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Jeff Buckley: appunti e trascrizioni su un chitarrista visionario
Jeff Buckley: appunti e trascrizioni su un chitarrista visionario
di [user #46004] - pubblicato il

Jeff Buckley era un chitarrista straordinario. Aveva studiato jazz, passando ore su ore a suonare sui dischi di Joe Pass e Al Di Meola e frequentando per un breve periodo il Musician Institute di Los Angeles. Il suo playing, preciso e fantasioso, era concentrato maggiormente sull'accompagnamento ritmico. Le sue parti di chitarra possedevano sonorità inusuali, se paragonate all'alternative rock dell'epoca, dovute in gran parte al larghissimo uso di corde a vuoto, drop D e accordature aperte. Ne analizziamo alcuni aspetti salienti dello stile.
La musica e l'immagine di Jeff Buckley sono lodate e amate all'unanimità da pubblico e critica: gente comune, prestigiosi musicisti e addetti ai lavori. Una personalità che ha lasciato un'eredità enorme considerando che il suo unico album (inteso come full-length) ufficiale realizzato in vita “Grace” ha letteralmente stregato nomi come Jimmy Page, David Bowie, Chris Cornell, Myles Kennedy e una miriade di altri artisti. La voce di Jeff, figlio d'arte del cantautore Tim Buckley, si erge a paradigma tra i cantanti, che non possono far altro che ammirare una delle rare voci d'angelo (quasi trascendentali) mai apparse nella storia del pop moderno: sempre pulita, intonata ed estesa come poche ma al contempo di una profondità emotiva devastante. Non appunteremo qui le numerose note biografiche di Buckley che potete trovare puntigliose e numerose in ogni angolo della rete (o delle librerie), ma ci soffermeremo con attenzione sul suo stile chitarristico che è degno di studio e comprensione.

Jeff Buckley: appunti e trascrizioni su un chitarrista visionario

Forse non molti sanno che Jeff fu in gioventù un assiduo studioso della chitarra jazz, passando ore su ore a suonare sui dischi di Joe Pass e Al Di Meola e frequentando per un breve periodo il prestigioso Musician Institute di Los Angeles. Il suo playing, molto preciso e fantasioso, era concentrato maggiormente sull'accompagnamento ritmico, abbandonandosi raramente a interventi solistici. Le sue parti per chitarra possiedono sonorità inusuali, se paragonate all'alternative rock dell'epoca, dovute in gran parte al larghissimo uso di corde a vuoto, drop D e accordature aperte. La chitarra che utilizzò di più in assoluto fu una Fender Telecaster del 1983, venduta all'asta nel 2011, ma a volte lo si vedeva pure con una Gibson Les Paul Custom del 1976, mentre per le accordature aperte usava una Rickenbacker 360/12. Per quanto riguarda l'amplificazione, Jeff fu fedele al Fender Vibroverb per i suoni clean e al Mesa Boogie Tremoverb per i suoni overdrive, inoltre era solito usare l'Alesis Quadraverb che era parte integrante del suo sound.
A vent'anni dalla tragica morte, noi di Accordo vogliamo ricordare la sua perizia chitarristica mediante le trascrizioni di alcuni tra i suoi brani strumentalmente più interessanti. Abbiamo cercato di essere il più fedele possibile alle diteggiature e ai corretti voicing di accordi suonati da Buckley, aiutandoci molto anche con i video presenti su YouTube. Detto questo, siate liberi di reinterpretare a vostro piacimento le parti di chitarra lì dove non le ritenete adatte alla vostra mano.



Mojo Pin”, brano d'apertura dell'album del 1994 “Grace” (ma anche del precedente EP “Live at Sin-é”), è in realtà stato originariamente composto in forma strumentale da Gary Lucas col nome “And You Will” e solo in un secondo tempo Buckley aggiunse la linea vocale e il testo. Un tempo guitar player di Captain Beefheart, Lucas fu importante per la crescita musicale di Jeff e insieme suonarono nel primo periodo di quest'ultimo a New York. L'arpeggio iniziale è suonato con le dita mentre successivamente, a partire dal Chorus, prevede l'uso del plettro. Durante la parte in fingerpicking Jeff teneva il plettro tra indice e medio. Da notare che l'arpeggio era abbellito ad libitum, rendendolo così più simile alla versione originale di Lucas. Divertitevi a trovare le vostre configurazioni, noi abbiamo inserito due variazioni.

Jeff Buckley: appunti e trascrizioni su un chitarrista visionario

Possiamo considerare il brano per la gran parte in tonalità di C, anche se si può intendere il Chorus in F lidio. La sezione strumentale che parte a batt. 12 con un bel bordone di D gioca sull'ambiguità modale che forniva l'accordo di D9, che è stato per la quasi totalità del brano senza terzo grado. In questa ultima sezione troviamo infatti sia D maggiore che minore, e se non bastasse a batt. 13 è presente pure una triade diminuita. Il tempo metronomico varia durante le sezioni: voi iniziate a 120 bpm (semiminima puntata) e poi seguite le indicazioni di tempo. 

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“So Real” è un brano scritto a quattro mani insieme a Michael Tighe che suonò anche la chitarra nella versione presente su “Grace” e accompagnò Jeff nel tour a supporto del disco. Potremmo considerare la prima parte in tonalità di E minore, dove la quinta diminuita (meglio pensarla in questo caso come quarta aumentata) del primo accordo (E dim) è un'appoggiatura del quinto grado di E minore (A# risolve a B), e s'intende l'accordo di A come preso in prestito dal modo dorico di E. 

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Si passa al IV grado Am/C- Am6 nel Chorus (si può anche considerare bVI- IV C6- Am6), mentre lo Special modula alla tonalità maggiore relativa (G) anche se condita con la presenza del parallelo accordo minore (Gm6).

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Interessante e tipico dello stile di Buckley è trasportare da una posizione all'altra della tastiera la stessa forma accordale mantenendo le corde a vuoto e creando di volta in volta sonorità differenti. 

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Il brano “Dream Brother”, scritta insieme al bassista Mick Grondahl e al batterista Matt Johnson, è caratterizzato da un'atmosfera orientaleggiante e mistica che Buckley rende nell'Intro e nel Verse mediante l'uso della scala di G frigio dominante (G, Ab, B, C, D, Eb, F), ovvero il quinto modo della scala minore armonica di C. Continuate a far vibrare la terza corda a vuoto mentre suonate le altre note e fate attenzione al cambio repentino di posizione a batt. 11 (terza posizione); lasciate vibrare inoltre la nota B a batt. 15 con il dito 4.  

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Il Chorus modula a G minore armonico. Notiamo che Buckley ripete la stessa sequenza di accordi (Gm, Adim, D7, Ebmaj7) in varie posizioni della tastiera con i conseguenti rivolti, sintomo della sua conoscenza armonica.

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Nello Special, a cui abbiamo aggiunto delle variazioni presenti nel DVD  “Live in Chicago” del 1995, è interessante l'uso della terza corda a vuoto, così come nell'improvvisazione su pedale di G, dove una melodia ad ottave si sposta in svariate posizioni con la costante presenza della terza corda a vuoto (provate a sperimentare anche con la quarta a vuoto).
Tempo 96 bpm

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In “What Will You Say” l'amore di Buckley per il cantante Nusrat Fateh Ali Khan e la musica Qawwali si mostra in tutto il suo splendore. Di questo brano ipnotico scritto insieme a Chris Dowd e mai registrato in studio, riportiamo l'introduzione presente in “Live in Chicago”. La melodia iniziale, suonata ad ottave con la seconda e terza corda a vuoto in aggiunta, è costituita da note provenienti da G misolidio (G, A, B, C, D, E, F). In evidenza gli abbellimenti a batt. 7, di chiara matrice orientaleggiante, eseguiti con la tecnica dello slide. Alle battute 8 e 10 il basso sulla sesta corda è premuto con il pollice della mano sinistra. Infine le ultime due battute presentano una melodia suonata ad ottave sulla quinta e terza corda con l'aggiunta della quarta e seconda corda a vuoto. La chitarra è a dodici corde e accordata in Open G (dalla sesta alla prima corda: D, G, D, G, B, D).
Tempo 100 bpm

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Forget Her”, brano inizialmente non inserito in “Grace” poiché Buckley non lo riteneva in linea con il mood generale dell'album, venne inserito successivamente nelle riedizioni postume. 

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A noi interessa per la presenza di una assolo di chitarra reminiscente del sempreverde Page. Utilizza prevalentemente la pentatonica minore di A anche se a batt. 14  troviamo un accordo di F/A (dove la nota A si suona tramite bending), suonato in dodicesima posizione, che più comodamente possiamo intendere come facente parte di un classico trick tratto dal I box della pentatonica minore di D.

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Le sezioni del Verse e Chorus trascritte sono da intendersi come unione delle parti più interessanti (a nostro avviso) presenti all'interno del brano. Tempo 61 bpm (semiminima puntata)

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L'album postumo (in realtà mai completato in vita) “Sketches for My Sweetheart the Drunk”, uscito nel 1998, contiene una perla come “Vancouver”. Scritto insieme a Tighe e Grondahl, Buckley si divertiva a suonare questo brano live sotto veste strumentale già nel tour del 1995.

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La versione studio, più lenta e raffinata rispetto a quella live e con il cantato, è quella che ha maggiormente catturato la nostra attenzione. Ecco a voi la trascrizione di qualche sezione. Il brano si inscrive all'interno della tonalità di E minore. Occhio al Gmaj9 di batt. 10 dove il dito 2 deve fungere da barrè per le ultime 3 corde. La chitarra usata è una 12 corde in Open D (D, A, D, F#, A, D). Tempo 126 bpm

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Un altro brano che prevede l'uso della 12 corde e un'accordatura aperta è il magnifico “Last Goodbye”. Buckley in questa traccia è in Open G e utilizza una quantità di accordi da far girare la testa. Noi abbiamo trascritto qualche sezione compresa di alcune variazioni che soleva proporre in sede live.

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Se il main riff è in A misolidio con il C5 che è interscambio modale da A minore (i power chord richiamano una sonorità maggiore, dovuta all'intro con lo slide qui non trascritta) si può dire che per il resto la composizione nel suo complesso è pensata in tonalità di D maggiore

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Come in “What Will You Say”, anche qui Jeff utilizza moltissimo le ottave condite dalle corde a vuoto (a vostra discrezione la quarta corda a vuoto, noi l'abbiamo posta tra parentesi a inizio frase), come ad esempio nella sezione Solo.

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In generale comunque la prima corda è mantenuta a vuoto per la maggior parte del brano, donando così a ogni accordo una sonorità ogni volta diversa. 
Tempo 87 bpm

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Hallelujah” è forse il più celebre brano registrato da Buckley e la più conosciuta interpretazione dell'inedito composto da Leonard Cohen (forse ancor più famosa dell'originale); è ispirata in realtà dalla cover realizzata da John Cale. Detto questo, la versione di Buckley è toccante e intima e il nostro figlio d'arte offre all'ascoltatore tutta la sua arte chitarristica. Il brano è suonato interamente con le dita tramite un suono clean aiutato dal riverbero dell'Alesis e le dinamiche passano da pianissimi quasi impercettibili (soprattutto in alcune versioni live) a note suonate con vigore.

Jeff Buckley: appunti e trascrizioni su un chitarrista visionario

Buckley usava un capotasto al V (raramente al VI), quindi nella tablatura ricordatevi che il numero 5 indica la corda a vuoto. Abbiamo individuato tre sezioni particolarmente interessanti per i chitarristi. 
La prima sezione è l'interludio strumentale presente nella versione studio, molto probabilmente suonata solo con pollice e indice. È un susseguirsi di accordi arpeggiati sulle prime tre corde in tonalità di C (I, IV, V, VI): lasciate risuonare i vari accordi.

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La seconda sezione è una meravigliosa interpretazione chitarristica tratta da “Live in Chicago”, dove Jeff usa il tapping della mano destra, facendo durare a lungo ogni nota attraverso un sapiente vibrato e contemporaneamente suonando con l'ausilio della mano sinistra un'altra nota dando così vita a dei bicordi che a volte sono ritardati ma risolti puntualmente. Le dita di entrambe le mani si muovono quasi sempre tramite slide. Davvero una gran bella parte.

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La terza e ultima sezione riprende l'Outro della versione originale. Essendo una parte molto libera dove Jeff lasciava perdere il tactus e suonava totalmente svincolato da qualsiasi metrica musicale, abbiamo deciso di raggruppare ogni battuta con tempi differenti che rispettino i cambi dei vari accordi. La diteggiatura della mano destra usata dall'artista è molto probabilmente quella che abbiamo scritto, ovvero pollice e indice. Tempo 70 bpm (semiminima puntata)

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Non potevamo concludere questa breve panoramica sullo stile chitarristico di Jeff Buckley senza menzionare la title track “Grace”, punta di diamante della produzione del californiano.



Anche questo brano fu scritto originariamente da Lucas con il nome “Rise Up To Be” e solo successivamente Buckley scrisse la melodia e il testo. 

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Mentre Lucas suonava (e suona ancora) il brano con le dita, Buckley preferiva utilizzare il plettro. Tra l'altro l'artista, partendo dal canovaccio di Lucas, rese più personale il voicing degli accordi infarcendoli di corde a vuoto senza però tralasciare i bassi (a partire da batt. 16). Il brano si può inscrivere all'interno di E dorico, pur presentando vari cromatismi e modulando brevemente in       F dorico nell'Intro e D maggiore nel celebre riff. Tempo 64 bpm (semiminima puntata)

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