Rapidissimo cambio palco ed eccoli, finalmente in carne e ossa.
Dalle primissime note appare chiara subito una cosa: chi è venuto a sentir suonare Govan deve fare i conti con il resto della band, due personaggi che già sulla carta sono di assoluto spessore ma che insieme e dal vivo sono la vera essenza di quello che sono gli Aristocrats.
Spettacolare Minnemann, un funambolo, un frontman, uno spettacolo nello spettacolo fatto di grande performance come drummer, certo, ma anche di gestualità e sguardi capaci spesso di prendere per mano la band e condurla in giro per il pezzo.
Beller dal canto suo capace di costruire un tappeto ritmico solido come una lingua d’asfalto sulla quale Govan sguazza in lungo e in largo.
Quest’ultimo semplicemente disarmante: ci sono talento, tocco e dinamica e sono perfetti, con il solo pedale di volume il più delle volte è capace di dare letteralmente vita a fraseggi ritmici mozzafiato eseguiti con una disinvoltura e una pulizia da lasciare ipnotizzati. Non un dubbio, non una sbavatura, è un gran chitarrista ma con una dimensione aggiunta. Sempre concentratissimo, a volte quasi lucidamente distaccato, metodico con quel continuo riaccordare alla perfezione alla fine di ogni brano (Govan ha anche un altro piccolo accordatore a clip attaccato alla paletta della nuova Charvel) o nel riporre immediatamente la scaletta scritta a mano e fitta di appunti su un foglio ormai disintegrato a fine serata. E la cosa che colpisce di più nell’ascoltarli suonare è senz’altro il feeling e l’alchimia che li lega.
Questa band nata da una jam in un’edizione di un NAMM si sostiene continuamente con un fittissimo intreccio di sguardi. I tre non si perdono di vista mai nemmeno per un attimo e sembra quasi di intuire quello che vogliono dirsi come se ciascuno ragionasse nella testa dell’altro. Termina la musica e inizia la festa, tutti insieme con Govan, Beller e Minnemann che insieme a Erik e Jana si mescolano al pubblico tra strette di mano, foto ricordo e bicchieroni di birra.