Portato a conclusione "On Stage Together", tour che lo ha visto dividere il palco con Paul Simon (un'unica data italiana al Mediolanum Forum lo scorso 30 marzo), non avendo un disco fresco di stampa da promuovere, per il suo Summer Tour 2015 Sting ha scelto di regalare ai fans una scaletta di brani tratti sia dal repertorio dei Police sia dai suoi lavori solistici. Una ventina di hit mozzafiato attinte da una gloriosa carriera pluridecennale, distribuite in un set principale e due bis, che hanno più che evidentemente risvegliato meravigliosi ricordi nella folla immensa, che ha risposto in modo composto ma entusiasta. Un viaggio a ritroso che, lasciando fuori la sua passione per i madrigali e per le sperimentazioni sinfoniche, ha ripercorso tutte le tappe salienti dell’evoluzione artistica di Sting: dagli albori dei Police con le più ruvide “Roxanne”, “Next to you” e “So lonely” alle immancabili e più elaborate “Walking on the moon” e “Message in a bottle”, passando per il raffinato pop di “Every little thing she does is magic” e “De do do do, de da da da” fino alle perle “Driven to tears”, “When the world is running down” e l’intramontabile “Every breath you take”. Il repertorio da solista di Sting avrebbe decisamente potuto lasciare più spazio a brani degli anni ’80: a parte “Englishman in New York” e “Fragile”, la setlist ha privilegiato, infatti, la produzione degli anni ‘90, con numerosi brani dall’album
Ten Summoner’s Tales (“If I ever lose my faith in you”, “Heavy cloud no rain”, “Shape of my heart” e “Fields of gold”), “The Hounds of winter” e “Desert rose”.
Con una formazione ridotta all’indispensabile, un look minimal per tutti sul palco (e alle soglie del trasandato per lo stesso Sting, che si è presentato con una folta barba da asceta) e una scenografia praticamente inesistente, lo spettacolo aveva un impatto visivo decisamente sobrio, quasi a voler controbilanciare la maestosa eccezionalità del contenuto sonoro. Anche sul frangente esecutivo, “less is more” sembrava essere il concetto chiave: la lineup ridotta a sei elementi e gli arrangiamenti privi di orpelli hanno, se possibile, messo ulteriormente in evidenza la bellezza intrinseca delle composizioni. Ad accompagnare Sting in questo tour, l’immancabile Dominic Miller alla chitarra, David Sancious alle tastiere, Jo Lawry ai cori, Peter Tickell al violino e l’incredibile Vinnie Colaiuta alla batteria. Un ottimo insieme, perfettamente equilibrato. La compostezza e la linearità dell’esecuzione hanno fatto storcere il naso a molti addetti ai lavori in occasione di questo ultimo tour, ma a mio avviso non l’hanno affatto resa meno “perforante”, anzi.
Sting è in una perfetta forma vocale, fisica e, si direbbe, spirituale. Con un carisma raro, una buona interazione col pubblico, sempre sorridente, evidentemente di ottimo umore, a Pistoia ha regalato una performance a dir poco eccezionale sotto tutti i punti di vista. Mentre i brani si succedevano (e pensando, oltre tutto, ai tanti capolavori lasciati fuori dalla scaletta), difficile non domandarsi come sia possibile che tanto genio e talento alberghino dentro un unico essere umano.
Oltre al bardo di Wallsend, il protagonista indiscusso della serata è stato uno, gigante e di pertinenza aliena: Vincenzo Pietro Massimiliano (Vinnie) Colaiuta. Un senso del tempo e un groove impeccabili, un suono eccezionale, un gusto irraggiungibile, una tecnica disumana sempre al servizio della musica e del bello. Mai freddo, mai meccanico, un fuori classe insuperato e insuperabile (“Il miglior batterista del mondo, secondo me”, come ha detto lo stesso Sting alla folla e non gli si può dare torto), semplicemente di un’altra dimensione. Rispettosissimo dello stile di Stewart Copeland (benché rivisto e corretto) nell’esecuzione dei brani dei Police, totalmente libero nei brani di Sting, Colaiuta è a suo agio in qualsiasi contesto e non si può negare che il suo estro interpretativo lo renda in assoluto il batterista più congeniale al raffinatissimo repertorio dell’artista inglese. Nell’entusiasmo post-concerto, parlando telefonicamente della performance, mio fratello mi ha detto “Non esiste niente al di sopra di Vinnie Colaiuta e Bruce Lee”. Al di là della battuta, c’è molto senso, a mio avviso, nell’accostamento dei due: con un controllo che tradisce una perfetta conoscenza della sua realtà psicofisica, con un’eleganza nei movimenti e un’apparente assenza di fatica anche nei frangenti più estremi evidentemente dovute all’abilità di ottimizzare lo sforzo fisico e, dunque, con la sua “marzializzazione” - nella più nobile delle accezioni - della tecnica batteristica, a mio avviso Colaiuta è il Bruce Lee della batteria. Non è un caso, credo, che abbia dedicato a Lee un brano del suo disco solista del ’94. Benché abbia apprezzato il minimalismo del palco, forse la presenza di un paio di megaschermi avrebbe permesso a tutti di gioire appieno della raffinatezza di questo maestro in azione.
Il concerto di Pistoia, dunque, è stata un’occasione notevole non solo perché ha consentito a tanti di ascoltare alcune delle più belle canzoni degli ultimi 40 anni, ma perché, come nella tradizione degli anni in cui Sting ha esordito, i live di certi colossi rimangono indiscutibilmente la miglior scuola per ogni amante della musica e un imprescindibile completamento dell’esperienza di fruizione della loro opera.
Un onore presenziare e un onore poterne parlare.
Scaletta
01. If I ever lose my faith in you
02. Every little thing she does is magic (The Police)
03. Englishman in New York
04. So lonely (The Police)
05. When the world is running down, you make the best of what’s still around (The Police)
06. Fields of gold
07. Driven to tears (The Police)
08. Walking on the moon (The Police)
09. Heavy cloud no rain
10. Message in a bottle (The Police)
11. Shape of my heart
12. The hounds of winter
13. De do do do, de da da da (The Police)
14. Interludio strumentale + solo Vinnie Colaiuta
15. Medley Roxanne (The Police) + Ain’t no sunshine (cover di Bill Withers)
Bis 1
16. Desert rose
17. Every breath you take (The Police)
Bis 2
18. Next to you (The Police)
19. Fragile