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Soffro di GAS e non me ne vergogno
Soffro di GAS e non me ne vergogno
di [user #17844] - pubblicato il

Si è portati a pensare che i chitarristi si circondino di strumentazione per sopperire alle scarse abilità tecniche, ma vi propongo una chiave di lettura differente.
Cominciamo col dire che non siete soli: chiunque abbia un hobby è a rischio GAS, i fotografi ne sono l’esempio più evidente e la Gear Acquisition Syndrome è nota per lo più proprio grazie a loro.
Si tratta della “sindrome da acquisizione di strumentazione” ed è quel meccanismo mentale che porta ad acquistare sempre più strumenti, alla ricerca di un risultato specifico o una soluzione che puntualmente si rivela irraggiungibile, innescando un ciclo infinito. È una forma di acquisto compulsivo subdola, perché manca di quell’onestà per la quale si compra qualcosa semplicemente quando si è depressi, e invece ci si raccontano cose come “il problema è  che non ho trovato ancora la sfumatura che mi serve negli assolo” oppure ”se quel pezzo non mi viene bene è perché non ho il delay giusto”.
Basta fare un passo indietro per dedurre che, con ogni probabilità, il limite è nel musicista e non nello strumento. Così finisce che la GAS è spesso associata a una scarsa abilità, come se chi ne soffre riversasse negli strumenti tutte le proprie mancanze, per giustificare se stesso. Io dico, invece, che a volte la situazione è più complessa: chi soffre di GAS non ha necessariamente carenze di abilità, ma di occasioni in cui ci sentirsi bravo per ciò che fa.

Soffro di GAS e non me ne vergogno

Fa parte della natura umana cercare di appagare se stessi. Si mangia perché si ha fame, si beve quando si ha sete, si studia uno strumento per godere e far godere gli altri della musica che si impara a eseguire. Il giocattolo si rompe quando a un grande sforzo non corrisponde un briciolo di soddisfazione.

Pensateci, cos’hanno in comune due categorie apparentemente così diverse come i chitarristi e i fotografi? Fino a un po’ di anni fa forse poco o niente ma, dall’avvento della digitalizzazione, una cosa in particolare: possono sentirsi terribilmente soli.
Chi suona in cameretta o edita le foto per se stesso sul computer di casa ha pochissime possibilità di confrontarsi con gli altri. Ciò non solo limita le possibilità di crescita, ma rimuove un elemento cruciale nella sana coltivazione di un qualsiasi hobby che preveda una curva di apprendimento: qualcosa che ti dica quando stai migliorando.
Per loro natura, la fotografia e la musica hanno bisogno di un pubblico. Un albero che cade nella foresta non fa rumore se non c’è nessuno ad ascoltarlo, e il divertimento di imparare a suonare uno strumento, se non c’è nessuno con cui condividere la propria musica, dura poco.
Fotografi qualcosa, o studi un brano, ma non sai davvero se lo stai facendo bene. I libri aiutano, ma hanno dei limiti. Devi giudicarti da solo, e se ti piaci sei troppo indulgente, se non sei soddisfatto sei ipercritico, non lo saprai mai. Così lavori alla cieca su te stesso e ti sfoghi con l’unica cosa che puoi misurare: i megapixel di una nuova fotocamera o la pasta sonora di uno strumento diverso.

È un’esperienza molto lontana, per esempio, da chi frequenta una palestra. Sulle prime tutti comprano scarpette nuove, accessori e tute per ogni occasione: è l’entusiasmo della novità. Questa però raramente si trasforma in GAS perché hai un metro, una bilancia e uno specchio che ti mostrano miglioramenti innegabili. Puoi leggere il tuo percorso nei chili che sollevi. In musica invece non hai alcun modo per capire dove stai andando, se dall’altra parte non c’è nessuno che te lo dice. Anche correre contro il metronomo a un certo punto annoia: vogliamo fare arte, non ginnastica.

Soffro di GAS e non me ne vergogno

Lo hanno capito molto tempo fa i progettisti di videogame, quando hanno imparato a padroneggiare i cosiddetti sistemi di ricompensa: una difficoltà alternata a un premio, il bastone e la carota. La sfida sta nel trovare il giusto equilibrio per tenere il giocatore “all’amo” quel tanto che basta perché continui a giocare senza annoiarsi per un’avventura troppo facile né sentirsi frustrato per una troppo ostica.

A sostegno di questa teoria potrei portare all’attenzione l’esempio di molti musicisti affermati, o anche emergenti e già bravissimi, che per quasi tutta la loro carriera imbracciano pochissimi strumenti. Alcuni non hanno neanche ben chiaro cosa hanno sotto le mani, ma lo usano da dio e sono contenti così. Diamine, ogni malato di GAS ha un amico bravissimo che non capisce un cavolo di strumenti e gli chiede consigli in continuazione.
Cosa distingue i due? Il talento innato? Forse. O forse le opportunità, quel qualcosa che ti faccia capire dove stai andando, un pubblico che ti applaude o anche un musicista più bravo che storce il naso, spronandoti a fare di meglio la prossima volta. Perché una prossima volta ci sarà, e avrai qualcosa di diverso da dire alla gente che l’ascolterà, e ti aiuterà a orientarti nella nebbia della tua crescita artistica.

Soffro di GAS e non me ne vergogno

Certo, ci sono celebri eccezioni, musicisti fenomenali che comunque si riempiono casa di strumenti e ricercheranno il suono perfetto fino alla fine dei giorni. Perché la GAS è infame, ma è più divertente in compagnia.
musica e lavoro
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