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Intervista con Nico Di Battista
Intervista con Nico Di Battista
di [user #17844] - pubblicato il

Dal basso alla chitarra con tutto quello che c'è di mezzo. Nico Di Battista è noto per il suo stile unico fatto di componenti fingerpicking e fondamenta dello slap applicati su una sei corde a metà tra un basso e una chitarra che definire nell'una o nell'altra maniera sarebbe riduttivo. Ci ha parlato di questo e di altro in un'intervista esclusiva.
I patiti del jazz l'hanno forse conosciuto come bassista, gli amanti delle corde in nailon in ogni loro forma hanno saputo apprezzarlo per il suo eccezionale fingerpicking e i chitarristi più sperimentali hanno ammirato con curiosità il suo strumento signature, una sei corde a metà tra un basso e una chitarra che definire nell'una o nell'altra maniera sarebbe riduttivo e che lui suona con una tecnica di cui è l'esponente principale nonché l'ideatore e autore dell'unico testo didattico sull'argomento.
Nico Di Battista parla del basso come suo strumento principale, ma anche sulla chitarra non scherza.
Il primo grande slancio alla sua carriera è stato senz'altro dato dal brano "Scrivimi" nel lontano 1990, successo indimenticabile di Nino Buonocore che lo vede alle chitarre. Negli anni, la sua evoluzione chitarristica è rimasta sempre strettamente legata alla visione ritmico/armonica del quattro-cordista, fino a sfociare in una tecnica singolare che miscela tratti del fingerpicking con lo slap del basso elettrico.
Con lo scopo di valorizzare il suo stile, Nico ha condotto una lunga ricerca in collaborazione con diversi professionisti del settore. Il risultato è la sua DB, una strana chitarra con un corpo minuto ma un suono grosso come una casa, che lo accompagna sul palco nelle sessioni di thumb and slap (questa la sua particolare tecnica) con l'atipico connubio di quattro corde per chitarra classica e le ultime due corde, il La e il Mi, da basso.
Ottenere una tensione e una suonabilità accettabili per i registri della chitarra e del basso su un unico strumento dal diapason regolare ha richiesto molte sperimentazioni, che sono state eseguite per lui dal laboratorio Dogal fino ad arrivare a una muta custom realizzata appositamente per la DB.

Abbiamo incontrato Nico Di Battista durante la sua clinic recentemente tenutasi presso l'istituto MusicArt Lizard di Napoli dove - oltre a scambiare quattro chiacchiere con i nostri microfoni - ha mostrato e dimostrato alle telecamere di Accordo la sua strumentazione, dalla chitarra di cui lui stesso ha curato la preamplificazione, passando per l'onnipresente cavo Reference e giungendo alla pedaliera anch'essa vittima di diverse customizzazioni eseguite da Nico.


Vederlo suonare la sua DB fa sorgere una grande curiosità verso il suo stile. Per questo la prima domanda che gli abbiamo rivolto riguarda il suo metodo didattico Thumb and Slap.

Nico Di Battista: Con Thumb and Slap ho cercato di unire due mondi apparentemente lontani, quello della chitarra e quello del basso elettrico. È sempre stata una mia idea riuscire a fare questa cosa, ci ho studiato e sono riuscito a mettere insieme un percorso didattico che consentisse all'allievo di gestire questi suoni in maniera tale di poter suonare poi dei brani con la tecnica thumb and slap.
È un metodo uscito per BMG Ricordi, non esiste nessuna riedizione e non avrà volumi futuri. È probabile che uscirà una ristampa, forse con un altro editore, ma il progetto si conclude con quel libro. Una cosa da sottolineare è che è privo di tablatura.


Pietro Paolo Falco: Come mai la scelta di usare solo il pentagramma?
NDB: All'epoca c'era una concezione differente, che tutt'ora rispecchia i miei pensieri, ovvero obbligare l'allievo a leggere la musica. Il chitarrista deve saper leggere la musica come tutti gli altri, non può prescindere da questa cosa.

PPF: In tempi più recenti, ne hai parlato durante il seminario, hai scritto anche un altro metodo…
NDB: Sì, l'altro metodo è Tecniche Per Chitarra. Sono stato letteralmente costretto dall'editore a inserirci la tablatura, perché a suo avviso escluderla non era una cosa che potevamo permetterci.
Si occupa di moltissime tecniche, dalle classiche hammer on e pull off per la mano sinistra, ma lo fa in una concezione totalmente diversa. Un'altra parte del libro è dedicata all'uso del plettro con tutta una serie di tecniche che possono essere usate e permettono di gestire un fraseggio totalmente diverso.


PPF: Accantonando un attimo l'aspetto didattico, so che sei attualmente impegnato nella realizzazione di un disco.
NDB: In realtà sto lavorando a due progetti, se non anche tre…
Uno è dedicato al Re-Writing Songs, con Dario Chiazzolino alla chitarra. È un progetto che si occupa di brani totalmente riarmonizzati, riarrangiati, reinventati.
Un altro è un trio di latin jazz con Armanda Desideri, una bravissima pianista, e Gaetano Fasano alla batteria. Il progetto mi vede impegnato come bassista. Si tratta di una trascrizione di brani originali flamenco, ma suonati col piano, quindi una via di mezzo tra Cuba, Andalusia e Napoli.
C'è poi ancora un altro disco, ancora più particolare, dedicato a composizioni originali napoletane. Sul trio che ci suonerà non posso ancora dire nulla, ma potrebbe succedere una cosa interessante…


PPF: Mi soffermerei un attimo sul concetto di rewriting song. Sapresti dirmi in che consiste in due parole?
NDB: Reinventare un brano significa collocarlo in una dimensione temporale totalmente diversa dall'originale. Il periodo storico deve cambiare, non è riarrangiare. Riarrangiare è una parte, ma manca ancora qualcosa, come l'immedesimarsi in un musicista che fa parte di un'altra cultura a cui arriva questa melodia particolare, e decide di metterci le mani e farla diventare un brano.
Una composizione può essere costituita da quattro fasi complementari: una melodia, un ritmo, un'armonizzazione e un testo. Riuscire a cambiare tutte e quattro le cose cercando di avere qualcosa che leghi tutto in un contesto totalmente diverso significa praticamente fare un altro pezzo, ma che richiama comunque l'originale. Insomma, quanto più ci si allontana dall'originale, tanto più si crea qualcosa di altrettanto originale e comunque di totalmente reinventato, che dev'essere fine a se stesso e contemporaneamente richiamare l'originale.
In soldoni è estremizzare l'arrangiamento facendolo diventare totalmente un'altra cosa. Questo è il concetto, anche se non proprio in due parole...


PPF: E il risultato è sempre soddisfacente?
NDB: È un esercizio di stile. Non si tratta di bello o brutto. Quando proviamo a fare questa cosa non cerchiamo di farne una versione nuova perché ci piace farlo: quell'idea di cambiare ci porta ad andare in un'altra direzione, e andare in un'altra direzione vuol dire essere influenzati da un altro genere musicale e quindi creare qualcosa di totalmente nuovo, ma con un'idea originale di partenza.
Forse in qualche brano ci siamo riusciti più che in altri, quasi sempre incontri enormi difficoltà che devi cercare di risolvere in qualche maniera, e lì diventa complicato. Qualche volta ci siamo riusciti, qualche volta meno, ma sembra che il risultato sia abbastanza interessante.



PPF: A cosa pensi se ti dico "Scrivimi"?
NDB: (sorride) La mia partenza musicale. Io l'ho suonata con un modo di vedere la musica totalmente diverso rispetto a oggi. Mi piacerebbe aver avuto un minimo di esperienza in più per metterci forse qualche colore in più, però credo che sia una cosa talmente bella, aldilà della chitarra.
Nino Buonocore è un genio, ha scritto dei brani meravigliosi, ha delle grandissime capacità e quella è forse una delle firme più belle che lui abbia mai messo in musica.


PPF: Prima mi hai parlato di un metodo molto singolare con cui avete scelto i pezzi per Re-Writing Songs...
NDB: Sì, è un'ulteriore sfida. È una cosa che consiglio spesso ai miei colleghi: provare a fare cose a occhi chiusi, bendati. Con Dario abbiamo scritto dei titoli di brani su dei foglietti, li abbiamo ripiegati e messi in un'ampolla di vetro e abbiamo tirato fuori a caso dieci titoli.
Sono venute fuori cose totalmente distanti tra di loro, ma il bello è proprio quello. La sfida è riuscire a far diventare un'altra cosa un qualcosa che ha un'estrema identità.
Pensandoci bene, in realtà questa cosa io l'avevo già fatta con il disco precedente, Neapolis. Con Enzo Zirilli è successa la stessa cosa: siamo partiti da composizioni napoletane straconosciute e sono uscite fuori cose totalmente diverse ma anche molto distanti dall'originale. Non per la voglia di strafare o di modificare, ma per la voglia di reinventare delle melodie. È come mettere nella testa di un musicista una cosa che non c'è mai stata prima, un percorso diverso e vedere che succede. Ecco, vedere che succede è una cosa che mi ha sempre affascinato tantissimo.


PPF: E se da quella boccia fosse venuto fuori "Scrivimi"?
NDB: Ahia… non avrei avuto il coraggio. Non potrei.
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