Tale dichiarazione lasciava intendere, infatti, che l’irsuto vocalist avrebbe voluto ancora calcare le assi del palco, questo sì, dedicandosi anche a qualcosa di diverso rispetto al prodotto sonoro per cui la sua band storica, nel corso degli anni, era divenuta così celebre e idolatrata. Vada per i Rolling Stones, vada per i Faces, passi anche il sempreverde motto sesso, droga e rock ’n’ roll… ogni tanto, però, può starci anche un sano cambio di rotta. Da lì a poco, le parole di Dickinson si sarebbero rivelate profetiche. Nel giugno del 2012, gli scaffali dei migliori record store del pianeta ospitavano infatti il debutto in LP e CD di un progetto chiamato Chris Robinson Brotherhood che, nonostante la presenza a chiare lettere del nome del leader, si differenziava dai suoi precedenti lavori solisti: New Earth Mud e This Magnificent Distance, rispettivamente del 2002 e del 2004.
La , nel suo breve e prolifico periodo di attività (2011-2019), sarebbe divenuta una sorta di naturale proseguimento - con tutti i distinguo del caso, sia chiaro - della monumentale istituzione universalmente conosciuta come Grateful Dead, pubblicando sette album in studio, parecchie ghiotte raccolte dal vivo e mantenendo inalterata la formula a cinque con tanto di presenza fissa - al di là di qualche inevitabile defezione - del tastierista Adam MacDougall e del chitarrista Neal Casal. Quest’ultimo, in particolare, figlio del New Jersey e con un passato ricco di dischi di culto in veste di cantautore, sarebbe stato l’ago della bilancia della band contribuendo alla sua notorietà e statura artistica in maniera fondamentale.
Tra i tanti show ancora presenti in rete (alcuni brevi e acustici, registrati per note emittenti radiofoniche locali; altri elettrici, spesso immortalati in location europee) parleremo in questa sede di una performance significativa per più motivi.
Ci troviamo alla Hollywood Bowl di Las Vegas e il concerto in questione risale agli inizi del dicembre 2017. In tale occasione la band si è esibita al pieno della forma in una setlist torrenziale, suddivisa - come da classica tradizione per questa tipologia di gruppi - in due set per una durata totale di circa tre ore. Una maratona sonora che merita di essere (ri)scoperta.
"In molti definiscono “jam” la CRB, ma il concetto stesso di “jam band” è complesso e sfaccettato. Io personalmente preferisco parlare di noi come di una “song band”. Il songwriting è la cosa fondamentale. Non c’è nulla di più importante delle canzoni. Le canzoni vengono prima ancora delle chitarre o delle voci... sempre." .
Chris Robinson canta con passione e trasporto (si è ancora distanti dai recenti strilli dell’attuale lineup dei Black Crowes e dai brani di modesta fattura presenti in Happiness Bastards), suona la chitarra elettrica e si dedica alla ritmica con scioltezza indossando, con credibilità e physique du rôle, i panni del gran cerimoniere. Al timone della sezione ritmica abbiamo Tony Leone, drummer scafato e ben inserito nel folto schieramento di adepti che fa capo a Phil Lesh. Jeff Hill al basso, preciso e sempre pronto a condire con il giusto groove il menù della serata. Infine, Adam MacDougall, maestro indiscusso delle tastiere, e Neal Casal, l’autentico cuore pulsante del quintetto. Ogni sua nota sembra rispettare l’andamento del respiro del suo autore, uscendo alla scoperto solo quando e se necessario, impreziosendo le strofe con passaggi coerenti e pieni di gusto o impreziosendo le canzoni con assoli che, pur crescendo piano, sanno conquistare l’ascoltatore grazie al pregio di una lenta, progressiva costruzione melodico-armonica. Il tocco di Casal, nel tempo trascorso con la CRB, è cresciuto, maturato, arrivando a esprimere tutte (o quasi) le tante sfaccettature di un musicista eclettico, sensibile, unico.
Da notare, inoltre, la scelta oculata degli strumenti. Tra le tante chitarre cui Neal Casal ha abituato il suo pubblico, il podio è occupato da una Fender Stratocaster del 1975 (così tanto rimaneggiata da somigliare alla creatura del dottor Frankenstein!), dalla fedele Telecaster e da una meravigliosa Scott Walker modello Santa Cruz, e versatilissima a livello timbrico oltre che leggera: un dettaglio da non sottovalutare, in particolare per gli strumentisti che necessitano di dover resistere a tour de force anche molto lunghi…
"Oltre ad avere un suono incredibile ed essere stata rifinita dal suo ideatore sulla base di alcune mie specifiche tecniche, è anche la chitarra che in qualche modo mi ha cambiato la vita. È una chitarra in grado di offrire tutta una serie di timbriche e, in generale, di opzioni che, da tradizionalista quale ero, non conoscevo e non potevo immaginare." Neal Casal, a proposito della sua chitarra Scott Walker.
Curiosi? Ecco a voi la scaletta dell’intero show che, come anticipato, dura ben 180 minuti… da degustare per intero oppure andando a sezionarne gli highlights, cogliendo il meglio dei singoli brani. Un consiglio: non lasciatevi sfuggire le classiche High Is Not The Top, The Chauffeur’s Daughter, Rosalee e neppure le liriche digressioni slide di Neal Casal in Tulsa Yesterday e Poor Elijah / Tribute to Johnson. Soffermatevi, in generale, sulla grande bellezza di una band in stato di grazia e sulla testimonianza musicale di un chitarrista (Casal si è tolto la vita il 26 agosto 2019) come di rado vi capiterà di ascoltare.
Buona visione!
SET I
Lazy Days
High Is Not the Top
Tornado
Tulsa Yesterday
Like a Tumbleweed in Eden
The Chauffeur's Daughter
Roll Old Jeremiah
Poor Elijah / Tribute to Johnson
SET II
Good to Know
Venus in Chrome
Hark, The Herald Hermit Speaks
Blonde Light of Morning
Glow
Behold the Seer
Ain't It Hard but Fair
Rosalee
The Old Country Waltz |