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Histoire d’O: ovvero la pace dei sensi
Histoire d’O: ovvero la pace dei sensi
di [user #13472] - pubblicato il

Acquistare una chitarra di liuteria è un po' un salto nel buio, ma può dare grande soddisfazioni. Lo racconta un nostro lettore, felice possessore di una Ran De Gal O realizzata su specifiche di Walter Donatiello.
C’è stato un tempo in cui volevo essere come Rocco Siffredi, ma poi ho capito che col mio fisico non c’era alcuna speranza.
C’è stato un tempo in cui volevo essere come Joe Pass, e in parte ci sono riuscito perché anch’io sto perdendo i capelli.
C’è stato un tempo in cui sognavo di far l’amore con tutte le chitarre del mondo. Con qualcuna c’ho pure provato e fra le mie mani sono passate Gibson, Fender, Yamaha, Ibanez, Martin, Taylor, americane o asiatiche non importava. Storie di qualche anno, di qualche giorno, talvolta solo una notte e via.

Alla fine sono rimasto fedele per quasi 40 anni alla mia Squier JV che, pur con tutti i suoi tanti difetti, mi rende ancora felice. Per farle compagnia le ho messo accanto una Martin, appena maggiorenne, per la quale provo però solo un amore filiale: troppo giovane e ‘vuota dentro’ per fare cattivi pensieri.
Fino a che non ho trovato lei: ‘O’.

Histoire d’O: ovvero la pace dei sensi

Conoscevo le chitarre della liuteria Ran De Gal per averle viste a Sarzana Acustica ma, nonostante le insistenze del liutaio Perrotta, non mi ero azzardato neppure a sfiorarle. Sono un chitarrista timido e soffro dell’ansia di prestazione. Le trovavo comunque bellissime e originali.
Mentre cercavo nei meandri del web una chitarra semiacustica mi imbatto nel Model ‘O’ di Ran de Gal. Sulla carta ha tutto ciò che cerco: tastiera in ebano, top in abete, camere tonali accordate e, soprattutto, i pickup Lollar Imperial.

Comprare una chitarra di liuteria è sempre un rischio. Non si sa mai se è uno strumento riuscito o irrimediabilmente compromesso da errori progettuali. Ultimamente avevo già preso qualche cantonata, riversando troppe aspettative su chitarre costose e rinomate, ma che alla "prova costume" mi avevano un po’ deluso.
Complice il fatto che lo strumento non è molto lontano dalla mia città, che il prezzo è allettante e che il venditore è un artista giovane e disponibile, mi decido a una prova.

A un primo esame la chitarra risulta essere stata un po’ maltrattata e passata attraverso tante, forse troppe mani. Fatta fare nel 2013 su precise istruzioni del bravo chitarrista jazz Walter Donatiello (che molto gentilmente si è prestato a darmi informazioni sulla chitarra ), sembra che negli anni sia stata un po’ rimaneggiata e sicuramente necessita di un tagliando. Dal punto di vista liuteristico è integra ma con qualche ferita di troppo e anche la parte elettronica necessita di una revisione. Resto un po’ indeciso se prendermi cura di lei o aspettare ancora il grande amore. Alla fine ha vinto il mio animo da crocerossina e l’ho portata via con me, con la determinazione di lavorarci un po’ su.

A casa cambio le corde e provo a suonarla. La chitarra pesa solo 2,8kg ( la mia schiena ringrazia), il manico è scorrevole e si fa avvolgere dolcemente dalla mia mano, l’action bassa e la tastiera d’ebano guidano morbidamente le dita. Ma i potenziometri gracchiano un po’ e il selettore a cinque posizioni deve essere stato cablato male perché alcune posizioni non rendono giustizia agli ottimi pickup Lollar Imperial. Le meccaniche Waverly, che all’inizio mi avevano lasciato un po’ perplesso perché  normalmente usate sulle chitarre acustiche, fanno il loro lavoro. Non hanno un rapporto (ratio) estesissimo, ma sono stabili: permettono e mantengono una buona accordatura.

Histoire d’O: ovvero la pace dei sensi

Rimango però un po’ perplesso, con l’incertezza di non aver ancora trovato la chitarra che sognavo. Decido allora di portarla da un liutaio della mia città per il settaggio con corde più generose (.011) e per rivedere tutto il wiring. E in parte succede il miracolo: la chitarra sprigiona una personalità non facile da gestire, ma ricca di armonici, dinamica e una voce melodiosa che mi aggrada.
Non è uno strumento perfetto, ma anche l’imperfezione ha il suo fascino. L’unica cosa che è lontana dal mio ideale sono i 24 tasti che non mi servono e rendono il suono del pickup al manico leggermente medioso e aspro sui cantini: nulla che non possa essere rimediato con l’equalizzazione. Rimangono le cicatrici delle ferite inferte dai precedenti proprietari ma ora è il mio strumento principale.

La sua vocazione è il jazz contemporaneo, ma risponde molto bene anche per il rock (il pickup al ponte è strepitoso per i suoni crunch), la fusion o tutto ciò che si può suonare in fingerstyle. No, per il Metal, no: le pratiche sadomaso le lascia ad altre chitarre più procaci e provocanti.

Histoire d’O: ovvero la pace dei sensi

L’ho fatta provare ad amici molto più bravi di me e il verdetto è stato più che positivo. C’è chi ci ha trovato l’anima blues , chi la sensualità e la personalità  di una chitarra unica nel suo genere.
L’unico commento che ancora mi fa riflettere è stato quello del mio - ormai ex - maestro: "Non te la meriti! Che ci farai tu alle chitarre...". Secondo voi intendeva dire che devo essere orgoglioso di lei o che dovrei  smettere di suonare? Nel frattempo, per non sbagliare, ho cambiato insegnante. E poi, purtroppo lo devo ammettere, l’unico modo che ho per avere tali bellezze è... pagarle.
Per concludere: passi Joe Pass e si freddi Siffredi, perché madame ‘O’ mi ha fatto finalmente raggiungere la pace dei sensi (forse).

Due mesi più tardi
Io: "Signoria, lei ha una voce bellissima!"
n.t.: "Grazie. Anche le sue mani non sono niente male"
io: "Signorina lei mi confonde... posso sapere il suo nome?"
n.t.: "Gli amici mi chiamano Tele, Nash Tele"
Accidenti, ci sto ricascando un’altra volta.
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