RACCONTO DI FERRAGOSTO
di Michele Serra
IL SIGNOR B
I^ parte
Quell’estate, per il signor B, minacciava di essere l’estate della disfatta.
Netto calo nei sondaggi, i collaboratori che facevano di tutto per nascondergli la rassegna stampa estera e sostituirla con la benevola rassegna della stampa nazionale, qualche larvata critica della Chiesa nonostante i tanti favori economici e politici, la freddezza crescente di alcuni tra gli alleati più fidati.
La cerchia degli ingrati (vera ossessione di ogni potente) che si allargava.
Ma soprattutto era il suo istinto, il suo infallibile fiuto, a dirgli che un ciclo era oramai chiuso.
In una delle sue ultime , rare apparizioni pubbliche, nelle quali il suo sguardo veloce e riassuntivo riusciva sempre a cogliere la media dei sentimenti della folla nei suoi confronti, il solito gruppetto di ragazzini comunisti, malvestiti e barbuti, lo aveva – come sempre – apostrofato con insolenza.
Copione scontato, il normale, insignificante prezzo da pagare, pensava il signor B, all’invidia degli infelici.
Ma nel preciso istante in cui la security allontanava quella sparuta rappresentanza nemica, in un rapido mulinello di minacce e occhiali neri, lo sguardo del signor B, ai margini del piccolo tumulto, incrociò quello di un ragazzo.
Il ragazzo non applaudiva e non fischiava.
Non acclamava e non inveiva.
Non lo amava e non lo odiava.
Sembrava annoiato , sembrava indifferente: così almeno lo classificò l’infallibile, velocissimo sguardo del signor B.
Con una delle sue formidabili zoomate, in un milionesimo di secondo lo sguardo del signor B mise a fuoco l’iride del ragazzo.
Dentro il grigio compatto della noia e dell’indifferenza, il signor B vide danzare qualche residua scintilla di disprezzo, che andava spegnendosi come un fuoco che aveva esaurito il suo ciclo..
Brace che si mutava in cenere.
Fine dello spettacolo.
Lo sguardo di quel ragazzo produsse al signor B uno sconvolgimento interiore che gli uomini del suo staff – una manica di inutili servi strapagati – non sarebbero mai stati in grado di capire.
Pur non avendo cognizione alcuna della sapienza degli antichi (il signor B non aveva mai letto i libri che pubblicava) interpretò quello sguardo come un presagio implacabile: il classico inizio della fine.
Per due notti dormì poco e male, nel grande letto solitario oramai sguarnito di ragazze a noleggio per evitare antipatiche discussioni con gli avvocati della moglie e strascichi polemici prodotti dall’invidia sessuale del nemico impotente.
Ma all’alba della seconda notte quasi insonne, a mezz’aria tra sogno e coscienza, vide sfilare sul soffitto della stanza tutti gli editoriali complimentosi degli ultimi vent’anni, udì il coro ammirato degli agiografi, l’applauso della folla, rivide i sorrisi affabili dei consiglieri, degli avvocati, dei portaborse; e tutti, come un esercito arrivato in soccorso, gli ripetevano la stessa frase:
“Tu sei l’uomo che trasforma le sconfitte in vittorie.
Lo hai sempre fatto e sempre lo farai.
E così sia”.
In quel momento il signor B seppe quello che doveva fare.
Si alzò dal letto e convocò, al completo, il suo stato maggiore.
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II^ parte
Un paio di ore dopo c’erano tutti.
Sorpresi di trovare il signor B euforico come ai bei tempi.
Allegro, determinato, contagioso: un vero capo.
“ Ascoltatemi bene – disse il signor B – perché non ho tempo da perdere.
Io sono il più ricco, il più potente, il più invidiato, il più simpatico, il più fortunato.
Ho più case di tutti, più donne di tutti, più soldi di tutti.
Io sono il primo tra i primi”.
“Il primo tra i primi ! Il primo tra i primi !”
Lo interruppe in deliquio il coro degli adulatori, che temevano di dover affrontare la depressione del capo ed invece si trovavano di fronte al consueto, rassicurante elenco di meriti, eccellenze e primati.
“E adesso ditemi, voi che siete così bravi e mi costate così cari: che cosa mi manca dunque?”.
Dopo una breve esitazione, i più confidenti azzardarono la risposta:
“ti manca:
il terzo elicottero,
la decima villa,
il quarto governo,
la sesta Champion’s League,
l’ottavo canale,
un’amante circassa,
un’orgia marziana,
una reggia orbitante,
il miliardesimo miliardo,
un fallo elettronico”.
Il signor B li guardò con sufficienza.
“Provo a ripetervi la domanda: se sono il primo tra i primi che cosa mi manca ?”.
Un silenzio smarrito avvolse l’assemblea.
Nessuno osava azzardare un’ipotesi.
“Ma è ovvio: mi manca di essere il primo tra gli ultimi”.
Effettone.
Mormorio di sorpresa.
Conciliaboli tra vicini di posto.
“I tempi sono cambiati – proseguì il signor B – e se non lo fossero quanto basta , provvederemo noi a farli cambiare più in fretta.
L’epoca della ricchezza sfondata, dello sfarzo, della mancanza di limiti ha esaurito il suo ciclo.
Il troppo storpia, come diceva Sant’Agostino, un bel gioco dura poco ed il pubblico è saturo di uno spettacolo che è durato anche troppo a lungo.
Di quel gioco io sono stato il trionfatore indiscusso.
Ora ne comincia un altro: e la mia missione è trionfare anche in quello, perché, come ben sapete, cari signori, io sono nato per essere il primo.
In pochi mesi sarò di nuovo il leader indiscusso, il modello da imitare, la guida infallibile.
E adesso giustificate i vostri lauti stipendi e datevi da fare.
Lavorate attorno alle mie nuove parole d’ordine.
Che sono: sobrietà, austerità, umiltà.”
“Ma capo – osò il più intraprendente dello staff (dunque non Bonaiuti) dopo qualche secondo di assoluto silenzio – non vorrà mica diventare comunista?”.
Il signor B sorrise.
“Comunista ? Molto, molto di più”.
Tutto cambiò in pochi giorni.
Lo staff ideologico si mise al lavoro.
Le reti di proprietà del signor B e quelle pubbliche controllate dai suoi famigli rivoluzionarono i palinsesti secondo uno schema uguale e contrario al precedente.
Ritorno al bianco e nero, scollature e minigonne blandite, niente risate sguaiate e balli licenziosi, basta lustrini e luci in eccesso.
Un clima claustrale, tempi lunghi, facce meditabonde, toni bassi.
Una inafferrabile, seducente malinconia che dalla tivù cominciò a dilagare per il Paese.
Ai provini per i reality show si presentavano solo impiegati pallidi e casalinghe modeste, sperando che i selezionatori li bocciassero perché esporsi in pubblico stava diventando una pratica malvista.
I giornali del signor B davano scarso rilievo all’operato del governo perché, improvvisamente, pareva volgare vantarsi.
Il Milan vendette tutti i suoi giocatori di prestigio ed acquistò, per pura solidarietà, alcune vecchie glorie in disgrazia, vittime di gravi infortuni o reduci da catastrofiche stagioni nelle serie inferiori e retrocesse trionfalmente tra gli applausi commossi dei tifosi, dapprima affascinati e poi conquistati al nuovo corso.
(Nei suoi rari interventi pubblici, tutti a bassa voce, il signor B, pur non usando più parlar bene di se stesso, era costretto ad ammettere che nessuna squadra al mondo era mai retrocessa con tanta rapidità e convinzione.
Ed i telecronisti ed i commentatori sportivi, gli stessi che avevano lodato la “mentalità vincente” come supremo merito, ora esaltavano con parole alate la mentalità perdente del nuovo Milan, pronosticando una rapidissima discesa fino al campionato interregionale).
La sinistra prima fu perplessa, infine sgomenta.
Aveva impiegato una ventina d’anni per adeguarsi alle parole d’ordine del signor B – successo, profitto, rendimento, quattrini, fica – e adesso quello gli rovescia il tavolo senza preavviso….
Che stava succedendo ?
Ma il cambiamento più radicale , ovviamente, fu il suo.
Il resto (calcio, televisione, società, giornali, destra, sinistra, Italia ed italiani) era solo la cornice.
Lui, come sempre, era il quadro.
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III^ e ultima parte
Vendette tutte le sue ville, alcune anzi le regalò ai poveri
(escort disoccupate , conduttori televisivi incapaci di adeguarsi al nuovo corso, la Lega).
Cedette ai cinque figli, in parti uguali, l’intero patrimonio e scrisse una lettera di scusa alla moglie Veronica, dicendo che le altre erano solo mignotte, e un’altra lettera di scuse alle mignotte, dicendo che l’altra era solo una moglie.
Si stabilì in un bilocale alla periferia di Milano, quartiere Gratosoglio, (confinante con Rozzano frazione Quinto Stampi – mia nota) facendo impazzire la security che per i primi mesi dovette perquisire e presidiare ogni giorno quaranta caseggiati popolari e accompagnarlo tutte le mattine a fare la spesa alla Conad.
Non mise più piede a Roma, né in Parlamento né a palazzo Chigi.
Governava da un tinello disadorno, senza televisione, con angolo di cottura, cucinandosi da solo pasta al sugo e poco altro.
Predicava la semplicità, ma non più in televisione, e nemmeno nelle fastose convention di una volta.
Lo faceva sul pianerottolo di casa, per pochi vicini, oppure nel cortile , verso sera, con tutto il condominio affacciato alle finestre.
Era profondamente cambiato.
I bulloni del lifting, non più serrati da mani abili, si erano rilasciati fino a fargli spiovere le guance e la pappagorgia, come a tutti i vecchi di questo mondo.
Aveva licenziato tutto il pletorico staff per la sua immagine, sostituendolo con Gino, il barbiere dell’angolo, che l’aveva rasato a zero per bonificare quella povera testa bitumata, e farla finalmente respirare.
Era diventato grasso, calvo, brutto e vecchio.
Era casto, non possedeva più niente se non un conto corrente postale con il necessario per mangiare e pagare la tintoria.
I nemici erano interdetti.
Molti vacillavano; un uomo così – scrisse Michele Serra sulla Repubblica – forse l’abbiamo giudicato male.
Forse non l’avevamo capito.
La Chiesa, incalzata dal suo esempio austero, portava con imbarazzo i suoi paramenti, i suoi fasti e le sue dorate vestigia.
Qualcuno, a voce sempre meno bassa, cominciava a perorare la sua santificazione.
I suoi elettori, con qualche fatica, abbandonavano pian piano i miti precedenti - il profitto, l’intrapresa, il condono fiscale e la fica – e cominciavano a seguirlo lungo le strade della virtù, della modestia, della legge:
“Un semaforo rosso è un semaforo rosso”
Disse il signor B in uno dei suoi celebri discorsi nel cortile del condominio, passati di bocca in bocca in tutto il Paese
“ e anche chi ruba dieci centesimi è come se rubasse un miliardo”.
Nei sondaggi tornò in poche settimane sopra il 50%.
Poi al 60, al 70, all’80%.
Nella tarda primavera del 2010 già sfiorava il 90% dei consensi.
Portava un caftano bianco, segno di amicizia con gli immigrati, sandali francescani, e girava liberamente per le strade di Milano senza bisogno di security, perché tutti lo amavano.
Si, infine aveva l’amore di tutti, scopo ultimo della sua stessa vita, e la politica – lui lo sapeva bene – era stata solo una parentesi di questo lungo viaggio verso l’adorazione incontrastata dell’umanità intera nei suoi confronti.
Era stato il primo tra i primi, poi il primo tra gli ultimi, prima miliardario, poi povero, poi qualunque altra cosa , non era quello che importava.
Importava di essere amato.
Come capita a tutti – si vive per essere amati – ma su scala mondiale, assoluta, infinita.
La scala di Dio, che è la stessa scala dei bambini.
Amato in purezza, amato per sempre, perfettamente amato, completamente amato.
Un giorno passava da piazza del Duomo.
Per non disturbarlo, avendone colto la lezione di modestia e misura, i milanesi, incrociandolo, lo salutavano affettuosamente ma sobriamente, senza dare l’idea della massa o della folla che il signor B aveva insegnato ad essere una dimensione illusoria.
Un segno del capo, un sorriso grato e via, ognuno per la sua strada.
Anche le telecamere avevano ordine di evitarlo: la vanità di apparire era il primo tra i vizi che egli stesso usava condannare.
Grasso e curvo, con la faccia molle e bonaria da vecchio lombardo , la pelata lucente coperta da un berretto giamaicano acquistato da un ambulante, al signor B era però rimasto, della vita precedente, lo sguardo.
Quello stesso sguardo attento, acuminato, che gli consentiva di riconoscere, anche in mezzo alla moltitudine, l’unica cosa che davvero gli interessava: il grado di affetto e di riconoscenza che la gente aveva per lui.
Lo vide a una cinquantina di metri di distanza, verso la Galleria, inconfondibile anche se in mezzo al caos di facce e voci di piazza Duomo.
Era lo stesso ragazzo che un anno prima , alla fine della prima Era del signor B, lo aveva guardato con indifferenza.
In un baleno, anzi nemmeno il tempo di un baleno, il signor B lo riconobbe e fece una zoomata verso quell’iride lontana per scoprire la verità.
Con uno sgomento indicibile, del tutto simile ad un presagio di morte, il signor B vide che lo sguardo di quel giovane era ancora dominato, come l’anno precedente, dall’indifferenza.
Anzi: all’indifferenza di primo grado, quella per il signor B ricchissimo e gaudente, si era sommata un’indifferenza di secondo grado, quella per il signor B virtuoso e casto.
“Tu reciti”
Gli disse a bocca chiusa, da distante, il giovane dallo sguardo indifferente .
“Recitavi prima, reciti anche adesso.
Non mi interessi.
Se proprio deve interessarmi una recita, allora quella è la mia.
Non la tua.
Perché io sono più importante di te”.
Il signor B chiamo gli uomini della security discretamente confusi nella folla, e lo fece arrestare. °°°°°°°Mia conclusione: INGUARIBILE FINEFONTE - Riflessioni mattutine - Commenti su questioni politiche, sociali, economiche,di costume,giuridiche e un pizzico di satira.
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