche percussione…) che poi sono finite, così come erano, nel disco tanto suonavano già bene e convincenti…
Poi, oggi come oggi, soprattutto per un artista come me che si produce in autonomia i suoi dischi, le pre-produzioni alleggeriscono il lavoro…
 
In che senso?
Nel senso che sarebbe bello poter fare come una volta, dove si andava con tutta la band al completo in studio; e la base di una canzone la si registrava suonando tutti assieme, al completo. Oggi è più complesso, meno pratico, costoso. E in questo senso un demo ben costruito nella pre-produzione può essere più veloce, funzionale …e anche economico.

Maurizio Solieri, curiosando "Dentro e Fuori dal Rock'n' Roll"

E quando prepari questi demo da cosa parti?
Un campanaccio in ottavi che fa da click e un paio di chitarre guida. Le suono al meglio ma senza stare ad impazzirci troppo sopra. E, ovviamente, una traccia di voce. Da lì ci costruisco sopra tutto il resto…
 
Nella produzione del disco tu ti spendi anche come fonico? Smanetti con pre, microfoni...
Guarda, io non sono mai stato né un tecnico né un tecnologico. Ho sempre utilizzato moltissimo il mio orecchio che nei tanti anni di dischi, musica, esperienze ho, ovviamente, affinato molto. Quindi, sento se una cosa semplicemente mi piace o meno. Perciò, se un suono di chitarra non mi convince chiedo al fonico semplicemente di darmi un altro tipo di equalizzazione, di pasta o proiezione sonora ma senza addentrarmi in dettagli tecnici, posizionamenti del microfono… Anche perché ho sempre avuto - e ho tutt’ora - la possibilità di lavorare in studio con persone e tecnici con una grande esperienza. Lascia loro carta bianca e poi lascio che il sia il mio orecchio a decidere. Certo, oramai dopo tanti anni conosco bene pre, microfoni e so che si finisce sempre per usare quelli: AKG 414, il 57 così come so come va fatta una ripresa delle mie chitarre….
 
E come va fatta?
Quasi sempre le registro in mono ma aperte su due canali. Ma ripeto, anche in questo caso, comunque alla fine decide il mio orecchio. E non solo nella scelta di un suono, di una ripresa ma anche nel mix o nel valutare se una take funziona o meno…

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