--“Abbiamo dovuto farlo. Futuro e passato si erano incontrati nel presente e questa sovrapposizione stava diventando il buco nero dell’intero sistema solare. Bruciato gli umani peggiori, su Kepler 10-B il vostro nuovo sole. Prendete con voi questo libro e applicatene ogni dettame. Illuminerete così un nuovo mondo”.
Il nuovo mondo si affaccia al nostro sguardo solo con la sua curva superiore. Una sfera di luce intensa, la palla bianca gigantesca che da
bambino avrei voluto calciare. Più piccola della Terra, ma abbastanza
spaziosa per tessere la nuova umanità.
Non so se ne ho voglia, io, non so se ne hai voglia tu. Non ti ho chiesto ancora niente, non ti parlo da più di un’ora ormai. Sono distratto dal guardarmi attorno, non credo riuscirò a smaltire tutto quello che di rocambolesco è successo in questi ultimi minuti, in questi ultimi mesi, in questi ultimi anni. Se vado a ritroso nei ricordi, lontano da questa fantascienza, non saprei puntare il dito sul calendario, alla pagina giusta in cui tutto ha preso a precipitare. Le dichiarazioni del Governo degli Stati Uniti non possono essere considerate l’inizio della fine. Perché, quando una manica di politici fa l’ultimo check microfonico, l’impianto audio fischia e il Presidente schiarisce la voce, vuol dire che tutto è già successo molto molto prima. Oppure non è successo mai.
JULIAN - Tu ti senti pronta? Voglio dire… siamo stati scelti! Così, per caso, ma siamo qui, noi. Se non ci fosse piaciuto viaggiare, la probabilità di trovarci nella piazza della cattedrale di una metropoli europea non sarebbe stata così alta, questo è vero. Ma è stato comunque un clamoroso caso se eravamo là proprio in quel momento.
FUTURA - Lui mi fa paura.
J. - Dici? A conti fatti, senza lui e i suoi simili, a quest’ora eravamo cenere, in quel puntino di fuoco laggiù, vedi? Tu saresti quella fiamma lì. O quella forse!
F. - Smettila.
Non lo so… Per quale motivo dovrebbero darci la possibilità e la responsabilità di ricominciare? Abbiamo già fallito. Potevano distruggere tutto e tutti, e bum! Invece no. Una manciata di noi, no. Ci hanno presi e ora ci portano su un altro pianeta a goderci la luce di un sole che brucia con i corpi umani. Non so… Non mi fido. Era meglio finirla, sarebbe stato un istante. Ho paura che il peggio non sia alle spalle.
J. - Riesci a essere negativa persino in un’altra galassia.
Ho più paura io di quanta ne abbia lei. E sono d’accordo con lei. Quando le parlo, è come se dovessi essere per forza quello, tra i due, che riporta il discorso sul piano razionale. Ma cosa c’è di razionale in quello che ci sta capitando? Il cosmo, qui, è l’unica cosa che sembra avere la razionalità dell’infinito. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare di essere qua, in questo silenzio rotto dal motore di una sorta di astronave a dieci, cento dimensioni. Il piano razionale in questo momento mi vedrebbe seduto al mio computer e lei in palestra. Io al computer, lei a sbraitare. Io al computer e lei ad un altro computer.
J. - Ti ricordi quando dicevi che volevi diventare un computer?
F. - Sì…
J. - Beh forse lo diventerai!
Sorride a fatica, ha lo sguardo inchiodato in basso a sinistra verso il pavimento trasparente.
Ci hanno strappati alla folla come fossero soldati in una rappresaglia.
Forse lo erano. Forse lo sono.
Io non ci ho mai creduto agli alieni. Secondo me sono il frutto di un qualche balordo esperimento nell’Area 51.
Cristo, penso e parlo come quelle trasmissioni da tv satellitare che ospitano uomini-calamita e gemelli siamesi che dicono di sentire lui la gamba di lei, e lei il braccio di lui.
Sono stati svelti. La loro organizzazione… ecco… quella era davvero sovrumana. Si muovevano intersecandosi tra loro senza toccarsi o sprecare un passo, avrebbero potuto costruire dalla base alla cima una piramide egizia nel giro di due settimane. Il vigore dei loro bracci, le spinte; ci cingevano a loro, non sudavano in quel caldo torrido. Non guardavano negli occhi, sembrava che nemmeno li percepissero come tali. Gli occhi sono occhi per noi, ma per loro sono altro, forse non hanno importanza.
F. - Hai notato che la gente in città non urlava?
J. - Sì, è vero, hai ragione.
F. - Sembrava quasi che non aspettassero altro.
La fine è lì ma non qui. E noi siamo qui. Non posso crederci… A tratti,
mi sembra quasi di essere felice, anche se non so perché mai potrei
esserlo. E ho disimparato cosa sia la felicità.
J. - Forse ci hanno fatto davvero un favore immenso, sai?
F. - Sei diventato cinico. Non pensi a tutti quelli che, per colpa di questi mostri, sono stati polverizzati in un secondo?
J. - Nulla di diverso da quello che stavamo già facendo noi esseri umani. Polverizzarci l’un l’altro in un conflitto planetario. Per quali motivi, poi? Non hai sentito cos’ha detto? Non avevamo più memoria del passato né aspettative per il futuro. Due dimensioni su tre erano andate in malora, portando al collasso l’equilibrio dell’intero Universo.
L’universo al collasso, per causa nostra!
Io lo so che un bambino dell’Africa sud-sahariana non c’entra nulla con questo, ma cosa potevano fare? Tornare una seconda volta e provare a spiegarci tutto daccapo? Quando in gioco c’è l’Universo? E poi noi per loro siamo una moltitudine. Ti darebbe problemi schiacciare una formica o schiacciarle tutte?
F. - Non lo so. Stiamo provando a ragionare su storie che non conosciamo. Stai sprecando fiato. Mi sto stancando, non ce la faccio a reggere tutto questo… non ce la faccio.
J. - Non piangere, non farti vedere che piangi. Hai visto cosa
fanno a chi piange?--
estratto da Valiant, the book
Sickabell
(to be continued) |