Intervista a Walter Donatiello, chitarrista jazz moderno e coraggioso capace di spaziare tra avanguardia, rispetto della tradizione e colte digressioni Zappiane.
Ci parla dei suoi tanti progetti e collaborazioni e delle sue chitarre.
Hai un sacco di progetti in ballo. Tra questi, ce n’è uno sulla musica di Frank Zappa. Ce lo racconti?
Sì, in effetti, da un paio di anni mi sono fatto coinvolgere in vari progetti nuovi e interessanti che danno un'idea del percorso artistico che sto compiendo. Attualmente ne sto portando avanti parecchi, ma nella scelta ho dovuto abbandonarne altri che non avrei potuto mantenere attivi nel modo giusto. Ho scelto la qualità e la possibilità di confrontarmi anche con cose che fino a un anno fa non avrei pensato potessero interessarmi.
Come spesso accade, più suoni con artisti bravi e più diventi critico ed esigente con te stesso e con gli altri. Di conseguenza pretendo sempre di più da me e dalla gente che mi circonda. La mia è una ricerca di perfezione che va perseguita in modo rilassato, ma non troppo.
Per questo la scelta di un progetto per me non è mai casuale e sopratutto non è mai mai finalizzata alla realizzazione di concerti sporadici (cioè senza un vero e proprio progetto discografico o live). In pratica non accetto di partecipare a un progetto se è già in partenza senza futuro. È fondamentale la proposta musicale, ma altrettanto essenziali sono il suono e la compatibilità dei musicisti.
Per esempio ho appena finito un disco con cui abbiamo ottenuto un risultato sorprendente e inaspettato. I musicisti coinvolti sono Bruno Chevillon, Tiziano Tononi, Gianluigi Trovesi. Si tratta di amici con cui suono cose completamente diverse. Quando li ho coinvolti temevo la loro profonda diversità. Invece ne è uscita una musica fresca, facilmente fruibile. Il lavoro è stato strutturato usando materiale scritto e non, in forma contemporanea e non. Bruno Chevillon ha sicuramente portato la sua forza e la naturalezza che lo contraddistingue e lo rende molto diverso dagli altri. Bruno ha avuto un ruolo determinante in questo progetto. Basti ricordare la sua attività nell’avanguardia francese e nel direttivo del ONY Orchesta National de Jazz, oppure all’interno di grandi progetti moderni, Portal, Umaire, Marc Ducret Trio e tantissimi altri…
Avevo già avuto esperienze musicali con tutti gli artisti sopra menzionati anche se in ambiti musicale e sound diversissimi.
Con Tiziano Tononi condividiamo Black Hole ormai da dieci lunghi anni e insieme a Flammia e Cavallanti siamo cresciuti rinnovando continuamente il modo e il sound del gruppo.
Al progetto su Zappa siamo arrivati attraverso un'idea e un lavoro di ricomposizione di Tiziano.
Abbiamo iniziato a provare settimanalmente e non sono mancate le discussioni e i dubbi su come avrebbe dovuto essere questo progetto. In realtà ne è risultata un'avventura che a mio parere ha avuto un successo inaspettato. E' stato davvero gratificante vedere per varie sere tanta gente entusiasta al Blue Note!
L’idea era di non fare la cover band di Zappa perché ritenevamo che non avesse senso. Tutti abbiamo dovuto entrare nel mondo di Zappa. Io in particolare mi sono calato non tanto nel chitarrismo di Zappa quanto piuttosto nel suo approccio compositivo, che reputo la componente più complessa della sua musica. Il compositore Zappa è straordinario e ha troppe sfaccettature per essere considerato solo come chitarrista.
Nell'organico abbiamo coinvolto anche la tromba di Luca Calabrese che, in quanto sonorista, ha inserito loop ed effettistica.
Per quanto riguarda le parti di chitarra, la cosa più complessa è stata quella di costruire un tessuto armonico e solistico intrecciato, dato che non vieta né piano né tastiere; quindi doveva esserci un contrappunto che sostenesse il baritono e la tromba, cosa da inventarsi e trascrivere sugli arrangiamenti indicativi di Tiziano.
L'idea di rileggere Zappa ci ha dato grande soddisfazione. Speriamo che in un futuro si riesca a fare un disco live proprio per rendere l'idea dell'effetto voluto dai Black Hole Plays Zappa.
Il musicista rock si innamora di Zappa perché ci trova una complessità e ricercatezza per lui inedite, senza però dover rinunciare alla pronuncia rock. Cosa invece fa innamorare un jazzista di Zappa?
Penso che relegare Zappa al rock sia riduttivo. Prima di decidere se il progetto fosse davvero interessante o meno ho ascoltato e letto molto su di lui. Secondo me Zappa è un musicista che non ha chiuso la sua musica al rock, ma ci ha incluso anche il jazz, la musica contemporanea, il blues e chi ne ha più ne metta, compresa l'ironia. Quindi posso dire di non aver rinunciato a nulla. Anzi mi sono divertito ad articolare rock e a improvvisare contemporaneamente cambiando continuamente registro. Nello spettacolo sono passato da una semiacustica, alle Fender strato in versione cattivissima per proseguire con una chitarra classica freetless. L'aspetto veramente difficile è stato quello dell'ironia: se si devono leggere arrangiamenti tosti, cambi metrici, unisoni e contrappunti, zone libere, contemporaneamente si devono gestire i suoni in tempo reale e, infine, si deve mantenere alto il groove, è naturale che si faccia un po' fatica a gestire l'ironia.
Hai studiato a Parigi, perfezionandoti sui sistemi naturali. Ce ne parli e ce li spieghi?
Se si pensa che la storia della musica non sia fatta solo di scale e accordi si è già oltre la metà dell'idea nuova.
Basterebbe ripensare in modo diverso e serio le consonanze che possono diventare dissonanze, e tutto inizierebbe a prendere forma: si guarda al vecchio approccio e si comincia a intuire che è tutto troppo restrittivo e semplicistico.
A me è andata così: ero stanco di non capire e di fingere che tutto fosse così semplicistico. Vivevo questa situazione come una frustrazione personale.
Se per esempio suonando “Speak No Evil” ti poni una serie di domande: perché tutti dicono che è modale? Quali sono le note che mancano? Dove metto questo o l'altro modo? La risposta veloce è che i sistemi naturali danno il significato realistico alla musica non tonale: in pratica nulla è così segreto o nascosto.
Ci sono la scuola IRCAM a Parigi, la Julliard a NY e molte altre scuole che affrontano in modo serio questo argomento. In parole semplici e concise: se usiamo le relazioni e funzioni acustiche possiamo capire che una nota genera degli spazi intorno, sopra e sotto. Si crea così una gabbia acustica che potrà essere catalogata come spazio armonico. Nulla a che vedere con le scale, ma le scale deriveranno dagli spazi.
Attenzione! I sistemi naturali non sono cacofonia ma consapevolezza riguardo a cosa suonare. L’errore sarà quello di pensare a cose tradizionali con questo approccio. In quel caso tutto diventerà sempre oscuro e non chiaro.
Comporre è essenzialmente come improvvisare. Basta avere gli sfondi sonori corretti. Comporre sarà come improvvisare in modo rallentato, diciamo con più tempo per riflettere sentire o semplicemente rifare.
Capisco che questo approccio non sia ancora diffuso in Italia, ma penso che dovremo metterci al pari di altri mondi musicali Europei. Il jazz è evoluto: non basta più suonare dei bei pedaloni per essere modali o contemporanei o fare cose incomprensibili. In Europa molti giovani musicisti sono andati ben oltre Il Bebop e l'approssimazione musicale.
Chi arriva dalla tradizione jazz, passando dallo swing a Wes Montgomery, quali valide applicazioni musicali potrebbe trovare studiando i sistemi naturali?
Io arrivo dalla tradizione, amo tutti i chitarristi che hanno permesso alla chitarra jazz di evolvere. Tuttavia penso che non si possa fermare l'evoluzione. Sarebbe come pretendere di non usare oggi Internet o il computer e tutto quello che era impensabile fino a dieci anni fa. Nonostante il jazz sia una musica giovane è in continuo movimento. Per questo è criticato, ma anche anche il bop era stato fortemente criticato all’inizio. E’ naturale che vi siano oggi delle perplessità sulle cose nuove che non sono principalmente tradizione.
Mi sono avvicinato al jazz e alla tradizione presto e penso di essere stato fortunato ad aver suonato con grandissimi musicisti come Mulligan, Capiozzo, Tommaso, Trovesi, Lacye e tantissimi altri. Mi hanno insegnato che suonare jazz e studiare la tradizione non significava imitare Wes o Pass e che se mi fossi limitato a questo non avrei mai allargato la mente.
Ho imparato a rispettare la tradizione, ma anche ad usarla come punto di partenza per far progredire il linguaggio del jazz oltre il Bebop. In quanto chitarrista dei miei tempi il mio compito è di concretizzare e contestualizzare il jazz nel mio periodo. Reputo questo insegnamento prezioso e basilare per chiunque intenda far emergere la propria personalità (sempre che si abbiano delle cose da dire, ovviamente!).
Noto purtroppo che molti ragazzi che si avvicinano allo strumento, spesso ignorano l'evoluzione e la storia del jazz e non si rendono conto che i passaggi dal Bop all' Hard Bop, al Modale sono un’evoluzione basata sulla contaminazione e la ricerca, come avviene per ogni forma d'arte. Non potrai mai suonare un brano modale come se stessi suonando un brano Bebop…ma potrai fare l'inverso. Mi chiedo perché non porsi alcune domande che sembrano ovvie e usarle per fare una riflessione.
Con i sistemi naturali si potrebbe affrontare qualsiasi tipo di musica, anche pop perché no? Se penso alla micro intonazione mi vengono in mente molti musicisti. Penso alle infinite opportunità di creare musica di qualsiasi genere, senza essere così approssimativi è limitati.
Ma nello stesso tempo, penso che si viva bene anche senza sistemi naturali, basta essere felici e farsi bastare quello che si ha.
Stai lavorando con una nuova accordatura. Ce ne parli?
E' stato un passaggio quasi obbligato. Mi sono trovato a non avere più fiato. In pratica sentivo delle cose e non capivo perché non ero capace di farle uscire dalle mie mani. Non capivo come ottenere le micro variazioni dell’intonazione.
Un giorno Ducret mi ha suggerito - come al solito in modo un po' ermetico - la soluzione. Mi ha dato in un foglio con delle note invitandomi a rifletterci. Ho incominciato a rileggere i suoi appunti, e scavando nelle cose sono arrivato alla soluzione: bastava solo guardare oltre. A quel punto, non potevo che ricominciare a pensare alla chitarra da altre prospettive.
Una di questa era l’accordatura. Suonando con Bruno ho provato a costruire uno spazio sonoro diverso, quindi mi sono ricreato un percorso nuovo dall’inizio.
Ho dovuto re-imparare la chitarra: lo studio della tastiera, gli accordi, la lettura della musica in un’accordatura completamente diversa. Ma mi sono innamorato di avere suoni che non corrispondano alle solite geometrie che dopo anni di studio e pratica della accordatura tradizionale, si creano per forza nel tuo modo di suonare.
Ho scoperto che molti amici /colleghi chitarristi come Ducret, Kurt Rosenwinkel e tantissimi altri che non avrei mai sospettato, si erano allontanati dalla tradizionale accordatura anche solo per comporre.
Per fare un esempio: io ho accordato la chitarra per spazio armonico principale partendo dal Bb-G-Db-A- F#-C. Suggerisco di provare. Si scopriranno le infinite possibilità di sfondi sonori e un imprevedibile gioco nel rompere le geometrie.
Alterno con fatica la vecchia accordatura e devo dire che la uso principalmente quando insegno. Vedo le faccine dei miei studenti che guardandomi le mani non ritrovano quello che vedono normalmente su un’accordatura tradizionale .
La ricerca delle nuove sonorità è avvenuta in ogni forma musicale. Sono una persona curiosa e ho solo cercato qualcuno che mi aiutasse a capire come potevo evolvere sia melodicamente sia ritmicamente .
Il Ritmo è stata la mia passione. E' la base principale accantonata. Invece penso che le cose debbano viaggiare di pari passo. Sono convinto che la consapevolezza porti allo sviluppo del musicista.
C’è una tendenza nell'evoluzione della musica - nel nostro caso quella chitarristica d'avanguardia – che, pur di rinnovarsi a tutti i costi, spinge a estremizzare sempre di più la ricerca espressiva. Non rischia di diventare un prodotto per pochi?
Ti comprendo e il rischio effettivamente c'è ed è grande. Ma dobbiamo fare una classificazione molto importante perché il rischio è veramente alto per essere frainteso. Serve passare dal mondo della casualità alla consapevolezza. E quest’ultima crea libertà. La libertà più difficile è quella di arrivare a tutti anche a chi ascolta altro. Penso che se la ricerca viene fatta con consapevolezza ed finalizzata all'obbiettivo crescita musicale, questo rischio sia minimo.
Ricercare è studiare: fare il chitarrista contemporaneo non significa picchiettare sulle corde casualmente o fare cose incomprensibili fini a se stesse. Se questo accade, io reagisco polemicamente perché mi sento preso in giro. Spesso musicisti detti creativi si rivelano dei bluff. A mio parere sono chitarristi che hanno poco o nulla a che fare con l’avanguardia. Spesso questo tipo di musicisti hanno una scarsa conoscenza della musica, non leggono o leggono poco, e credono che fondamentalmente la gente non capisca nulla.
Studiare costa fatica, molta fatica, e spesso ci sembra più gratificante copiare pattern che sembrano nostri, ma in realtà altro non sono che la ripetizione sterile di cose di altri, riconducibili a mosaici precostituiti. Se non avessi avuto una preparazione aperta e solida non sarei mai stato in grado di affrontare la musica di Zappa che ha attraversato il contemporaneo, il blues le forme aperte arrivando alla gestualità applicata del linguaggio più popolare che è il rock.
Invece cosa ci racconti del quartetto Mi.Ro?
Dopo anni che io è Giovanni Tommaso parlavamo di fare un progetto insieme, siamo riusciti a coinvolgere Tiziano Tononi e Samuel Blaser al trombone. Un gruppo che fonderà la tradizione ma lascerà aperte le porte della creatività: ognuno sarà influenzato dall'apporto compositivo dell'altro.. Un gruppo aperto, senza un leader, ma in cui tutti saranno pariteticamente partecipi alla musica. Il 23 settembre saremo al Blue Note di Milano per poi proseguire a Berlino, Roma Copenaghen, Parigi e altre città europee. La musica è tutta originale e scritta da ognuno di noi apposta per Mi.Ro
Samuel Blaser si è impegnato attivamente anche con proposte di musica, cosa che ha stimolato noi tre a lavorare per il gruppo. La musica come sovrana sarà un’esperienza bellissima e sto già pensando a cosa mettere in pedaliera. Per la chitarra e l'ampli invece ho già le idee abbastanza chiare .
Mi.Ro è un progetto del quale penso si sentirà parlare molto perché è inusuale che tutti in un gruppo scrivano e collaborino alla stesura dei brani degli altri. Fortunatamente il jazz ha sempre meno confini e le etichette sono rimaste a chi deve collocarsi per forza in un mercato musicale dove la musica è fatta a scomparti. La domanda più frequente é: "ma che jazz suonate?"
Basta un suono distorto e allora non è più Jazz. Prima soffrivo della ghettizzazione tipica del jazzista puro, ma scoprendo e suonando con "quelli veri", come dico ai miei studenti, ho capito che è un discorso senza senso...
Quando imbracci una chitarra da jazz, quali sono le prime cose che testi per sentire se può fare al caso tuo?
Devo capire se posso tirare fuori tutti i suoni che ho in mente, se suona bene sia che io suoni forte sia che suoni piano e se mi permette di sentirmi sempre a mio agio in qualsiasi condizioni mi trovi. Oltre alla precisione indispensabile per essere sereno sempre, da una chitarra cerco il suono, un’anima personale. Spesso trovo delle chitarre molto belle, ma prive di anima.
Al momento che strumenti stai suonando?
Attualmente sto usando delle bellissime chitarre Washburn HB 35 modello 335, personalizzate dal sapiente Stefano del negozio Ghisleri a Bergamo. Non capita spesso di confrontarsi con una persona così schietta e competente come Stefano che mi ha proposto dei pick up della Lollar affinché avessi una gamma sonora più ampia e devo dire che suonano di brutto.
Ho anche adottato una solid body sempre Washburn ed è una chitarra molto bella e, direi, rock. Alterno anche una chitarra custom costruita su mie specifiche da un bravissimo liutaio di nome Erik Perrotta.
Un grazie particolare va alla collaborazione che dura da molto, con Claudio Formisano della Master Music. Ho sempre la scelta ampia e se una cosa non mi convince c'e la possibilità di variare e di cambiare i prodotti che sono veramente tantissimi. Reputo Formisano competente e aperto alle problematiche del musicista stesso e questo crea una vera collaborazione.
Dopo anni di prove e di ricerche ho trovato il compromesso sonoro: gli ampli che uso sono, ormai da tempo, della Laa Custom e anche qua uso varie soluzioni. Spesso gli chiedo delle cose che per me sembrano fuori dal mondo. Ma lui con naturalezza mi dice che si può fare. Ultimamente abbiamo progettato un pedale tutto mio, un signature. Suona ovunque, ma con le Washburn ha un suono pazzesco. Uso anche del pedali della Kor che alterno per così più cattive. Per i delay e chorus uso pedali della Strymon. Amo per i pedali avere libertà di scelta. Quindi sono aperto a molte collaborazioni per poterli usare solo se realmente, servono al mio suono. Non mi piace riempire il mio studio di cose inutili.
Tra le chitarre ho anche delle bellissime Fender e Gibson, acustiche freetless, baritono e una chitarra Uod.
Da ormai otto anni sono Testimonial italiano delle bellissime D'Acquisto, per un jazz più tradizionale, ma sempre moderno.
Sei il tipo di chitarrista che ha una sua strumentazione di riferimento e attraverso questa rilegge i differenti repertori e progetti nei quali è coinvolto o la tua strumentazione cambia assieme ai progetti nei quali ti cali?
Rigorosamente sì. Il setup cambia sempre e anche più volte nello stesso progetto. Il gruppo cambia si evolve e i suoni spesso vanno modificati. Penso che questo non debba accadere solo nella musica leggere o pop. Il prodotto finale del progetto deve essere credibile e alla base ci deve essere progettualità. Per molti uno che suona jazz dovrebbe mettere il cavo nel primo ampli che trova, ma io non sono così convinto: penso a Metheny che si muove verso la ricerca sonora da sempre, ma anche Rosenwinkel che cambia innumerevoli pedali. Quindi mi diverto vivendo il modo di fare jazz del mio tempo e non come se vivessi cinquant'anni fa.
Stai suonando molto?
Suonare oggi è fondamentale per potersi confrontare con un pubblico esigente. Allo stesso tempo però, la scelta di dove e con chi suonare è basilare. Non amo suonare sempre con le stesse persone, amici compresi. Viene a mancare la possibilità di crescere. Anche se suono da molti anni con musicisti che amo, per me resta importante ascoltare le loro critiche: mi conoscono e so che il loro giudizio è importante per rivedere delle certezze. Parlo di colleghi come Michelangelo Flammia, Tiziano Tononi, Giovanni Tommaso, Bruno Chevillon e tanti altri. Ma di base amo conoscere gente stuzzicante e spesso vengo chiamato fuori dall’Italia in un mondo musicale diverso fatto di confronti e stimoli. Quindi sì, suono ma seleziono persone e progetti e non amo fare cose così tanto per fare. Faccio e farò dal prossimo anno più spola in Europa, dove devo dire c'è più posto per la Musica.