I bruschi cambiamenti di temperatura degli ultimi giorni mi hanno costretto a casa con l'influenza. Stare chiuso in casa a far niente mi sta facendo lievitare pericolosamente la superficie testicolare... non posso neanche suonare in santa pace perché ho un mal di testa dell'accidenti. Mi consola il fatto che per domani è prevista pioggia, che per una volta si rende utile non facendomi perdere eventuali uscite pomeridiane. Per domenica ho invece in programma un allenamento a Milano, quindi spero di essere (anche solo lontanamente) integro.
Mercoledì, mentre uscivo anticipatamente dall'Università a causa dei brutti sintomi che mi stanno imprigionando tra le mura domestiche, per tornare a casa ho fatto un giro un po' più lungo (casomai non avessi preso abbastanza aria fredda - che pirla) per ispezionare il centro città. Mentirei se dicessi che si respira un certo fermento per i festeggiamenti del famoso Centocinquantenario, tuttavia alcune case si sono equipaggiate di bandiere tricolore donando un aspetto un po' festoso (e patriottico) a una grigia Torino. In piazza Vittorio stanno montando il palco per la Notte Tricolore (mercoledì notte è previsto un concerto con Vecchioni - a breve news più precise); la Mole è già praticamente pronta ad ospitare il prezioso "anello" che darà il via alle celebrazioni e che le donerà un aspetto del genere:
I negozi di moda in via Lagrange hanno unanimamente (e indipendentemente dalla marca...) addobbato le loro vetrine all'insegna dello slogan Italians do it better, ottenendo questo risultato:
Questa è la facciata dell'edificio che ospita un famoso "centro commerciale" modaiolo di via Lagrange...
Unendo il Carnevale all'evento patriottico, nelle cremerie torinesi persino i Giandujotti sono diventati tricolore:
Devo dire che la cosa non mi dispiace affatto... sarà che mi sono sempre piaciute le feste, sarà che tra tutte le feste (pagane e religiose) è una che indubbiamente merita rispetto, sarà che nel bene e nel male mi fa piacere sentirmi italiano, e per un giorno lo sarò un po' più del dovuto.
Oggi leggendo Torino Sette, il settimanale de La Stampa, ho apprezzato il trafiletto scritto da Vecchioni il quale non può mancare in questo Diario:
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CANTO L'ITALIA UNITA (di Roberto Vecchioni)
L'unità d'Italia - dice - bella bufala che la tiri fuori quando ti serve per giustificare cialtroni e bastardi, meticci e figli d'indrocchia, gran «pot-pourri» di ladri di polli e persone serie, financo ridicolo quando un buffone come Benigni ce la viene a raccontare a mo' di epica-spazzatura, vomitando retorica di parte: noi siamo dialetti, regioni, frammenti, spartizioni, rabbie, frustrazioni, desideri così diversi, così opposti, così nemici da non capire assolutamente cosa siamo l'un l'altro. Il Sud non riconosce il Nord, vaga per idee fatte e stereotipi fino a vederlo come l'assassino delle speranze e delle emozioni: il Nord si porta avanti il Sud come un peso, come la tassa da pagare ad una consonanza che non c'è mai stata.
Addirittura un giorno per celebrarla - dice. - Ma ci vogliamo rendere conto che qui nessuno ama nessuno, che qui c'è invidia, rabbia, appena uno ha di più e un altro ha di meno: ci vogliamo confessare, per una volta, che non ci riconosciamo, non ci stimiamo, non ci vogliamo tra regione e regione, tra passione e passione, tra lingua e lingua?
Ci odiamo - dice - nel calcio, nella politica, ovunque e sempre; non giustifichiamo, non ascoltiamo, siamo altri, ci azzanniamo. Non esistono gli italiani - dice - che sono poca roba, frustrati, mammoni, irresponsabili, insicuri, xenofobi, meschini, assoggettati al leader di turno: esistono popoli diversi costretti a convivere sotto uno stesso segno.
Non sanno forse di esserlo - dico - Cosa? - mi risponde. - Italiani, ma lo sono, lo sono tutti - perché gli è mancato il tempo, la voglia, l'armonia, la gioia di capirsi. Perché 150 anni sono pochi, pochissimi, e hanno avuto paura, o solo incertezza di dirselo. Perché io li ho visti, li ho ascoltati, li ho contati, le mille e mille volte che sono stato insieme a loro, e lo so. Lo so. L'Italia è Italia da molto prima del 1861. L'Italia è Italia da Ciullo d'Alcamo e Federico II, è Italia da Dante e Petrarca, è Italia da Machiavelli e Guicciardini. L'Italia è Italia perché nessuna nazione, nessun popolo le assomiglia, perché ha imparato e trasmesso tutto quanto la Grecia e Roma le hanno regalato: l'Italia è Italia perché ha saputo trasformare ogni invasione in una rivincita, l'Italia è Italia perché ancor prima di essere nazione era una in cultura e speranze, e mi sembra perfino inutile menartela qui su quel che scriveva Leopardi.
Siamo diversi, dici, siamo incompatibili? Bello. E non posso darti torto. Ma Italiano, uguale a noi tutti, è questo «intelligere» che nessuno ha, nessuno manco si sogna: noi precediamo le macchine e al contempo scriviamo versi immortali su come dovremmo essere. Noi tutti, dalla Calabria al Veneto. Parlo coi ragazzi lombardi, emiliani, abruzzesi, siciliani: li pervade la stessa forza adorante per un Paese che li rappresenti, per il quale darebbero le idee e la vita solo a sentirselo vicino, a sentirselo loro. Essere così è come un imprimatur che ci portiamo nell'anima dalla nascita; uno spirito che si è costruito poco alla volta, volontariamente e no, un corpo; una storia che si è sparsa in una geografia dapprima incerta e spezzata; un raro, unico esempio di cultura che si fa nazione, si fa terra su cui contarsi.
E quando dico «cultura» non sto a pensare ai dialetti incomprensibili tra loro, ai costumi regionali, al canto popolare che non è mai di scambio, ma fermo, fisso, là dov'è nato; né intendo tratti somatici cotti dal sole o grigi di nebbia; quando dico cultura penso all'istinto, alla genialità sopita, alla parola che abbiamo saputo piegare in forma di pungente ironia e viaggio perenne nel sentimento, alla testardaggine nello scoprire e nell'inventare, alla nostra sincerità, disponibilità di fondo, al nostro fanciullesco sbatterci nelle cose, prendercela con le persone, che vien dalla nostra passione di vivere che è mai vivacchiare.
Sì, ma siamo tutti diversi, lo so. Ma esternamente. Dentro siamo italiani, chi più ingenuamente, chi più dolosamente: sono difese; è da sempre che dobbiamo difenderci, dacci ancora tempo.
Ma tu, anche tu che caragni contro, sai benissimo di quel filo che ci lega, indissolubile a una identica intelligenza emotiva. E ti mangi le mani, pronto a mangiarti qualcosa di peggio.
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È un vero peccato che per poter leggere delle parole altrettanto belle, per poter ricordare al mondo intero di essere un popolo meraviglioso o per poter ricordare al meraviglioso popolo di essere ancora parte del mondo bisogna aspettare altri 50 anni. Invece di andare all'Irish a bere birra nera con buffi cappelli verdi (e mi ci metto dentro alla categoria), perché il 17 marzo non possiamo tirare fuori il nostro orgoglio tricolore? Perché il 17 marzo in Italia non può essere all'altezza del 4 luglio americano, del 14 luglio francese o dello stesso 17 marzo irlandese?
Al diavolo la Guinness, d'ora in poi il 17 marzo berrò solo il più DOC dei vini italiani.
Ora vado a fare l'aerosol altrimenti crepo per insufficienza respiratoria (sono stra-intasato). Maledetta influenza.
Buona serata a tutti,
Andrea.