..anch'io la mia esperienza di "bambino col pallone". M'intristisce doverlo fare qui da solo, ma conosco il rispetto della volontà altrui e, dunque, mi adeguo.
Ho passato la mia infanzia in un paesino del sud e, dunque, la mia vita pallonara è stata probabilmente facilitata rispetto alla vostra, metropolitana e caotica. Senza alcun timore di macchine che sfrecciano veloci o loschi figuri che ti rapiscono.
Dai cinque ai tredici anni ho passato il mio tempo con il pallone, almeno quindici ore su ventiquattro, con pausa pranzo e pausa "Holly&Benje".
Si giocava in una strada e le porte erano due grate di ferro poste alle estremità. Per i dribbling usavamo il muro come sponda, come giocassimo a biliardo. Altro che Shaolin!
Quando, invece, si giocava in piazza (severamente proibito, soprattutto dopo la distruzione, una alla volta, di tutte le lettere che componevano la scritta MUNICIPIO sul grande portone d'ingresso) il nostro incubo era il vigile che, senza pietà alcuna, arrivava e, col suo vocione burbero, "ch'ema fa che 'stu pallon' damm' qua" (che dobbiamo fare con questo pallone, dai qua) c'intimava requisendoci il tango consumato e serrandolo nel portabagagli della 127 d'ordinanza. In realtà, era un finto burbero e non chiudeva mai a chiave. Per cui, una volta allontanatosi, aprivamo il portabagagli e ricominciavamo più esaltati di prima.
Poi la scuola-calcio cittadina, i campetti veri e tutto il resto. Ma niente è mai stato come quelle infuocate ed impolverate partite alla Canala. Con il muro a fare da sponda.