di enricosesselego [user #28271] - pubblicato il 20 ottobre 2020 ore 12:30
Come fonico e chitarrista che ha deciso di spendersi anche come didatta in queste discipline, molte delle domande che ricevo più di frequente interessano la gestione (o set-up) ed ottimizzazione del proprio home studio. Ho deciso di selezionare le richieste più ricorrenti affiancandole al mio punto di vista a riguardo.
Non credo si possano fornire risposte in senso assoluto visto che le soluzioni che ciascuno adotta per fare e registrare la propria musica sono – e devono restate – assolutamente soggettive. Ritengo però che, soprattutto i meno esperti, possono a volte soccombere disorientati sotto il bombardamento di informazioni in cui ci si imbatte, specie sul Web. Il rischio è quello di perdere tempo e lucidità allontanandosi dai propri obiettivi reali. Per questo, l’intento degli spunti che fornirò è soprattutto quello di favorire un approccio concreto, razionale e – soprattutto - ordinato. Toccheremo diverse questioni, spalmate su vari articoli. Oggi iniziamo parlando di sistemi digitali e microfonazione e utilizzo delle cuffie.
MICROFONARE O IN DIRETTA CON IL DIGITALE?
È da quasi vent’anni, dalla comparsa dei primi Pod e di plug ins come Amp Farm o Guitar Rig che ci si è iniziati a interrogare sul senso di investire sulla microfonazione delle chitarre in una dimensione di home studio.
Ha senso acquistare microfono, asta, cavi e creare - o comperare - una “isobox” per mettersi alla ricerca delle migliori possibilità offerte dal proprio amplificatore quando ormai c’è solo l’imbarazzo della scelta in soluzioni digitali con un rapporto qualità prezzo e una versatilità sonora eccezionali? Soprattutto perché, in un ambiente di home recording, la ricerca della migliore microfonazione e conseguente utilizzo dell’ampli va – ahimè – sempre a braccetto con l’urgenza di non creare malumori con vicinato e coinquilini per via del volume. Condizione che mina alla base la possibilità di una ricerca e sperimentazione sonora libera e disinibita.
Se a questa restrizione aggiungiamo il fatto che il musicista, chitarrista in questione ha prevalentemente bisogno di lavorare su preproduzioni rapide (e quindi la sua reale necessità è quella di una soluzione “plug and play”) oppure, se utilizzando il digitale dal vivo, voglia costruire a casa dei suoni da riportare identici live, il digitale diventa oggi la scelta non solo consigliata ma quasi obbligatoria.
Viceversa, per chi ha uno spazio giusto e può allora permettersi di fare “rumore”, la soluzione analogica ha senso, soprattutto se il musicista ha anche interesse nell’affinare una sensibilità e consapevolezza sonora più consistenti.
L’ esperienza della scoperta del vero suono di un amplificatore e la comprensione di come il microfono sia in grado di “fotografare” il proprio sound in registrazione, sono momenti di grande crescita musicale.
Si tratta di un’esperienza realmente unica, se mi permettete anche profonda, in grado soprattutto di educarci al suono giusto, alla ricerca, alla critica. Un’esperienza che – soprattutto – è in grado di arricchirci con dei parametri di confronto con il digitale, parametri che stiamo perdendo indubbiamente…
Traslando al tema della registrazione, porto un esempio nel quale tutti noi possiamo ritrovarci: per i nostri DAW abbiamo cataloghi interi di plug-in che emulano i più noti compressori o preamplificatori storici e tutti siamo (me compreso) felici di poterli utilizzare nelle nostre sessioni. Tutti, entusiasti per la buona resa, prorompiamo in commenti del tipo “Suona come quello originale!” Ma la domanda che bisognerebbe porsi è: abbiamo veramente mai sentito con le nostre orecchie tale compressore o tale preamp nella sua versione originale? Quella vera, tangibile, analogica? Quanti di noi possono dire di si, sinceramente?
Dico questo non per discriminare in alcun modo nessuno, né tanto meno per porre limiti nell’ utilizzo di tecnologie digitali; ma per stuzzicare, ancora una volta, la reale consapevolezza di ciò che stiamo utilizzando.
Tornando al mondo chitarristico, l’emulazione di una cassa 4x12 con testata JCM 800 virtuale è uno dei preset più ricorrenti. Ma con quanta maggiore sicurezza e abilità potrebbe essere gestito un sound del genere se ci confrontassimo prima, in un paio di situazioni reali, con la stupenda “spettinata” che una testata del genere con il volume a 9 può darci ascoltata dal vivo?
Io stesso, nei miei anni in studio con Paul Gilbert e Steve Vai, ho vissuto il “trauma” dei volumi insopportabili nelle stanze dedicate solamente agli amplificatori microfonati… uno shock che si traduceva però in un sound da sogno quando usciva dai monitor di studio: provare per credere.
LE CUFFIE
Per quanto riguarda l’ascolto in un ambiente domestico, non tutti possiamo permetterci di ascoltare i nostri mix a 70-80 dB continuativi. Le cuffie sono una possibilità decisiva per poter lavorare in casa a qualsiasi ora e – virtualmente - a qualsiasi volume. Inoltre, le cuffie, integrano l’ascolto offerto dai nostri monitor, garantendoci uno spettro di valutazione più ampio di quanto stiamo ascoltando.
Proprio questa considerazione mi offre il gancio per lanciare un semplicissimo input legato all’ ascolto in cuffia: nei grandi studi è la prassi avere almeno 2 set di monitor (nearfields e midfields) e possibilmente una coppia passiva ed una attiva; e a queste, si aggiunge molto spesso addirittura un terzo set al muro. Questo arsenale di monitor permette non solo di essere in grado di monitorare quanti più dettagli sonori ma anche di emulare tutti i possibili sistemi d’ ascolto in circolazione. Bene, bisognerebbe avere un approccio identico anche con la scelta delle cuffie. Perché avere un solo paio di cuffie? Perché invece non cercare di averne 2 o 3 paia, e non per forza quelle sensazionali di prezzo. Si potrebbe variare di tipologia ed architettura, scegliendo tra quelle molto diverse tra loro, affiancando a modelli professionali anche soluzioni più economiche o entry level.
Porto un altro esempio e questa volta dal Sol Levante, dove un amico collega fonico, mixa ormai da anni principalmente con earphones, cuffiette, da telefonino per poi fare un check finale in studio con i monitor. La ragione che ha portato a questa sua prassi è tanto pratica quanto paradossale dal punto di vista audiofilo. Però basta farsi un giro nella metropolitana di Tokyo per capire -soprattutto per alcuni mercati mainstream- quale sia il media principale di ascolto della popolazione!