di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 27 novembre 2012 ore 16:00
Per ovvi motivi Jimi Hendrix è uno degli artisti più omaggiati dagli altri chitarristi con cover, rivisitazioni e tributi.
Tra questi, un posto di rilievo lo merita un disco poco conosciuto ma davvero interessante, registrato live - quasi per sbaglio - poco più di vent'anni fa da Paul Gilbert al Festival Jazz di Francoforte.
Siamo nel 1991. Paul Gilbert è in giro per il mondo, in tour con i MR. BIG nella promozione di quel Lean Into It che grazie al singolo “To Be With You” li avrebbe consacrati rock star e fatto guadagnare la cima delle classifiche.
Anche se calato nel contesto decisamente mainstream dei Mr. Big, Paul Gilbert resta un inguaribile e appassionato nerd della chitarra e non perde occasione per coccolarla anche al di fuori della band.
Così, approfittando del passaggio dei MR. BIG in Europa, accetta di buon grado l’invito a partecipare alle registrazioni del disco live di Albert Collins che avrebbero dovuto svolgersi proprio al Festival Jazz di Francoforte. Al suo arrivo trova però promoter, organizzatori e soprattutto agenti della casa discografica, nel panico perché Albert Collins, malato, non si era presentato.
Viene proposto così a Gilbert di approfittare che tutto fosse apparecchiato per le registrazioni del disco e di incidere lui, un live di 45 minuti.
Paul Gilbert risponde di non potere affrontare uno show da solo, senza la band, ma gli organizzatori lo convincono affidandogli la sezione ritmica, basso e batteria, di Albert Collins.
Resta il problema del repertorio. Paul ovviamente non può suonare il materiale dei Mr. Big, né tantomeno i suoi cavalli di battaglia shred metal dei Racer X trattandosi di un festival Jazz. Così, la brillante intuizione di rendere omaggio a uno dei suoi eroi, Jimi Hendrix.
“Ho pensato che Hendrix fosse perfetto per salvarmi in quella situazione: conoscevo i suoi brani, sapevo i testi e si tratta di canzoni che funzionano alla grande in trio. In più, io amo moltissimo Jimi!”.
Gilbert si chiude in una sala prove e in sole quattro ore, nel pomeriggio prima dello show, allestisce lo spettacolo ripassando e provando cinque brani, : “Hey Joe”, “Midnight”, “Purple Haze” “Red House”, “Highway Chile”.
Ricorda Paul: ”Andai dal promoter dicendo che avevo ripassato dei brani ma non sarei mai riuscito con cinque canzoni ad arrivare a 45 minuti; a meno che non avessi fatto degli assolo lunghissimi, cosa che temevo potesse annoiare la gente. Ma il promoter rispose dicendomi che ero a un festival jazz: più lunghi sarebbero stati gli assolo più contenta sarebbe stata l’audience!”.
La registrazione è una testimonianza straordinaria di Gilbert giovanissimo e al massimo della sua forma chitarristica. Anzi, fotografa una fase cruciale della formazione del chitarrista esattamente a metà tra le acrobazie shred dei Racer X - che aveva appena lasciato - e le sue prime riuscite sperimentazioni bluesy con i Mr. Big. Questo connubio tra virtuosismo neoclassico e sanguigno fraseggio blues è spettacolare e in ogni brano esplode in lunghissimi assolo dove Gilbert spreme tutto il suo vocabolario solistico senza riserve.
“In questo disco gli assolo non finiscono più e ci sono davvero ma davvero veramente, tutti i lick che conoscevo e potevo suonare!”
Il disco trasuda una grande energia e grazie alla produzione scarna e al forte sapore di jam mette ancora più in risalto, nuda e cruda, la potenza del virtuosismo di Gilbert.
“Mi piace che questo disco suoni così aspro e live. Il fatto che sia stato registrato all’improvviso e per caso, l’ha reso molto più vicino alla spontaneità di Hendrix. Probabilmente se l’avessi pianificato prima, per il rispetto e la reverenza che ho nei confronti di Jimi, mi sarei preparato allo sfinimento, curando ogni dettaglio e non sarebbe uscito così bene.”
Nel live il suono della chitarra è molto particolare, quasi zanzaroso e senz’altro potrà far storcere il naso ai puristi.
Gilbert che già usava un suono ricchissimo di presence, lo assottiglia ulteriormente per avvicinarsi al timbro di Hendrix, splittando i potenti humbucher della sua Ibanez PGM. Ottiene una pasta di suono davvero tagliente, vetrosa e che l’aggiunta di un leggero chorus (altro trademark del primo Gilbert) rende ancora più acida e stralunata.
Eppure, proprio perché così sottile, questo suono aiuta a rendere intellegibile ogni sfumatura delle tecnica di Gilbert, lasciandoci attoniti di fronte a una pulizia, una forza e alla meccanica di una tecnica senza eguali.
C'è un ultimo divertente aneddoto su questo disco nel quale Gilbert si lancia in fraseggi decisamente out, vicini al jazz e lontani del suo playing di allora tutto pentatoniche e modi della scala maggiore.
A un giornalista che gli chiede se quei fraseggi venivano dai suoi trascorsi come studente al Musician Institute e se fossero costruiti sulla scala minore melodica o su scale alterate (patrimonio armonico vicino al jazz) Gilbert rispose:
“No, assolutamente. Mi sento così stupido a dirlo ma quando frequentavo il Musician Institute ero molto dentro il metal e il jazz semplicemente mi terrorizzava. Non sapevo suonarlo e saltavo tutte le lezioni. Sbagliavo…Quando in questo live senti delle frasi out, non è la minore melodica o altro. Sposto semplicemente quello che sto suonando un tasto avanti o indietro!”