Sembra ieri eppure sono già passati venticinque anni dalla pubblicazione di Nevermind. Punk eppure commerciale, ruvido ma al contempo levigato, melodico e confusionario. Tante idee, emozioni, vibrazioni mischiate tra rabbia e dolore, dal sapore unico della ribellione giovanile.
Quel disco fu una rivoluzione per la musica dei primi anni ’90, sancì la definitiva consacrazione nell’Olimpo dei grandi artisti di un trio di giovani musicisti, ma anche di tutte le band nate negli scantinati e cresciute a pane e rock’n roll, che da questo successo hanno visto aprirsi le porte delle grandi major, per sfruttare il momento d’oro del nuovo genere musicale denominato “grunge” e saturare il mercato, spesso anche con prodotti non all’altezza della situazione.
Kurt Cobain, Chris Novoselic e il nuovo ingresso Dave Grohl registrano una dozzina di canzoni che spaziano dal punk al rock passando per semi ballad vicine, per sensazioni ed emozioni, alle importanti composizioni soul degli anni sessanta. Sì, perché Kurt Cobain non è solo un rocker sballato e tossicomane, tutt’altro, è un uomo con una profonda cultura musicale, ma anche con enormi problematiche esistenziali che porta con sé da quando è bambino, causate in primis dal divorzio dei genitori. L’amore per la musica lo ha portato ad appassionarsi alle band punk e rock degli anni ottanta, ma la sete di conoscenza ha fatto sì che andasse ad abbeverarsi nei grandi dischi del passato. Nel famoso Unplugged in New York del 1993 possiamo infatti ascoltare la splendida cover di “Where did you sleep last night”, in origine scritta dal bluesman Leadbelly negli anni venti.
Il punk rock degli eightes è stato fondamentale per la crescita artistica di Cobain: i Meat Puppets, i Tad, i Green River, i Sonic Youth, sono stati la base che ha permesso al nostro di divenire un vero musicista. Certo non era un chitarrista ipertecnico, anzi a essere sinceri non lo era per niente, ma l’approccio intimo ed emozionale nell’utilizzo del suo strumento è stato probabilmente unico per un gruppo nato dal nulla.
Non dobbiamo tralasciare la figura di Chris Novoselic, bassista anch’esso poco tecnico, ma dotato di un talento naturale nel saper tessere un tappeto sonoro entusiasmante. Provate a guardare il DVD "Making of Nevermind", quando Butch Vig, produttore del disco, ci fa ascoltare separatamente le tracce degli strumenti.
Noterete che il basso è la colonna portante delle canzoni, mai invasivo, ma sempre funzionale alle dinamiche delle canzoni. E cosa dire del drumming ossessivo di Dave Grohl? Il nuovo arrivato in casa Nirvana è quello che può essere definito il nuovo motore. Se in Bleach, peraltro un ottimo disco, erano ancora troppo marcate le influenze della scena punk rock americana, soprattutto per quanto riguarda le parti di batteria (senza nulla togliere al buon Chad Channing che resta una parte importante della storia dei Nirvana), è Grohl a impersonare il ruolo di protagonista del successo della band. L’ingresso del nuovo batterista coincide con un rinnovamento nei suoni e nell’atteggiamento del gruppo, che da poco ha firmato con la Geffen.
È innegabile che anche la produzione di Butch Vig sia stata un’altra carta fondamentale per il grande successo di Nevermind. Come ho già detto questo album è punk, ma al contempo melodico. I suoni levigati dal produttore Vig hanno contribuito al successo dell’album, che a mio parere non sarebbe stato la stessa cosa e non avrebbe avuto lo stesso successo se i suoni fossero risultati più ruvidi e vicini al precedente Bleach. On ogni modo, Kurt Cobain in studio era svogliato e lo stesso produttore ha raccontato in numerose interviste di averlo dovuto spronare a suonare più volte le canzoni, così da avere più registrazioni sulle quali lavorare. L’intuizione di ingrossare il suono della chitarra, talvolta doppiandola e lavorandola con vari effetti (uno dei quali denominato “supergrunge”) ha definito lo stile dell’album, che alla fine è risultato essere un vero capolavoro. Pare che Cobain, a un primo, definitivo ascolto, non sia rimasto soddisfatto del prodotto, ma una volta convintosi dell’ottimo risultato abbia acconsentito alla pubblicazione.
Il 24 settembre 1991 Nevermind è nei negozi. Il resto è storia.
Piaccia o meno, quel disco ha segnato un’epoca, definendo i contorni dell’ultima, vera rivoluzione rock del millennio e della fase pre-internet.
Le vendite stratosferiche e impreviste del disco hanno portato a un successo che lentamente ha stritolato Cobain nella morsa del business, schiacciandolo, relegandolo a icona della "Generazione X" contro il suo volere.
Avrebbe voluto restare in disparte, Kurt. Avrebbe voluto godere della serena gratificazione di artista senza sottostare a regole commerciali impossibili da gestire, che poco alla volta hanno decretato la sua tremenda fine.
Il suo suicidio ha sancito la fine dell’epoca che lo stesso suo figlio artistico aveva iniziato, chiudendo così un cerchio durato troppo poco tempo.
Quel che resta è un album che a distanza di venticinque anni dalla sua pubblicazione risulta ancora fresco e dirompente, capace di distruggere una buona parte dei prodotti musicali degli ultimi dieci o quindici anni.
Questo disco è stato l’ultima vera rivoluzione del rock? Probabilmente sì. Ha cambiato la vita di migliaia, forse milioni di persone, compresa la mia.
Se oggi dopo cinque lustri siamo qui a omaggiarlo, significa che Kurt, Chris e Dave hanno fatto un ottimo lavoro.
Il resto sono solo chiacchiere.
Il profumo dello spirito rabbioso dell’adolescenza è ancora nell’aria.
Grazie Nirvana. |