Scrivere di musica non è facile, scrivere la storia di un album musicale lo è ancor meno ma se, oltre a questo, aggiungiamo che è l’anniversario di un disco che ha fatto la storia della musica le cose si complicano maggiormente.
Il disco in questione è The Dark Side of The Moon della band inglese dei Pink Floyd, uno degli album più venduti di tutti i tempi con oltre 50 milioni di copie.
I 50 anni in musica di un capolavoro senza tempo non sono facili da condensare in un articolo perché bisogna partire dagli albori e dalla storia di una band, i Pink Floyd, fonte di ispirazione e di emulazione, in tutti questi anni, per tanti gruppi musicali.
50 anni di The Dark Side Of The Moon festeggiati il primo marzo 2023, tanti anni sono passati per un disco sempre attuale e in cui vita, morte, società, salute, denaro sono condensati in nemmeno 43 minuti di musica.
Roger Waters (storico membro della band e autore dei testi dell’album) in una intervista lo delineò con queste parole: «“The Dark Side of the Moon” was an instance of political, philosophical and humanitarian empathy that desperately asked to come out» (The Dark Side of the Moon era un’istanza di empatia politica, filosofica e umanitaria che chiedeva disperatamente di uscir fuori).
Genesi
L’ottavo album dei Pink Floyd rappresenta l’apice di anni di sperimentazioni, diverso rispetto ai lavori precedenti: si diede più spazio ai testi e le sessioni strumentali furono meno ampie. Contenuti incentrati sulla psiche umana e sui lati oscuri di essa, e da questo nasce il titolo The Dark Side of The Moon.
L’album incentrato su queste tematiche con la dedica a Syd Barrett (fondatore e anima fragile dei Pink Floyd) e la riflessione sulla Luna nella concezione popolare; perché il lato oscuro della luna altro non è che il lato oscuro della mente. La Luna, nella concezione popolare aveva una connessione con la follia e le fasi lunari potevano essere direttamente collegate all’emergere o all’insorgere della pazzia stessa o all’angoscia, pensiamo a Giacomo Leopardi e alla sua “Alla luna”.
Oppure pensiamo all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto: luna e pazzia vanno di pari passo, forse Syd e il nostro Orlando sono più vicini di quanto pensiamo, nell’assurdo si specchia l’ovvio a volte.
Già dal 1971 la band aveva gettato le basi per il nuovo lavoro, doveva essere un concept e ampliare dei concetti che negli album precedenti erano stati accennati. Fu Roger Waters a lanciare l’idea di un unico tema centrale, di un concept che ruotasse intorno a un principio cardine e che fosse parte integrante del tour che stavano preparando; l’idea di Waters era di inserire, durante i live che seguivano a Meddle (album del 1971), delle nuove canzoni e farle diventare già parte dello show prima che uscissero. David Gilmour, Nick Manson e Richard Wright si trovarono d’accordo e il resto è storia.
Il titolo del concept album era stato già utilizzato da un’altra band, i Medicine Head, ma visto che il loro lavoro non decollava i Pink Floyd tornarono sui loro passi e The Dark Side of the Moon spiccò il volo.
Tematiche come il conflitto interiore, il denaro, la percezione e il trascorrere del tempo, la morte, l’alienazione furono la costruzione del concept; tematiche che prima non erano state così esplicitate. Da non dimenticare anche il passaggio dal rock psichedelico degli album precedenti al rock progressivo e l’innovazione da un punto di vista tecnico: infatti l’album si avvalse di una registrazione in multitraccia, di sintetizzatori analogici e di sezioni parlate.
Waters supera se stesso nei testi ma a rendere il tutto irripetibile e straordinario è il tessuto sonoro, il suono unico che a ogni ascolto fa dire “questo è il suono dei Pink Floyd”. Un movimento lento e regolare, ipnotico, suggestivo e sfumato.
The Dark Side of the Moon fu inciso negli Abbey Road Studios in due sessioni tra maggio 1972 e gennaio 1973. Come capo tecnico audio fu assunto Alan Parsons, che aveva già lavorato come assistente in Atom Heart Mother e come ingegnere del suono negli album dei Beatles Abbey Road e Let It Be. Per Dark Side, il gruppo ha registrato tutti i 10 brani sulla stessa bobina di un registratore a 16 piste, approccio insolito: «Il modo in cui ogni brano fluiva nell’altro era estremamente importante per l’atmosfera generale», spiega Parsons, «quindi abbiamo potuto lavorare sui passaggi durante il processo di registrazione, invece che al missaggio».
La Cover
La cover del disco fu realizzata dalla Hypgnosis (uno studio fotografico e di grafica specializzato nella creazione di copertine di album) e firmata dall’artista grafico George Hardie. Richard Wright chiese qualcosa che fosse “elegante, pulito e di classe”.
La Hypgnosis suggerì una copertina apribile con gli inserti di due poster e alcuni adesivi, il tutto contenuto in una scatola di cartone ma la EMI si oppose alla scatola. La cover rappresenta un prisma attraversato da un fascio luminoso che si separa solo in sei delle sette componenti dello spettro cromatico (manca l’indaco) su uno sfondo nero; a completare il packaging, il design dell’apertura interna della cover, con il battito cardiaco dello spettro, che rimanda a quello che apre l’album, quest’ultimo particolare fu suggerito da Waters.
Ad ogni colore è associata una o più tracce dell’album: Rosso (“Speake to Me”; “Breathe (In the Air)”; “On the Run”); Arancione (“Time”); Giallo (“The Great Gig in the Sky”; “Money”); Verde (“Us and Them”; “Any Colour You Like”); Blu (“Brain Damage”); Viola (“Eclipse”).
Il Concept
Un concept incentrato su varie tematiche e che può essere riassunto in questo excursus: ogni lato del disco costituisce un'opera musicale, le cinque tracce di ognuno dei due lati rappresentano varie fasi della vita umana.
L’album impostato su nuovi canoni musicali portò a livelli impensabili e avanguardistici la musica dei primi anni ’70.
The Dark side of the Moon si apre con dei battiti cardiaci (realizzati con il suono di una grancassa che è stato modificato) e termina alla stessa maniera perché vuole esplorare l’esperienza dell’essere e della vita umana.
“Speak to Me” e “Breathe (In the Air)” parlano degli elementi più mondani e futili della vita con la pazzia come ombra sempre pronta ad accompagnarli. Curiosità: l’intro di “Breathe” è un accordo di pianoforte registrato e suonato al contrario.
“On the Run” la fuga da tutto e tutti. Un pezzo strumentale che utilizza il sintetizzatore VCS3; lo scenario è quello tipico di un aeroporto, in cui ci sono persone che stanno per imbarcarsi su degli aerei della British Airways diretti uno a Roma, uno a Prado e uno a Napoli e ci racconta la paura di volare di Richard Wright.
“Time” che si apre con un grande e fragoroso festival di sveglie, uno dei brani più iconici che descrive perfettamente le concezioni del tempo che si hanno durante tutta la nostra vita: da giovani si ha tempo da poter spendere e sprecare, perché la vita ci appare ancora lunga e duratura; quando poi ci accorgiamo dei tanti anni ormai trascorsi e che la nostra più che vita è stata una semplice e banale esistenza, allora si cerca di recuperare il tempo ormai perduto cadendo nella famigerata “crisi di mezza età”. Non c’è però rimedio allo spreco di tempo, che anzi avanza inesorabile. Viene utilizzato l’EMS Synthi A.
La concezione del tempo per i Pink Floyd è simile a quella dell’autore latino Seneca e in particolare nelle Epistulae Morales ad Lucilium, suo amico. In queste lettere Seneca invita l’amico a diventare il padrone del tempo della sua vita, a non sprecarlo e a farne tesoro. “Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino a oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto, raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento”. Afferma inoltre che «niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro», e cioè che il solo bene realmente in nostro possesso è il nostro tempo. Che i nostri abbiano letto Ariosto, Leopardi e Seneca? Mi piace pensarlo…
“The Great Gig in the Sky” chiude la prima parte dell’album ed è un brano totalmente strumentale in cui Clare Torry utilizza la sua voce come strumento. All’inizio è possibile ascoltare alcune frasi pronunciate da un uomo: è Gerry Driscoll, irlandese che all’epoca era il portiere degli Abbey Road Studios, che afferma di non aver paura di morire poiché la morte è il punto finale della vita di qualunque uomo. Clare Torry fu trovata da Alan Parsons, era una session vocalist, i Pink Floyd la “usarono” come uno strumento, chiedendole di interpretare la sofferenza e la mortalità della canzone.
Il lato B si apre con “Money”, atipico tempo in 7/4, testo incentrato sul sentimento di possesso e sul valore transitorio dei beni materiali: si descrivono le ossessioni di un uomo avido ed egoista. Tra il tintinnio di monete sonanti (vere e registrazione realizzata a casa di Waters) e di un registratore di cassa e di una calcolatrice registrati (riprodotti in modo da creare un loop sul giro di basso), la canzone parla di consumismo e avidità. Con i soldi compra tutto ciò che più desidera (anche una squadra di football e un jet privato), e non pensa minimamente ad aiutare le persone in difficoltà economica («Don’t give me that do goody good bullshit»).
Subito dopo uno dei testi più profondi del disco “Us and Them” che tratta il tema della guerra, della violenza e della loro profonda inutilità. Il brano parla del confronto con l’altro ed è una tematica ancora attuale; fa trasparire, soprattutto mediante le note del sassofono, un sentimento di sofferenza misto ad angoscia. La composizione è frutto quasi interamente di Richard Wright, che aveva composto la parte armonica per la colonna sonora del film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. La voce è quella suadente di David Gilmour.
“Any Colour You Like” è un brano totalmente strumentale, si avvale dell’EMS VCS3 e riguarda la sofferenza delle decisioni e del sentimento legato alla possibilità di decidere.
Il nono brano è intitolato “Brain Damage” in cui viene utilizzato l’EMS VCS3; fa esplodere uno dei temi portanti del disco: il disagio mentale, ma vuole anche dire che abbiamo tutti diritto alla nostra unicità e non all’omologazione che la “cura” prevede. Come dicono i versi proprio dedicati a Syd Barrett: “And if the band you’re in starts playing different tunes (e se la band in cui sei comincia a suonare melodie diverse)”.
Il disco si chiude con “Eclipse“: sul disco cade l’oscurità dell’eclisse, cioè la fine, così come la morte pone termine alla vita. C’è un resoconto della vita di quest’uomo, con tutti gli oggetti, i paesaggi e le emozioni che ne hanno fatto da cornice. Espone i concetti di alterità e unità. Tutto ciò è in armonia sotto i raggi del sole, ma “il sole è eclissato dalla luna” e dunque non esiste armonia e si invita l’ascoltatore a riconoscere le caratteristiche dell’uomo. Il brano termina con lo stesso battito cardiaco che ha aperto l’album. Quest’ultimo brano era stato considerato come seconda scelta per il titolo dell’album.
The Dark Side Of The Moon è anche sperimentazione e registrazione di suoni di oggetti reali, la “music concrete” mescolata ai trucchi da sala di registrazione che creano dei suoni unici.
La Fortuna
L’album immortale, il culmine della sperimentazione, le vendite che ogni anno salgono e ciò fa capire quanto gli argomenti trattati siano importanti. L’album è una combinazione di idee musicali, tecnologia, art design e immaginazione visionaria che è il tratto caratteristico della band ma che qui raggiunge l’apice.
The Dark Side of the Moon fu un successo immediato allora e mantenne il primo posto nella classifica statunitense Top LPs & Tapes per una settimana e vi rimase per oltre 741 dal 1973 al 1988. Disco stampato tutti gli anni a partire dal 1973 in 62 paesi del Mondo e in quasi mille versioni differenti (picture, promo, multichannel ecc.) su più di 490 etichette discografiche (molte di esse non autorizzate); è al terzo posto dei dischi più venduti nel mondo.
Ancora oggi album tra i più acclamati sia dalla critica sia dal pubblico e anche se dal 1995 i Pink Floyd si sono separati, dopo l’addio di Roger Waters, questo non vuol dire che la loro eredità sia relegata al passato.
L’universalità della loro musica non conosce età e per arrivare al pubblico più giovane la band ha una nuova playlist che viene regolarmente aggiornata, segno che i 50 anni sono i nuovi 20.
David Gilmour
David Gilmour nelle registrazioni dell’album “The Dark Side of the Moon” ha utilizzato principalmente la sua famosa Fender Stratocaster denominata “Black Strat”.
Era una Stratocaster del 1969, comprata nel 1970 e modificata più volte pesantemente durante il corso degli anni, partendo dal cambio di colore: inizialmente era di colore “sunburst” e poi venne convertita al nero. Sono stati sostituiti il manico e il ponte, lasciando evidenti tracce delle modifiche effettuate; la chitarra, poi, è stata venduta a un’asta per tre milioni e novecentosettantacinquemilamila dollari, stabilendo il nuovo record mondiale per qualsiasi chitarra venduta all’asta. Tutto il ricavato dell’asta, nel quale Gilmour ha venduto anche molti altri suoi strumenti, è stato donato in beneficenza.
La sua amplificazione, da sempre, è “Hiwatt” insieme a una moltitudine di effettistica, la maggior parte artigianale o modificata per ottenere il suono che da anni lo contraddistingue.
Syd Barrett
Syd Barrett nacque a Cambridge nel 1946, fu fondatore e leader dei Pink Floyd sino al 1968. Fin da bambino mostrò un particolare talento per la pittura e la scrittura, a 14 anni scoprì la passione per la musica e cominciò a suonare. Nel 1965 insieme all’amico d’infanzia Roger Waters mise in piedi i Pink Floyd; la mente creativa di Syd si ergeva sul resto della band fino a quando l’uso di droghe e i suoi comportamenti “particolari” divennero costanti. Nel 1967 Roger chiese al chitarrista David Gilmour di unirsi al gruppo come supporto ma l’apporto di Syd andava affievolendosi sempre più, sino a che, il 6 aprile 1968, uscì definitivamente dai Pink Floyd.
Il testo di “Shine On You Crazy Diamond” sembra raccontare la parabola discendente di Syd: “Ricordi quando eri giovane, splendevi quanto il sole. Continua a brillare pazzo diamante, ora c’è uno sguardo nei tuoi occhi, come dei buchi neri nel cielo”.
Uscito dalle scene, Syd morì il 7 luglio 2006 consegnando il suo ricordo nella musica intatto.
Libri consigliati
“Inside Out. La prima autobiografia dei Pink Floyd” (Nick Mason)
“Pink Floyd. Storia e segreti” (The Lunatics)
“Lo scrigno dei segreti. L’Odissea dei Pink Floyd” (Nicholas Schaffner)
“Pink Floyd. Tutti gli album” (Martin Popoff)
“Pink Floyd. La folle logica: dall’epica del suono all’etica nella forma-canzone” (Raimondo Simonetti) |