Lo scorso sabato a Conegliano è partito “Nero a Metà” tour di Pino Daniele che prende il nome da quello che sicuramente resta il suo disco più importante, uscito nel 1980. Accompagnato dai musicisti originali dell’epoca e che incisero l’album, il concerto è una riproposizione integrale del disco.
Dalla dichiarazioni di Daniele, la motivazione che ha spinto a riportare dal vivo Nero a metà è stato il desiderio di ridare luce a un modo diverso di fare musica, quello dei primi anni '80. Senza sbilanciarsi sulla presunta migliore qualità di scrittura della musica di allora, Daniele insiste sul diverso spirito con cui la musica era prodotta; con un ‘attitudine che concedeva grossa importanza al suonato e all’abilità e individualità dei musicisti. Anche in una proposta come la sua - che per quanto cantautoriale e profondamente contaminata da funk e blues restava comunque pop - c’era spazio per arrangiamenti complessi e preziosismi strumentali.
Ora, in un momento storico in cui la produzione musicale è in gran parte massificata e omologata, Daniele percepisce gli anni ’80 come un periodo a cui sempre più musicisti guardano come riferimento.
La volontà di mettere l’abilità dei musicisti sotto i riflettori e di tornare a fare musica alla vecchia, traspare immediatamente dal palcoscenico che è pieno zeppo di strumenti: due batterie, percussioni, tastiere, synth, un Rhodes e pure un pianoforte a coda; amplificatore per basso e una muraglia di 4x12 da rockettaro per Pino (testate Bogner e casse Marshall e Bogner). In un momento in cui sui palchi la tendenza è quella di snellire tutto, rinunciando sempre più spesso a amplificatori e spie, fa effetto un palcoscenico del genere.
Il concerto inizia e sembra di appoggiare la puntina sul vinile di Nero a Metà. “A testa in giù” apre lo show ed è perfetta: un groove pigro e sornione, come solo dei napoletani potrebbero infilare, spinge le armonie morbide dell’arrangiamento riproposto in totale fedeltà. Siamo contenti perché la band suona che è una delizia e non ci sono stravolgimenti e modernizzazioni. Inoltre, brano dopo brano, il suono nel palazzetto si fa sempre migliore. Così è una doccia fredda quando dopo quattro brani di Nero a metà, oramai totalmente persi indietro nel tempo, arrivano “Resta…resta cu’mmè” e “Amici come prima”, singoloni pop caramellati ma di gran successo, della produzione anni novanta di Pino Daniele. Ci piaceva da morire l’idea di una fuga totale nel tempo e di un ascolto continuo dei pezzi dell’album. Invece Nero a metà verrà sì riproposto per intero, ma inframmezzato da tanti altri successi di Daniele. Conseguenti e inevitabili si innescano salti stilistici e confronti - non sempre felici - tra la scrittura ispirata, feroce e geniale del primo Daniele e quella più patinata e commerciale di lavori recenti. Dopo un po’, raggiungono Pino sul palco prima Tullio De Piscopo alle percussioni e batteria; quindi James Senese che su “Chi tiene o Mare” ci strappa il cuore a colpi di sax. Davvero immenso. Tullio De Piscopo invece, fa il fenomeno: è un funambolo e gigioneggia dall’inizio alla fine su ogni brano. Dietro le pelli è un leone; infiamma lo spettacolo ma toglie qualcosa al groove che è più solido e moderno con il batterista residente della band, Agostino Marangolo, titolare anche nelle registrazioni di Nero a metà.
C’è un ospite a sorpresa che è Mario Biondi. A metà concerto sale sul palco per accompagnare Daniele in “Je So Pazzo” e cantare la sua hit “Shine On”.
Pino Daniele alla chitarra è strepitoso. La sua performance è eccezionale: parte in sordina con un ficcante lavoro di accompagnamento e cresce nel corso del concerto fino a esplodere in “Yes I know may way”. Qui ci strega con lancinanti e raffinate svisate da jazz rocker di vecchia scuola; ha un fraseggio sassofonistico tutto suonato a dita, fluido e con pochissimo spazio concesso a bending e vibrati. Non c'è praticamente nessun utilizzo del muting coi fiumi di note che risuonano gigantesche e cremose. Il suo fraseggio è sempre cantabile, anche nelle impennate più articolate. Daniele snobba felicemente le pentatoniche e cesella le sue frasi tra arpeggi e le sonorità più etniche e mediterranee della minore armonica e della . Si alterna tra la Avalon Paradise con le corde in nylon e due elettriche: una Fender Stratocaster e una Suhr Classic, delle tre, quella con il suono migliore.
Biondi a parte - e qualche sbadiglio nelle riletture più jazzate di alcuni brani che avremmo preferito gustarci con il tiro funk formidabile della band - un concerto strepitoso.