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Intervista a Blanco White
Intervista a Blanco White
di [user #116] - pubblicato il

Blanco White è il progetto solista del londinese Josh Edwards. Dopo aver studiato la chitarra a Cadice e il charango in Bolivia, Edwards mescola elementi della musica latino americana e andalusa con influenze anglosassoni. Il risultato è più che esotico. L'abbiamo intervistato.
Nella tua musica ci sono forti richiami al Flamenco che tu hai studiato in Spagna...
Da tempo desideravo trascorre un lungo periodo di tempo in Spagna. Ho scelto di andare di proposito della parte più a sud del paese per avvicinarmi alla tradizione flamenco. Per me i chitarristi andalusi sono i migliori del mondo: sono andato nei locali dove suonano flamenco a Cadice per vedere, sentire questa musica dal vivo il più spesso possibile. Un amico mi ha presentato il compositore e chitarrista locale Nono Garcia che avevo visto suonare in diversi luoghi della città. Lui mi ha introdotto allo studio di questa musica. È stato incredibilmente stimolante imparare da lui.


 
Parliamo delle tue influenze.
Leonard Cohen e Bob Dylan sono stati decisivi nella mia crescita artistica e rimangono i miei parolieri preferiti. Sono sempre stato attratto dalla musica cinematografica perché ha molto spazio e profondità; in questo mondo musicale, il compositore argentino Gustavo Santaolalla è stato particolarmente importante. Poi ci sono artisti e gruppi più moderni come José Gonzalez, Feist, Beirut e Tinariwen che con la loro arte hanno lasciato un segno su di me.
Inoltre, sono stato pesantemente influenzato da amici e musicisti della scena londinese. Malena Zavala ha pubblicato quello che per me è il mio disco preferito dell'anno! Inoltre sono anche un grande fan del lavoro di suo fratello Lulo Zavala (Oh So Quiet).
Wovoka Gentle sono compagni di etichetta discografica: e non vedo l’ora sia pronto i il loro album di debutto. Insomma, tutti questi personaggi mi stimolano e spronano di continua a essere più ambizioso con il mio stile di produzione

Ci descrivi questo strumento che usi tantissismo, il charango?
Il charango è uno strumento molto speciale per me. È un piccolo strumento originario di Potosí (Bolivia), simile a un mandolino e con 10 corde. È parte integrante della musica popolare andina e ha un suono e un carattere immediatamente riconoscibili. Ha un suono lieve e malinconico. Ovviamente ci puoi suonare anche accordi maggiori, allegri ma il charango ha questa personalità sonora un po’ malinconica, struggente.
 
Servirti di uno strumento esotico ti condiziona nella scrittura, negli arrangiamenti?
Francamente non penso a questo strumenti come qualcosa di esotico. Magari lo è per le orecchie europee per le quali non è certo familiare. Ma io lo suono da così tanti anni che per me è uno strumento tradizionale, quotidiano.  L’ho sempre trovato particolarmente stimolante e amo il suono che produce. I voicing degli accordi, anche quelli più semplici, hanno una vera magia nel suono e anche il modo in cui si fondono con la chitarra è qualcosa di speciale. Anche se sento di conoscerlo bene come strumento, il charango continua a sorprendermi in modi inaspettati.
 
Ci racconti la poduzione di Nocturne?
Registrare Nocturne è stata una sfida per via degli arrangiamenti molto complessi. Chitarra elettrica, ronroco e basso hanno formato le fondamenta del lavoro. Una volta registrate le percussioni, abbiamo sperimentato con synth e un organo Hammond. La violinista Charlotte Schnurr, che fa anche parte della band, si è occupata degli archi. Quando ci sono canzoni così ricche di strumenti, sperimento con le sovra incisioni; sfrutto il lavoro e tempo prezioso in studio proprio per trovare e annotare idee che poi, in seguito, riordino. Man mano che seleziono cosa tenere, faccio un mix approssimativo che servirà da riferimento per il mix finale con fonico. Per registrare la voce ho utilizzato un UM57


 
La diffusione digitale della musica ha influenzato anche la maniera di farla. Ha senso oggi pensare di realizzare un disco in maniera tradizionale? Tu al momento stai producendo solo Ep...
Al moment, invece, sto lavorando al mio primo disco. Da quando ho iniziato aspettavo di affrontare questa sfida. Penso che sia il sogno di ogni cantautore fare un suo disco intero.
Anche perché credo il disco, l’album resti il formato tradizionale in cui gli appassionati, gli amanti della musica si riconoscono di più... Ma fino a questo punto della mia storia musicale, della mia carriera, assieme al mio manager Seb (che ne sa molto più sul settore e sull’industria…) abbiamo deciso che una serie di EP sarebbe stato il modo migliore per sperimentare con la produzione e crescere come songwriter.
Gli EP ti danno sicuramente più libertà per rischiare: sento di aver imparato molto dagli errori e dai successi in ognuno.
Ma non credo siano regole che valgono per tutti.
L’ esordio di Alena di Malena Zavala, di cui ho parlato prima, è un disco intero, composto dalle prime 10 canzoni che lei ha mai scritto, tutte registrate nel garage dei suoi genitori. Il suo album mostra una sicurezza e una maturità che io certamente non avevo quando ho iniziato.
Un disco del genere è la prova che non sempre i grandi dischi devono essere prodotti negli studi più all'avanguardia.
Realizzare la propria musica, i propri lavoro è un processo diverso per tutti. Ad ogni modo, penso che l'enorme importanza, diffusione e popolarità dello streaming oggi significhi una cosa per gli artisti: devono cercare di essere un po' più autocritici e concisi, in qualunque formato pubblichino musica. E francamente vivo questa cosa come una sfida che mi emoziona, piuttosto che qualcosa di cui lamentarsi.


 
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