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Echo, rockabilly & telecaster: sale in cattedra Don Diego
Echo, rockabilly & telecaster: sale in cattedra Don Diego
di [user #116] - pubblicato il

Domenica a Custom Shop, ci sarà anche il workshop di Don Diego Geraci punta di diamante della chitarra rockabilly italiana. Diego non solo ci sommergerà con il suoi frizzantissimo rock’n’roll e country ma si soffermerà sulla spiegazione, descrizione e utilizzo di un effetto decisivo nel suo genere, l'echo
Che strumentazione ti porti sul palco di Custom Shop?
Da buon telecasterista porterò due telecaster artigianali, molto fedeli al progetto di partenza di Leo Fender, ma con qualche innovazione. Porterò la appena nata “Shelter” di Corrado Carpinteri (Carpinteri Guitars, ex AcQuadro), una tele molto moderna come suonabilità, ma con tono da classica telecaster degli anni ’60, versatile e comodissima: una bomba, credimi! Poi porterà la “Brontocaster” di Dino’s Guitar, chitarra che adoro, con un suono e un’equipaggiamento molto particolare (pick up Lollar, p90 al manico e un modello da lapsteel al ponte), è una chitarra che suona come una archtop a volte, e sulla quale ho montato le corde lisce, di modo da essere il più fedele possibile al tono di un tempo.

Echo, rockabilly & telecaster: sale in cattedra Don Diego

Nel tuo workshop parlerai dell' Echo, insistendo su quanto questo effetto sia determinante nel tuo genere... 
L’uso dell’echo è un nodo importantissimo e molto controverso in questo genere. C’era chi lo usava come effetto sul proprio strumento e chi se lo ritrovava, con somma arrabbiatura, nel mix finale. Ogni produttore e studio di registrazione dell’epoca aveva un suo “echo di fabbrica”, che quasi, quasi identificava ogni prodotto uscito da quelle 4 mura. Durante la mia clinic vorrei proporre soluzioni e regolazioni alla portata di tutti. Per questo porterò un semplicissimo Boss Space Echo. Si trova ovunque, fa il suo mestiere ed è molto abbordabile. Io nella mia catena di effetti lo metto sempre alla fine, per un risultato più “raw”, dopo il booster o l’overdrive. Ma se trovo un ampli che chruncha bene, uso solo lui. Ne ho avuti diversi e di diverso tipo. Il migliore che abbia mai trovato l’ho provato durante qualche concerto negli USA lo scorso mese, era nel rig di Cris Casello, si tratta di un CatalinaBread, molto bello ma anche molto costoso. Ovviamente ho provato quelli a nastro originali e una decina di anni fa ho registrato un disco in analogico usando due registratori a nastro sfalsati di pochissimo per rendere l’effetto. Posseggo anche un Binson Echorec. Sono però oggetti difficili da portare in giro, quindi preferisco limitarne l’uso a casa o in studio.

Hai un suono di chitarra micidiale. E noi, sappiamo bene che per averlo - prima ancora di buone chitarre, ampli e pedalini - servono buone mani.
Quali sono gli elementi del tuo modo di suonare che hai curato di più per far crescere il tuo suono? 

Grazie intanto! Nel mio genere il suono e il feeling che esce dalla propria chitarra conta, credimi, molto di più del tecnicismo, per questo avere un bel suono riconoscibile, grintoso e pulito, sono i punti su cui mi soffermo di più. La mia ricetta è semplicità più assoluta: chitarra, un buon ampli, corde brillanti, un reverbero profondo e un echo sporco. Se serve uso un vecchio TS9 (prima serie) col drive a zero solo per ingrossare il suono. Niente pedali a terra, solo controllo del volume (lo abbasso se voglio un suono country in stile Bakersfield, lo alzo se voglio andare sul rock and roll) e del tono sulla chitarra (lo tengo aperto per la musica dagli anni ’60 in poi, lo chiudo a metà per il suono più rockabilly tradizionale, lo chiudo di 3 quarti se devo suonare western swing, magari sul pick up al ponte per imitare una Es295). Un attrezzo che cambio molto spesso, di pezzo in pezzo a volte, è il plettro. Uso thumbpick, plettri morbidissimi, medi e duri. Con punte tonde o appuntite. Tutto per imitare il suono che ho in testa. E’ un arteficio da pochi spiccioli ma non immagini quanta differenza faccia! Per esempio, usando un plettro molto grosso, in legno, con la punta stondata, sembra di avere un compressore acceso, usando un Fred Kelly speed pick ne esce fuori il suono di Roy Nichols. E potrei dirtene almeno un’altra dozzina….

Un consiglio per  i chitarristi più giovani e meno esperti...
Se vi approcciate al mio genere la regola è una: Less is more! Riducete e compattate le vostre ritmiche, rendete cantabili e ricchi di sottobosco armonico i vostri assolo, spiegate alla vostra band che basso e batteria devono essere un tappeto minimale, ma perfetto: sembra facile ma non lo è! Non immagini nemmeno quante volte sono chiamato per far visita alle band nella loro sala prove per puntare il dito su piccoli errori che denotano un approccio diametralmente opposto a questo genere. Ci vuole tanto ascolto e attento. Io dico sempre: “fate l’analisi logica al pezzo che state studiando”, cercando di capire cosa fanno basso, batteria e chitarra. I pezzi che funzionano hanno un’alchimia fatta di piccole genialità che dovremmo tutti saper individuare e replicare. Invito tutti i lettori ad ascoltare attentamente la canzone più banalizzata del mio genere, ossia “Be Bop A Lula”, nella versione degli anni ’50, con Cliff Gallup alla chitarra. Vi accorgerete come il drive del rullante cambia in alcuni momenti, così come il walking del basso, e di come la chitarra tesse delle linee che rendono il pezzo perfetto. La guida all’ascolto è un esercizio fondamentale.

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