Com'è nata l'idea di questo disco?
“Bausatz” è nato dal desiderio di mettermi in gioco e di rinnovare il mio linguaggio, un’esigenza che ho avvertito alla fine dell’anno scorso. Ho iniziato così a lavorare su alcune idee, ma ogni volta mi imbattevo su soluzioni già sperimentate. Così, a un certo punto del processo compositivo, ho cambiato direzione e ho azzardato un approccio bizzarro, provare cioè a realizzare qualcosa di gratificante con qualcosa che non mi piace. Ho scelto dunque di provare a comporre con la loop station, considerato che non l’ho mai amata molto. L’ho sempre vista come una sorta di intrusa nel mondo fingerstyle, per la natura stessa di questo stile esecutivo. E invece, devo ammettere che mi sono divertito un bel po’ a scoprire tutte le sue potenzialità. È stato un’esperienza fortemente didattica.
Ma incidere un disco con la loop station significa registrare delle performance live?
Dopo aver fatto lunghe chiacchiarate con molti artisti che già ne fanno uso, ho scelto di non usare la loop station in fase di registrazione, ma di utilizzare la ripresa microfoinica della mia chitarra, creando i vari loop con il software utilizato per le incisioni. In questo modo, oltre a ottenere una qualità sonora superiore, ho potuto gestire al meglio la stereofonia, cosa che dal vivo, con la loop station che utilizzo, non è possibile.
Quindi, in fase di registrazione, hai inciso le varie sezioni separatamente?
Esattamente. Ho composto tutti i brani con la loop station, in lunghe sessioni live, perché l’obiettivo era quello di poter suonare tutti i pezzi dal vivo così come gli avrei incisi. Poi, però, in studio ho realizzato le riprese singole di ogni parte, opportunamente combinate tra loro con sovraincisioni.
Per incidere hai usato un click?
Sì, assolutamente. Ritengo che per un disco di questo tipo sia inevitabile.
Suonare a click ti permette di prendere e combinare le sezioni di varie take di uno stesso brano...
Esatto. Per alcuni brani, in alcuni tratti, ci sono sette o otto chitarre che suonano contemporaneamente: se tutto non è perfettamente in griglia, l’insieme potrebbe non funzionare.
Raccontaci l'apporto di Massimo Varini in veste di produttore.
Ci sarebbe molto da dire. Massimo è un grande artista, ma soprattutto è una persona speciale e lavorare con lui è stato davvero semplice e naturale. Oltre a realizzare il mastering dell’album, si è curato della produzione esecutiva del progetto, appoggiando con grande rispetto le mie scelte, senza mai impormi una sua idea, atteggiamento invece che ho sperimentato in produzioni passate. Mi ha dato moltissimi consigli e insieme abbiamo discusso su quale direzione artistica e sonora dovesse prendere il lavoro. Gli devo molto. Per me è stata un’opportunità di cresicta umana e artistica di notevole importanza!
Ci descrivi la strumentazione utilizzata?
Per la composizione, che poi è il setup che mi ha accompgana dal vivo, ho usato la mia Cole Clark Angel 2E-BB, il multieffetto ZOOM A3, l'octave Boss OC-3 e la loop station Digitech JamMan Stereo. Tutto cablato con cavi Reference. Per le registrazioni ho usato la mia Cole Clark, un basso acustico Epiphone, il microfono AKG c-414, il Duet della Apogee e Logic, con i suoi plugin nativi. Poi Max ha realizzato il mastering nel suo studio.
|