di BlackST [user #41209] - pubblicato il 22 luglio 2014 ore 11:00
La liuteria siciliana ha una storia lunga, costellata di nomi a volte ben noti, altre volte ingiustamente lasciati in secondo piano, a dispetto del contributo apportato alle tecnologie e lo stile poi sviluppato da liutai di tutto lo Stivale. È il caso del Maestro Francesco Abramo.
La liuteria siciliana ha una storia lunga, costellata di nomi a volte ben noti, altre volte ingiustamente lasciati in secondo piano, a dispetto del contributo apportato alle tecnologie e lo stile poi sviluppato da liutai di tutto lo Stivale. È il caso del Maestro Francesco Abramo.
La tradizione della liuteria siciliana passa attraverso una serie di nomi che ne hanno segnato indelebilmente le caratteristiche e lo stile, spesso influenzando altre scuole, situate anche in luoghi distanti dall'isola. Se di Carmelo Catania si è largamente parlato anche su Accordo.it, leggermente meno nota, ma non per questo meno qualitativa, è la produzione di un altro liutaio che ha aiutato la diffusione e la crescita della passione per la chitarra e per gli strumenti a corda in generale, creando uno stile tutto suo spesso copiato anche dai grandi nomi della liuteria italiana: stiamo parlando del Maestro Francesco Abramo, tra i primi innovatori della chitarra insieme ai suoi "compagni di merende", primo tra tutti il suo alter ego Carmelo Maravigna, altro nome che ha segnato la storia della chitarra classica artigianale siciliana.
Il Maestro (così lo chiamavano i giovani che frequentavano la sua bottega fino a tarda ora per studiare insieme a lui nuovi modelli e tecnologie innovative) operò a Catania a cavallo tra gli anni post bellici e quelli del boom economico, rimanendo travolto da quest'ultimo, costretto a ripiegare esclusivamente su qualche riparazione e su poco altro.
Gli inizi, naturalmente tra mille difficoltà, risalgono ai primi anni '50, all'interno di una bottega situata nella storica via Messina, la strada delle solfatare e dei "magazzeni" per la lavorazione degli agrumi. In un ambiente sicuramente non fertile, il maestro Abramo riesce a emergere grazie alle prime creazioni, spesso legate più al mondo classico del mandolino che a quello leggermente più innovativo della chitarra, con la realizzazione di ottimi strumenti ancora oggi ricercati dai professionisti. Nonostante la produzione del primo periodo fosse molto indirizzata verso gli strumenti più piccoli, il giovane liutaio comincia a realizzare chitarre classiche, spinto dalla crescente richiesta di una generazione giovane che comincia a interessarsi di musica e che sfocerà nella beat generation italiana.
A causa dello sviluppo urbanistico intrapreso dalla città di Catania intorno alla metà degli anni '60 con il conseguente abbandono delle solfatare e con il decentramento del mercato degli agrumi, nonché con lo sventramento di via Messina per far posto al nuovo asse viario di viale Africa, il maestro Abramo si trova costretto a spostare il proprio laboratorio, collocandosi nella nuova bottega di piazza Ottorino Respighi, in quella che sarà la sua casa fino alla fine dell'attività... e forse anche dopo, grazie alla voglia di suonare di un gruppo di arzilli vecchietti capitanati da una prima chitarra del teatro massimo Vincenzo Bellini, che accompagneranno il liutaio fino alla fine.
In questa nuova bottega, un retrochassis composto da due locali e da un cortile in cui vengono verniciati gli strumenti, il maestro Abramo compie la propria maturazione accompagnato, come già detto, da giovani musicisti desiderosi di possedere strumenti unici e di qualità. In questo periodo vengono realizzati i primi modelli sperimentali di chitarre, strumenti di dimensioni variabili che strizzano l'occhio alle migliori realizzazioni Eko e Meazzi.
Anche se le principali creazioni sono ancora legate al mondo della chitarra classica, Francesco Abramo comincia a costruire strumenti amplificabili, dotati di alcuni dei migliori ritrovati tecnologici dell'epoca. Le forme delle chitarre diventano sempre più ardite e passano dalle prime spalle mancanti, che si allontanano per la prima volta dalla tipica forma della chitarra classica, alle forme più geometriche (chitarre a V o triangolari pure) fino ad arrivare a sagome organiche, come una chitarra solid body a forma di farfalla mai portata a termine e decorata da soggetti disegnati dai giovani frequentatori del laboratorio, a marchio indelebile di un sogno musicale mai così intenso e (forse) utopico.
Sono di questo periodo alcune tra le migliori realizzazioni del Maestro: tra queste, esposta su una delle pareti della seconda sala della bottega, spicca un chitarra resofonica di ottima fattura che richiama lo storico marchio Dobro di proprietà Gibson. In effetti, oltre a chitarre e mandolini, il maestro Abramo si trova spesso di fronte alla produzione di banjio che, come sempre, sono realizzati in maniera perfetta. È di questo periodo la forte collaborazione con la liuteria milanese Meazzi, con cui il maestro Abramo si interfaccerà per molti anni, arrivando a confondere la propria produzione con quella dell'azienda lombarda, senza permettere molte volte di capire chi avesse realizzato per primo questo o quel mdello. Alcuni degli strumenti migliori Meazzi, infatti, sono stati realizzati dopo creazione del prototipo da parte del Maestro Abramo, il quale si trovò in più di un'occasione a proporre i propri progetti e a vederli realizzati in serie e con finiture di ottima qualità. Naturalmente, avviene anche il contrario: molti nuovi modelli Abramusic (così si chiamavano le creazioni del liutaio catanese) ricalcano in pieno prodotti Meazzi, a sottolineare il forte legame che univa trasversalmente i due produttori, attraversando l'Italia intera.
Nascosta in un angolo della bottega, su un piccolo solaio che fungeva da copertura allo sgabuzzino, si poteva intravedere la chitarra personale del maestro. Era una chitarra classica dal colore fortemente ambrato che si concludeva con una paletta-gioiello, alla cui fine era incastonato un diamante di legno dipinto da un connotativo giallo topazio. Con questa chitarra il Maestro si presentava ogni anno al festival della canzone siciliana, trasmesso dalla principale emittente dell'isola, per schierarsi tra le fila dell'orchestra... malgrado il fatto che non sapesse suonare una singola nota! Si, è vero: uno tra i migliori liutai italiani non sapeva suonare gli strumenti che produceva!
Gli inizi degli anni '80 sono i primi a evidenziare la difficoltà di resistere per le piccole realtà artigianali qual'era quella in cui si trova a operare il Maestro Abramo. La produzione industriale ha preso il sopravvento e acquistare uno strumento artigianale comincia ad avere poco senso per i giovani musicisti usa-e-getta della new generation. Inoltre, il virare verso sonorità più elettroniche spinge molti giovani a orientarsi verso il mondo delle tastiere e dei sintetizzatori, senza considerare la crescente diffusione delle chitarre elettriche a costo abbordabile, con conseguente voltafaccia dei nuovi chitarristi verso la chitarra acustica tradizionale. In questo clima difficile, il maestro Abramo tenta di non annegare abbandonando la realizzazione di nuovi costosi strumenti (e consigliando a chi ne desiderasse uno di recarsi presso l'amico-nemico Maravigna, il cui laboratorio strabordava di chitarre classiche di elevata qualità) rivolgendosi verso il mondo della riparazione delle chitarre tradizionali. Con questa nuova tendenza il maestro riesce a mantenere aperta la bottega fino all'inizio degli anni '90, periodo in cui deve piegarsi alle nuove logiche del mercato abbandonando del tutto l'attività ma non i locali in cui la stessa si svolgeva. Fino alla fine dei suoi giorni, infatti, ogni lunedì aprirà le porte del negozietto per ospitare qualche amico desideroso di suonare insieme ad altri talenti sconosciuti o a nomi altisonanti della musica classica isolana, utilizzando qualcuno dei pochi strumenti rimasti invenduti e appesi alle pallide pareti della seconda stanzetta.
Nelle mie mani, oggi rimane un unico esemplare di Casa Abramo, una piccola chitarra studio (oggi diremmo una parlor) realizzata nel 1969 ma rielaborata pochi anni dopo per cambiarne il colore e inserire pickup e battipenna.
Lo stile dello strumento, marchiato Abramusic sia sul corpo sia all'interno dello stesso, è un mix di tradizione e innovazione. Il top è leggermente bombato, quasi fosse una resonator, e vernicato in un verde sfumato che presenta ancora oggi una notevole brillantezza. La tastiera ha una scala ridotta (la chitarra veniva pur sempre considerata una "studio", una sorta di antesignana delle parlor, di cui allora non si conosceva l'esistenza in ambienti tradizionalisti come quelli in cui operava il maestro Abramo) ed è realizzata in un unico pezzo con il manico. La paletta, invece, è quanto di più tradizionale si possa trovare, con un design molto vicino a quello delle chitarre classiche a esclusione delle meccaniche con piolo in ferro, per mantenere la vibrazione delle corde metalliche.
Il pickup, di marca Voss ma probabilmente realizzato dalla tedesca Ideal o da Hofner, era uno standard in ambito jazz e, ancora oggi, regala alla chitarra un suono dolce e pieno. Il battipenna, su cui è posizionato il nome del proprietario della chitarra, è in tartaruga e ha uno spessore elevato che non affatica la mano e, nonostante gli anni di attività, non presenta graffi o incisioni, a riprova della sua elevata qualità. Il suono non amplificato, naturalmente, non è dei migliori, anche se la chitarra non si comporta affatto male sugli alti (ovviamente si risente della mancanza di una cassa di dimensioni maggiori).
Quando entrai in possesso dello strumento, sul finire degli anni '80, la chitarra era equipaggiata con le corde originali lisce e veniva suonata come un basso, anche grazie alle tonalità garantite dal pick up Voss. Oggi, dopo una lieve ristrutturazione, la suono con corde .012 (per cercare di dare più corpo al suono non amplificato) e ancora mi regala sensazioni uniche, riportandomi indietro a un'epoca che non esiste più e di cui provo, nonostante non l'abbia praticamente vissuta (ho conosciuto Abramo a metà anni '80) una fortissima nostalgia.
Per chi volesse approfondire la storia del Maestro Abramo consiglio di dare un'occhiata al sito fetishguitars.com. Quasi tutte le Meazzi fotografate in questo splendido sito (un plauso all'autore) sono state quasi sicuramente realizzate dal maestro, come riportato anche nella biografia raggiungibile a questo link e come da me stesso verificato (negli anni di frequentazione del laboratorio ho potuto vedere con i miei occhi molti progetti di quelle chitarre e molte foto delle stesse, oltre che svariati modelli incompleti, sagome e creazioni finite e rimaste in officina per anni).