Ero piccolino quando rimasi impressionato dalla goffaggine, dalla sporcizia, dall’appetito da vere “bocche buone” di quell’ondular di carne, di quel mare rosa in continuo movimento che erano i maiali dell’amico Cesare. Erano giorni di pioggia ed essi, chiusi nel recinto, giravano come orgogliosi dei loro stivali di fango, grugnendo di gioia insipida appena tiravo loro qualche mela caduta a terra da tempo, mezza marcia. Ovvio che quelle buone me le facevo io. Li guardavo mangiare. Non solo le mele ma tutto l’esistente intorno che fosse anche lontanamente edibile: l’interno delle pannocchie, le zucchine e altra verdura di scarto, avanzi di cucina, pane vecchio …. Insomma, erano una sorta di ingordi inceneritori naturali che oltretutto non lasciavano alcuna cenere da smaltire; al contrario, trasformavano il pattume in gustosa carne. Cesare mi confidava che erano pure degli amatori alla grande, il che un po’ mi sorprendeva vista la loro natura pigra, molliccia. In questo tempo di deprimente vacuità di mente, di violenza, di insano fagocitar di tutto per tentar di riempire vuoti irriempibili, mi è stato facile pensarlo fortemente ammalato, abitato da uno straripante esercito di uomini avidi e ingordi come i porci dell’amico Cesare, privi di facoltà morali, scimmiottanti malsani stili comportamentali; passanti sopra agli ideali come bulldozer, che consumano tutti e di tutto passeggiando orgogliosamente il tempo nei loro stivali di fango.
E’ doloroso, almeno per me che lo avverto non solo nell’anima ma anche con una qualche irritazione fisica, vivere in questo tempo dei maiali. Molti anni fa l’avrei pensata un’affermazione esagerata e anche ora continuo a dirmi che forse non è proprio così, che si tratta probabilmente di uno sballo momentaneo dei cieli, colpa di anomale tempeste solari o di una micidiale lacerante depressione universale. Poi, però, come una mitragliata di schiaffi, mi arrivano le notizie da questa palla devastata che è il mondo e vorrei essere un albero, una cima innevata, un cavallo; tutto tranne appartenere all’esercito del grugnito, quella massa stupida che calpesta tutto, che fagocita il peggio, che beve il male e si ubriaca di un niente sconfinato. A volte, in un impeto di malsana voglia, indosserei i panni del giustiziere (pur sapendo di diventar più cretino dei cretini) e vorrei far girandola con le mani, piegare il bullismo come una barretta di cioccolata, lisciare il pelo agli stupratori con un vento di carta vetrata, incartare l’arroganza con un foglio allo sterco ma poi, fortunatamente per me, vince la componente di artigiano dei sentimenti, di manovale del rispetto. Qui, mi ripeto e mi ripeto, c’è da aggiustar la bussola, con pazienza, senza metter al muro nessuno, senza far salami dei portatori di vuoto, dei delinquenti d’ogni genere e grado. Ci vorrà molto tempo prima che una nuova chiglia, ben zavorrata di cultura e amore, riporti dritta la barca. Ci vorrà una rivoluzione vera che sappia riplasmare gli ideali corrotti, rimodellare il senso del vivere, ricollocare la ragione nell’attico e l’istinto a pianoterra regalando a quest’ultimo un efficace joystick di controllo. C’è un grande avvilimento quando noto il proliferare di pizze al taglio, paninoteche, venditori di patatine. La tendenza nei giovanissimI è ingurgitare di tutto e di più. Se potessero mangiarsi il telefonino o il casco del motorino, lo farebbero volentieri.
Il paesaggio interiore di molti di loro è pieno di buchi, in stile gruviera e dolorosamente verifico che questo loro sistematico, nevrotico ingozzarsi non li rende meno infelici, più sicuri. Di certo li ingrassa, momentaneamente li gratifica anche, ma il peggio è che li abitua alla pratica della dose calmante della quale non potranno più fare a meno, sia essa fatta di televisione, playstation, droga varia, fumo, patatine al ketchup. Si comportano alla stregua di maialini da ingrasso che alla meglio potranno trasformarsi in gustosi salami. Oppure in seguaci della filosofia del niente, praticanti la sopraffazione nel delirio delle loro teste e dei loro stivaletti infangati. Forse la soluzione sta nel cambiare loro il menù. Con pazienza e con amore bisognerà sostituire le urla con la musica, i gesti bradipi con il senso dell’eleganza, le parole monche con frasi annaffiate di buon senso e qualche goccia di poesia, la volgarità con i gesti e i pensieri leggeri e spumosi. Ci proviamo? E’ un compito da educatori motivati, un compito serio, individuale, che implica dapprima prender le misure a noi stessi, adulti, pesarci per capire cosa e come possiamo fare. Voler bene, sappiamo tutti cos’è e tutti, spero, l’abbiamo già provato. Bisogna tirarlo fuori dagli armadi, strizzare le paure che ce l’hanno fatto nascondere, strapazzare i giorni di carezze. Trovare tenerezze. Qualcosa succederà anche ai maiali.