Marlene canta con quella componente di non chalance che caratterizza una fetta di giovanissime d’oggi e che fa tanto da scudo alla timidezza. Ha quasi quindic’anni, io veleggio verso i settanta col freno a mano tirato. Sarei il suo insegnante di canto se non fosse che io non insegno a cantare ma a cercare di essere se stessi, a usare la bocca aperta come un altoparlante dello stomaco e di quello che di indefinibile ci agita dentro, ci morde e che per lo più non vuole uscire e non ama i portavoce. Il locale dove il suo gruppo suona è il solito spazio squallidotto, mezzo ristorante, mezza pizzeria, mezza veranda da spiaggia con la sabbia che ti si posa sulle spalle appena si alza un po’ di brezza. Strumenti squilibrati in quanto a qualità e potenza. Il batterista pesta e io dietro un mixerino Soundcraft non riesco a far venir fuori come vorrei la voce di Marlene costretta a cantare in tonalità non sue. Meno male, uno direbbe, perché così si sentono meno le note calanti e crescenti che sono troppe. Non se lo merita. Cerco di scaldare la voce sostituendo un Audix con un classico Shure SM58 ma viene subito a calare la presenza.
Mah! Sono perplesso sull’offerta musicale di questo gruppo eppure l’ensemble sfodera qualcosa di buono, qualche fetta di personalità: quella del tastierista con il Roland a tracolla, e quella del secondo chitarrista che diventa un nano quando stranamente si abbassa, si piega nel fare gli assoli. Dovrò dare una mano a questi “germogli” poco aiutati. In fondo se lo meritano perché sanno miracolosamente stringersi l’uno all’altro per trovare gocce di entusiasmo e andare avanti nella melma invisibile dei loro giorni. “Ci troveremo…. Un’ora ve la dedico e spero di darvi qualche consiglio…!”
Mi guardano come non guardassero. Per loro devo essere quasi trasparente malgrado i miei 100 chili. Ma forse no. Mi solletica la speranza che servo ancora a qualcosa e a studiarli bene ne ricavo che forse non sono così indifferenti alla mia offerta. In un’epoca in cui anche i 10 Comandamenti vengono scambiati per il titolo di un film non visto, ho l’arroganza di sedermi su un muretto di sera a dispensare perle, birra e CocaCola per il gruppo di Marlene. Ecco il discorso quasi notturno.
“Dovete mettervi in testa che siete al servizio del cantante o di chi fa il solista! Siete voi che costruite l’impalcatura sulla quale si arrampica chi canta. Lei deve stare sul tetto, ci mette la faccia; se l’impalcatura è fragile o squilibrata, cade tutto, la cosa non sta in piedi. Allora, vediamo di buttar giù qualche punto fermo. Iniziamo da prima del concerto. Dunque ….dovete decidere una volta per tutte dove vi posizionate sul palco e che esigenze di monitoraggio è necessario soddisfare, limitatamente agli strumenti che avete o che potete procurarvi. Il bassista e il batterista devono sentirsi il meglio possibile. Nei gruppi come il vostro, che si sono formati da poco tempo e che comprensibilmente sono dotati di strumentazione squilibrata, in genere è il batterista che non sente il bassista, il più delle volte perché l’ampli di quest’ultimo è troppo poco potente e/o di scarsa qualità. Per questo motivo l’ampli per il basso va posto il più vicino possibile al batterista. E’ spesso conveniente non enfatizzare troppo le note basse, in un ampli di scarsa qualità fanno solo marmellata. Enfatizzate i medio-bassi e i medi in modo che almeno quelli siano comprensibili. A proposito della qualità degli strumenti: più questa è bassa è più l’insieme diventa una marmellata. In queste condizioni ogni componente del gruppo tende ad alzare il volume per sentirsi e così si finisce che si realizza un muro di suono orribile, una frittata in cui si capisce ben poco delle singolarità, specialmente se il genere musicale è l’hard rock, il punk o altra musica caciarosa. Con queste condizioni suonare diventa inutile, incomprensibile, fastidioso per il pubblico. Quando si dispone di strumenti di bassa qualità, la prima regola è semplificare e razionalizzare gli interventi di ognuno. La seconda: tenere i livelli non al massimo. La terza: “arrangiare” con semplicità il pezzo, avendo attenzione a creare una dinamica degli interventi. Ciò significa non suonare sempre tutti, cosa che invece avviene con grande frequenza nei gruppi di primo pelo. Calibrare l’apporto al brano di ogni musicista è importantissimo. Ci dev’essere un gioco di entrata-uscita e se ci sono due chitarre queste devono almeno suonare gli accordi in posizioni diverse o, molto meglio, fare cose diverse, tipo uno accompagna e un altro arpeggia, o riffeggia, o strappa solo gli accordi. A volte è preferibile che in alcune parti non faccia nulla. Riuscire a ottenere quello che vi sto dicendo non è facile e necessita della presenza di una specie di autorità impositiva nell’ambito del gruppo. Ci dev’essere un leader che non faccia il leader hitleriano, che si occupi cioè della gestione “psicologica” dei componenti, che tenga le redini, che smorzi le tensioni, che stimoli e raccolga gli entusiasmi, che sintetizzi le proposte e le faccia fruttare. Gli altri componenti possono a loro volta occuparsi della parte tecnica, dei rapporti con i gestori dei posti dove si va a suonare, della razionalizzazione del trasporto strumenti, della contabilità e dell’organizzazione degli incontri, eccetera eccetera. Adesso
bevo uno birra e vado a casa. Altra cosuccia: Marlene si trova a cantare canzoni di interpreti maschili in tonalità maschili! Si tratta per lo più di suicidi vocali. Mi ha detto che o non sapete o vi secca fare la trasposizione in una tonalità che vada bene a lei. E’ un errore pazzesco! Capisco che vi costerà fatica ma non potete mandare al macello la vostra cantante! Ultimo consiglietto per questa sera, per tutti: mangiate e bevete poco prima del concerto. Dopo sfogatevi ma prima, datevi una controllata. Ci vediamo domani che continuo la predica. Notte!”