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Non farti fregare: impara a leggere i numeri dei social
Non farti fregare: impara a leggere i numeri dei social
di [user #17844] - pubblicato il

È trascorso un anno da quando, a causa della Pandemia da COVID-19, i musicisti hanno dovuto imparare a reinventarsi, sfruttando al meglio delle loro possibilità le opportunità offerte dalla tecnologia e dai social network. Alcuni numeri lasciano ben sperare, ma certi dati possono trarre in inganno.
Questo articolo ha lo scopo di fornire ai musicisti alcuni degli strumenti necessari per muoversi con maggior consapevolezza nel moderno web, tra social e ricerca disperata della viralità.
Quanto segue non è una guida completa, ma ci auguriamo possa rendere più chiari alcuni meccanismi talvolta fraintesi o sottovalutati.

Ci sono numeri e “numeri”
Per un musicista, il concetto di pubblico è estremamente familiare. All’epoca dei social network, però, il termine cambia significato e, in un certo senso, peso.
Uno degli errori più comuni compiuto da un creatore di contenuti (che sia questo un musicista o un artista di qualsiasi altro tipo) è correre alla cieca verso il media che, in quel momento, gli offre i numeri più allettanti.
Su carta, numeri maggiori vogliono dire un pubblico più ampio. Nella pratica, non è sempre così.

La fuga da YouTube
Per illustrare il concetto in modo più chiaro, possiamo prendere a esempio un fenomeno risalente ad alcuni anni fa, ma tuttora applicabile a molte dinamiche del web.
Quando Facebook si è imposto come social network di riferimento a livello mondiale (lo è ancora oggi nonostante l’incalzare di Instagram e Tik Tok), molti creativi sono rimasti abbagliati dal meccanismo dinamico e soddisfacente alla base della piattaforma. Bacheche in continuo movimento, “like” facili e condivisioni dei contenuti con gli amici sono agli antipodi rispetto alla staticità di YouTube, che per anni è stato il raccoglitore principale per le opere multimediali degli artisti emergenti.
Per tutti c’è stato un momento di transizione in cui si è provato a pubblicare lo stesso video su entrambe le piattaforme per confrontarne la diffusione. Quasi sempre, i numeri sensibilmente più alti mostrati da Facebook hanno convinto che il futuro fosse lì, che YouTube non garantisse la stessa esposizione e fosse ormai al tramonto. Eppure, oltre 10 anni dopo il boom di Facebook, YouTube se la gioca ancora testa a testa per numero di utenti e tempo speso dai visitatori.
È interessante approfondire i dati su WeAreSocial e Hootsuite.

Non farti fregare: impara a leggere i numeri dei social

Come un prestigiatore
In un buon trucco, la chiave sta nel mostrare al pubblico esattamente ciò che deve vedere. Così, Facebook ti evidenzia i numeri che possono impressionarti di più, contando sul fatto che non tutti sono in grado di interpretarli correttamente.

Il parametro che su Facebook produce le cifre più accattivanti è “persone raggiunte”, o “impression”. Tale numero non riflette le effettive riproduzioni di un video, ma solo le volte in cui quel contenuto è comparso nella timeline di un utente. Hai presente quando scorri compulsivamente la pagina di Facebook, oltrepassando distrattamente centinaia di post, foto e video? Ecco, in quel momento ognuno di quei contenuti ha contato +1 persona raggiunta grazie a te. Non per questo hanno avuto la tua attenzione.
Meno impressionante, ma più veritiero, è il parametro “visualizzazioni”. La cifra è in genere molto più bassa, ma comunque confortante. Tuttavia, ancora una volta, va presa per quella che è: la voce “visualizzazioni” mostrata sotto il post si riferisce alle “visualizzazioni di 3 secondi”.
Per comprendere meglio, è utile entrare nei dettagli del video e sfruttare i tool di Facebook che consentono di distinguere la natura di tutte le visualizzazioni e scoprire come il “mantenimento del pubblico” (cioè le persone che decidono di continuare a guardare il video) crolli dopo i primi secondi. Questo capita perché hanno chiuso la pagina o, semplicemente, hanno continuato a scorrere la timeline dopo aver indugiato qualche secondo mentre il video è in riproduzione automatica. Le visualizzazioni conteggiate sono insomma vere, ma non tutte della qualità e della costanza che vorremmo.

Viceversa, la visualizzazione di YouTube viene conteggiata all’apertura della pagina che contiene il video. Su YouTube non c’è una vera e propria bacheca da scorrere e lo spettatore, per vedere un video, deve andarci attivamente. Proprio per questo le visualizzazioni lorde saranno probabilmente inferiori rispetto a quelle indicate da Facebook in quanto richiedono un’azione in più ma, approfondendo tra gli strumenti Analytics di YouTube, non è raro scoprire che il mantenimento del pubblico è in proporzione più alto, perché chi apre il video è realmente interessato ad arrivare fino in fondo.

Non farti fregare: impara a leggere i numeri dei social

Facebook o YouTube?
Tali osservazioni non rendono un mezzo meno utile dell’altro, ma è importante conoscere le dinamiche di entrambi i media per decidere quali contenuti pubblicare e dove.
Per sua natura, Facebook premia la freschezza e la viralità. Un post resterà visibile finché è recente e riceve attenzione dagli utenti, con visualizzazioni, reazioni, commenti e condivisioni. Dopodiché, è destinato a finire nel dimenticatoio.
Anche YouTube valorizza i video nella loro prima fase di vita, proponendoli più spesso ai visitatori, ma conserva il suo ruolo di archivio contando su una funzione di ricerca molto forte.
Per questo si potrebbe dedurre che YouTube è più indicato per i contenuti su cui abbiamo lavorato di più o che hanno un effettivo interesse per il pubblico anche a lungo termine, mentre Facebook è la piattaforma giusta per le improvvisazioni rapide, qualcosa che catturi l’attenzione a prima occhiata o che sia fortemente legata al momento storico ma che, quando sparirà, non ci causerà chissà che danno.
La scelta dipende comunque dal caso specifico e bisogna prendere in considerazione una miriade di altri aspetti, come il tipo di pubblico che ci segue abitualmente, i loro interessi e i meccanismi stessi delle piattaforme. Per esempio, Facebook tende a penalizzare i contenuti che portano l’utente al di fuori del sito, come un link verso un sito esterno o un video su YouTube, e li mostrerà meno rispetto a un contenuto caricato sulla sua piattaforma: per questo, se vogliamo diffondere attraverso Facebook il nostro video “importante” che abbiamo caricato su YouTube, potrebbe non avere la stessa esposizione sul social che avrebbe se lo caricassimo direttamente su Facebook. Anche di questo dobbiamo tenere conto.

Non solo video
Per ovvie ragioni, il video è il mezzo che più interessa i musicisti. Non va però sottovalutata l’importanza di essere presenti trasversalmente su più canali, utilizzando il linguaggio giusto per ognuno.
È il caso di Instagram, dove le immagini sono padrone ma le storie permettono di condividere frammenti della propria opera creativa con i follower.
Ancora una volta, i numeri richiedono un’analisi a parte.

Qualche tempo fa, Instagram ha deciso di nascondere il numero di “like” ricevuti dalle foto degli altri utenti. Tale scelta è dovuta a un meccanismo che si era innescato con l’affermarsi del fenomeno influencer.
Alcuni utenti avevano cominciato a seminare like a raffica, senza prestare attenzione ai contenuti, contando che gli autori di quei post avrebbero ricambiato la cortesia (esistono ancora hashtag appositi, come #like4like o #likemypic). Il tutto avveniva con l’uso intensivo dei bot, automatismi che compiono le operazioni di like, commenti, follow (seguire un profilo per vedersi tornare il favore) e unfollow (smettere di seguire un profilo per vantarsi di essere seguiti da più persone di quante non si stiano seguendo, apparendo così più interessanti) senza richiedere alcun intervento umano.
Insieme all’abitudine di acquistare interi pacchetti di follower e like fasulli presso servizi appositi, tali prassi avevano lo scopo permettere ai wannabe influencer di mostrare cifre più interessanti agli sponsor con i quali preparare nuovi contenuti dietro pagamento.

Per Instagram, tutto ciò significava permettere un giro di soldi alle sue spalle, in cui il social non ci guadagna niente e, anzi, diventa meno appetibile per gli inserzionisti che si sarebbero trovati davanti un pubblico farlocco, composto da bot o, nella migliore delle ipotesi, da utenti dal like compulsivo che non prestano attenzione al contenuto.

Tali abitudini sono purtroppo dure a morire e ancora oggi è possibile notare incongruenze nei numeri di vari profili molto seguiti. È possibile per esempio trovare pagine da migliaia se non milioni di follower, ma che all’atto pratico ricevono pochissimi commenti e interazioni.
Questo accade un po’ su tutte le piattaforme, da Instagram a Facebook fino a YouTube.
È un pubblico di scarsa qualità, che ci porta a un tema fondamentale.

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L’engagement
Per certi versi, la qualità del pubblico è anche più importante della quantità, in quanto un piccolo pubblico di qualità elevata può garantire un fattore di conversione molto più alto rispetto a un grande pubblico di scarsa qualità.
Per “fattore di conversione” intendiamo la percentuale di pubblico che reagirà allo stimolo con l’azione che desideriamo ottenere da lui: non dimentichiamo infatti che ogni attività è finalizzata a ricevere un riscontro da parte degli astanti, idealmente, riuscire a “vendere” loro un prodotto.
Il prodotto potrà essere fisico, potremmo essere noi stessi, potrà essere quantificato in guadagno monetario o anche solo d’immagine, potrà avere lo scopo di far fidelizzare i follower all’artista o al marchio che rappresenta, ma mira sempre e comunque ad avere un ritorno pratico.
Un pubblico ampio ma poco attento non sarà in grado di offrire lo stesso risultato di un pubblico più piccolo ma molto ben selezionato.

Per fare un esempio banale, proviamo a pensare a due pagine su un social con bacini di follower molto diversi. Da un lato mettiamo la pagina di un costruttore di chitarre seguita da 100 chitarristi, dall’altra mettiamo un altro costruttore di chitarre seguito da 1000 persone, tra cui anche gli stessi 100 chitarristi. Si potrebbe pensare che 1000 è sempre meglio di 100, ma la verità non è così semplice.
Le dinamiche dei social non permetteranno mai ai due liutai di mostrare i propri post al 100% del pubblico, salvo sponsorizzare i contenuti, cioè pubblicizzarli all’interno del social dietro pagamento. La percentuale di impression organiche che un social come Facebook garantisce per ogni post, cioè la quantità di persone a cui sarà mostrato quel contenuto senza alcun “boost” pubblicitario, è estremamente bassa: varia dal 3 al 5% a seconda della natura e della tipologia di post e, come detto, la diffusione del contenuto può variare sensibilmente a seconda del coinvolgimento che genera, ma per semplificare supponiamo che Facebook decida di mostrare il post al 10% dei follower di una pagina.
Va da sé che 10 chitarristi vedranno il post del primo liutaio, mentre il contenuto del secondo liutaio sarà sì mostrato a 100 persone, ma di cui solo una piccola parte è realmente interessata. Per quanto ne sappiamo, tra quei 100 potrebbe non esserci alcun chitarrista, rendendo vano lo sforzo. Ancora peggio: se il liutaio decidesse di sponsorizzare il post, dovrebbe spendere una cifra consistente per garantirsi di aver raggiunto tutti e 100 i chitarristi che lo seguono all’interno dei suoi 1000 follower, passando necessariamente per 900 persone non interessate al suo lavoro.

Non farti fregare: impara a leggere i numeri dei social

Come comprare follower
Quanto spiegato finora può lasciare intuire che accrescere il proprio pubblico in maniera poco trasparente è non solo poco utile, ma può rivelarsi persino controproducente.
Ciò si applica alla prassi di acquistare pacchetti di like quanto all’abitudine di cercare follower a tutti i costi, a prescindere dal reale interesse della persona per il tema trattato.

Acquistare pacchetti di follower è un’usanza tristemente diffusa in qualsiasi ambito, ma a volte basta poco per smascherare chi millanta numeri fuori da ogni logica. Questo vale sia che stiate pensando di affidarvi a un fantomatico “mago dei social” seguito da centomila persone per promuovere il vostro lavoro, sia che abbiate valutato di comprare follower per la vostra pagina: è una prassi che non paga.

Fino a qualche tempo fa, internet pullulava di servizi presso cui acquistare veri e propri pacchetti da centinaia o migliaia di follower per qualche decina di euro. Si trattava di account fasulli, veicolati perché seguissero una data pagina o un profilo, spesso tramite l’uso di bot. Beccarli è uno scherzo, perché in gran parte si riferiscono a utenti per niente attivi sul social, che (quando lo fanno) lasciano commenti sempre simili e generici sotto ogni post o sono geolocalizzati in luoghi lontani, poco verosimili per un’attività legata al proprio territorio come può essere un negoziante, un artista o un sito in lingua italiana.
Ora che i social si sono armati contro i suddetti bot e gli utenti hanno imparato a riconoscere un account “che puzza di falso”, l’acquisto di follower non è affatto sparito, ma si è raffinato.
Oggi quei servizi si fanno chiamare “agenzie” e vendono i cosiddetti “follower veri”. Ancora una volta si vendono in pacchetti, ma le agenzie garantiscono che dietro a ogni account c’è una persona che lascerà dei mi piace, occasionalmente commenterà, a seconda di quanto il cliente è disposto a sborsare. Il meccanismo è semplice: 100 persone (per fare un esempio) sono a disposizione di un’agenzia e accettano di mettere “mi piace” alle pagine che vengono loro indicate dietro una piccola retribuzione. Ogni persona può seguire un numero illimitato di pagine, così l’agenzia può vendere un pacchetto di 100 “follower veri” a chiunque. Ciò le permette di assoldare altre 100 persone, e poi altre 100 ancora, così da puntare a un bacino di clienti più ampio e offrire loro follow, like, reazioni. Quelle 100 persone, di rimando, possono lavorare per più agenzie, creando una rete di utenti reali che guadagnano piccole cifre lasciando una sfilza di “mi piace” alle pagine in giro per internet. Se il tuo lavoro è vendere i like dal tuo profilo, poi, probabilmente ti organizzerai per gestire più profili alla volta, moltiplicando il meccanismo all’ennesima potenza.
Tutto questo traffico ha però una qualità infima, in quanto nessuno di quegli utenti verrà mai a un tuo concerto o acquisterà un tuo prodotto.

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Non invitare i tuoi amici
È esattamente quello che accade quando chiedi un “mi piace” per la pagina della tua band di Brescia al tuo nuovo amico su Facebook che viene da Siracusa: non è solo un like di scarsa qualità, ma è persino controproducente per te.

Ecco perché
Acquistare follower o chiedere il like a utenti che ricambieranno solo per cortesia è male per la tua comunicazione.
Ti danneggia non solo perché disperde il traffico potenziale dei tuoi post, come spiegato in precedenza, ma anche perché manda fuori rotta gli algoritmi dei social su cui pubblichi.
I social network imparano e memorizzano le abitudini e gli interessi degli utenti. Se pubblichi un video in cui suoni un assolo di chitarra e tutti i tuoi compagni di calcetto ti lasciano un “mi piace” per la simpatia che hanno verso di te, la prossima volta che pubblicherai un post questo verrà mostrato principalmente a persone simili a quelle che ti hanno prestato più attenzione in precedenza, quindi presumibilmente ad altri appassionati di calcio, anziché ai musicisti che vorresti raggiungere davvero.
Il ragionamento si estende a tutti i tuoi follower, se hai acquistato un pacchetto presso una delle suddette agenzie: avrai sì dei “mi piace”, ma il social si convincerà che i tuoi contenuti piacciono a persone che corrispondono a quei profili, quindi gente che segue di tutto, dalla moda all’edilizia, senza un percorso preciso da seguire. Così, disperderai tantissimo traffico potenziale.

Te ne accorgerai
Quando un giorno deciderai di sponsorizzare i tuoi post usando i tool ufficiali dei social perché ti sarai reso conto che tutto quel traffico ha una qualità bassissima e non ha alcun fattore di conversione, dovrai faticare molto per inquadrare il tuo pubblico. Non potrai chiedere per esempio a Facebook di mostrare il tuo post a persone simili a quelle a cui piace la tua pagina, perché finirebbe sulla bacheca di uno scacchista di Marsiglia e, quando vorrai raggiungere altri chitarristi come te, ti troverai a dover sborsare cifre importanti per superare quel muro di pubblico finto che ti sei costruito finora.

Meglio pochi ma buoni?
Di certo l’ideale sarebbe avere un pubblico di qualità e insieme numeroso, ma traguardi simili non si ottengono da un giorno all’altro. Occorre costanza, livello di contenuti e perseveranza, considerando che la qualità del pubblico è il primo fattore, sempre e comunque.
curiosità musica e lavoro
Link utili
I dati su We Are Social
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