Un altro aspetto da analizzare è il Suo equipaggiamento.
Apriamo tre brevi paragrafi, dedicati rispettivamente alla chitarra, all’amplificatore e agli effetti (lo so, questa parte è agghiacciante già dal titolo, ma purtroppo occorre conoscere e affrontare la paura per superarla).
La chitarra
Già qualche chitarrista obietterà che il titolo è sbagliato, in quanto un chitarrista degno di questo nome debba avere un parco chitarre degno di un negozio di strumenti musicali di New York: un vero axe man deve obbligatoriamente possedere (e portare sul palco per la gioia dei roadies e del Suo tecnico, mentre nelle band più scalcagnate questo incarico incombe sui Suoi sottoposti all’interno del gruppo): ovviamente sia alcune solid body che diverse archtop, una chitarra equipaggiata ad humbucker, una con single coil, una con entrambi i tipi di pickup come riserva nel caso di rotture di corde, almeno una acustica, una dodici corde elettrica, una da collezione in bella mostra di sé sul palco per la delizia dei fan, una regalataGli dalla moglie/fidanzata e quindi guai se non usata almeno in un brano (di solito si tratta di una ciofeca cinese - la chitarra, non la moglie - di cui la gentile compagna Gli ha fatto omaggio, chitarra che LUI disprezza profondamente e l’inventare scuse per non usarla Gli procura più problemi di quelli dovuti a inventare nuovi nomi per le future band), una per l’assolo di quel particolare pezzo (che novantanove volte su cento non viene eseguito, ma “se il pubblico dovesse richiedermelo”!!!), altri vari ed eventuali giocattolini a sei corde.
Caratteristica comune a tutte le chitarre che i chitarristi portano sul palco è che si scordano continuamente. È inevitabile, cari amici comprimari, a meno che non il vostro chitarrista non abbia un tecnico personale incaricato di accordarGli le chitarre tra un brano e l’altro, che non vi sarà mai possibile eseguire due pezzi di seguito uno all’altro, perché LUI dovrà immancabilmente accordarsi. A nulla varranno discorsi tipo 'attaccare "Jumpin’ Jack Flash" di seguito a "Black Night" è una figata pazzesca' oppure 'una volta ho visto Springsteen fare quattro pezzi uno di seguito all’altro!'. LUI non vi degnerà di un cenno, intento com’è a fissare con sguardo vacuo l’accordatore elettronico che Gli segnala come la corda del sol (sempre quella, maledetta!) sia già tre quarti di tono calante rispetto a otto secondi prima e quindi a riaccordare lo strumento per la seicentoventiduesima volta.
L’amplificatore
Valvole o transistor? Testata/cassa o combo? Qualunque sia l’opinione di specialisti del settore, costruttori, riviste specializzate, musicisti famosi, sottoposti all’interno del gruppo, l’unica verità anzi, LA VERITA', ce l’ha solo LUI. Non illudetevi che vi spieghi (?!) il perché della Sua scelta con motivazioni razionali: se, e ripeto se, Egli si è imposto come sacra missione quella convincervi della bontà, anzi dell’unicità della Sua scelta, vi fornirà argomentazioni tecniche minuziosissime (e qui verrete sommersi da dettagli tipo la composizione chimica del cartone usato per i coni, le coperture in fibra di carbonio dei cavetti usati per i collegamenti, il particolare tipo di neodimio utilizzato, le speciali manopole dei comandi che agiscono in base a sensori sofisticatissimi che a loro volta azionano un campo di forza, l’importanza delle viti testa-tonda-dado-quadro che assicurano un sustain eccezionale), argomentazioni alle quali non oserete controbattere soprattutto per ignoranza ma anche per pudore.
In caso contrario vi rivolgerà uno sguardo sprezzante che, nel migliore dei casi, è traducibile più o meno con un “ma che cazzo vuoi capire tu, che ti spiego a fare!?”. Rassegnatevi quindi a decantare le virtù del Suo ampli, la sinuosità delle linee, l’armonicità della sua estetica, la potenza cristallina ma allo stesso tempo distorta del suono, la straordinaria maneggevolezza nel trasporto (e quando vi toccherà trasportarlo - perché sarete voi che avrete il sommo privilegio di aiutarLo a trasportare l’ampli - vi accorgerete che è stato interamente costruito, in ogni sua parte, con piombo e ghisa, cavetti e viti comprese), insomma di che razza di meraviglia tecnologica LUI stia condividendo con voi e di come siate esseri meschini nel non apprezzare tutto ciò. C’è gente che pagherebbe per questo, ingrati!
Quando finalmente riconoscerete questo privilegio, il Suo sguardo di scherno muterà leggermente in un’espressione di composta superiorità, e sia LUI che voi sarete contenti e soddisfatti.
Teniamo poi presente che, così come per la chitarra, anche sugli ampli il chitarrista è tremendamente retrogrado, anche se Lui si definisce “irrimediabilmente romantico” (sui pedalini invece questo atteggiamento oltranzista non appare, stranamente). L’innovazione non Lo scuote, la tecnologia non Lo tange, il progresso è il Suo nemico. Tutto deve restare così come fu concepito negli anni ’50, per cui l’ampli deve essere rigorosamente valvolare, testata e cassa - meglio se più casse - e comunque pesantissimo e ingombrantissimo, tanto non è mica Lui che lo trasporta e lo carica/scarica.
Gli effetti
Questo capitolo è, per i non chitarristi, estremamente penoso.
Nel 99% dei gruppi il batterista si siede, iniziando a sudare afferra le bacchette e, sudando sempre più copiosamente, attacca: one, two, three, four e via. Il pianista/tastierista/organista si siede, accende i suoi pulsantini su on, regola i suoi sequencer e attacca. Il bassista infila il jack nell’ampli, alza volumi e toni al massimo e parte.
LUI no!
Il chitarrista innanzi tutto ha alcune pedaliere da collegare tra di loro: i più ricchi hanno costosissimi rack digitali già assemblati, ma la maggioranza dei chitarristi si rifiuta di usarli, in quanto “non sono rock” o “è roba da finocchi (?)”. Quindi hanno accrocchiato tra di loro decine di pedali, pedalini e pedaletti i quali immancabilmente provocano risonanze e ronzii tipo immenso sciame di vespe indonesiane incazzate e pronte all’assalto.
È persino superfluo osservare che LUI non si cura di tutto ciò, l’importante è che il phaser, il fuzz, l’overdrive, il chorus, il flanger, l’octaver, il compressore, l’harmonizer, il noise gate (la cui presenza è ovviamente solo teorica), il reverb, il delay, il wah wah, il ninja boost, il cazz che t’ammazz, il comando dei canali pulito/assolo e qualche altro pedalino “che si usa poco ma non si sa mai” oltre all’immancabile accordatore elettronico (il più usato tra i pedali) siano funzionanti e correttamente collegati tra di loro.
Questo ovviamente NON AVVIENE MAI, ma non fateglieLo osservare, o vi sarete fatti un nemico per l’eternità, voi e i vostri discendenti fino alla quarta generazione.
Dopo alcune decine di minuti necessarie a far funzionare l’esoterico accrocchio di pedali, più qualche altra dozzina di minuti passate ad accordare per la ottocentoventiquattresima volta la chitarra, a questo punto la band di solito comincia a suonare.
In sala prove o sul palco questo è un dettaglio, un particolare secondario, perché il primo rito che si svolge è il sound check, ovvero bisogna regolare i suoni.
Se ci troviamo in sala prove, questa operazione dura di solito pochi minuti, tanto l’importante è che “la chitarra si senta!”. Sul palco per una esibizione live invece questa fase di solito è più complessa. Iniziando rapidamente dai suoni - a Suo insindacabile giudizio meno importanti - (batteria e basso) passando dalle tastiere (se e quando ci sono) alle voci, si arriva finalmente alla/le chitarra/e, dove i tempi necessari si dilatano a dismisura poiché occorre regolare, nell’ordine: suono pulito (ah, ah, ah, scusate se rido, suono pulito e chitarrista rock nella stessa frase mi fanno sempre ridere), suono pulito dicevo (ah, ah, ah, scusate ancora, ma anche se vecchia la battuta fa sempre ridere), suono crunch per ritmica, suono distorto per ritmica, suono distorto per riff, suono piuchedistorto per assolo, suono distortissimo per assolissimo, il tutto moltiplicato per le chitarre che ha sul palco (vedi sopra).
Una volta meticolosamente regolato alla perfezione il tutto dal povero fonico di turno, miracolosamente si sentono nitidamente le voci e gli strumenti (la chitarra è un po’ altina, ma noi non diciamo niente, semmai noi altri ci alzeremo un pelino dopo); ma quando arriva il momento di iniziare, i musicisti-non-chitarristi avranno la conferma definitiva di ciò che da tempo sospettavano ma non avevano finora sufficienti prove a dimostrazione: una mutazione genetica è intercorsa in quella particolare specie animale che è il chitarrista.
Difatti ci si è resi conto che il chitarrista ha le orecchie posizionate sul retro delle ginocchia e non ai lati della testa come quasi tutti noi. Come hanno rilevato tempo fa E. Cosimi e S. Tavernese (giornalisti e musicisti di chiara fama) solo sostenendo una simile anomalia fisica si può giustificare il classico posizionamento straight, tutto in avanti dell’ampli del nostro Duce supremo. I coni del Suo ampli sparano centinaia e centinaia di watt diretti sulle caviglie del chitarrista e, se si sta suonando in una sala o in un club, anche su uno o due tavoli di malcapitati avventori posizionati in asse, che verranno pettinati secondo il moderno look “galleria del vento”, o alla Fantozzi nella spider di Calboni mentre vanno a Cortina.
Ovviamente il chitarrista perde immediatamente il controllo del proprio suono e del proprio volume, e a ogni pezzo alza il volume per l’immancabile assolo. E fin qui andrebbe anche bene, senonché all’inizio del brano o della strofa seguente il volume resta lì posizionato, e al sopraggiungere del nuovo assolo la manopolina maledetta del volume si alza ancora, e così via per tutta la durata dell’esibizione... il tutto a vantaggio delle Sue ginocchia, ovviamente, e del mantenimento del sopra citato look degli avventori dei tavoli a ridosso del palco.
Inutile dire che gli altri componenti del gruppo subiscono ineluttabilmente il progressivo incremento di volume innescando, salvo sporadici casi, una conseguente reazione a catena: il bassista alza un poco alla volta fino a produrre un rumore sordo che fa scappare gli avventori i quali credono sia in corso un terremoto dell’ottavo grado della scala Richter; il tastierista/pianista/organista comincia a smadonnare contro le ingiustizie del mondo, alza il volume al massimo e alla fine rinuncia pigliando a calci le sue pianoline e mandando a fare in culo tutti i componenti della band, rispettive mogli e figli e discendenti fino alla quinta generazione; il batterista è tutto contento e pesta ancora più duro con sguardo estatico mentre suda come un lottatore di sumo, mentre il cantante, dopo aver raggiunto in viso tutte le colorazioni e le sfumature di colore dal rosso pompeiano al blu di prussia, sviene sul palco collassando a pelle di leone, dopo aver sputato in faccia agli avventori della prima fila nell’ordine: tonsille, ugola, corde vocali, anima. |