A volte accade nell'establishment musicale che dei dischi vengano registrati in fretta e furia per assolvere a doveri contrattuali e che la produzione di un disco da parte di due nomi blasonati sia una sorta di escamotage per vendere qualche copia in più, non badando alla sostanza musicale.
Precisiamo subito che non è il caso di questo disco. Stiamo parlando del frutto di quattro anni di scambi di idee musicali tra due artisti con la A maiuscola, amici da tempo ed entrambi residenti da decenni in California, che hanno “dato alla luce” sette tracce variopinte e ricche di fascino.
Le poliedriche figure di Corrado Rustici, produttore tra i più apprezzati e premiati del panorama internazionale, ma allo stesso tempo chitarrista fusion visionario e virtuoso, e quella di Peppino D'Agostino, intoccabile chitarrista acustico che vanta la collaborazione con i più blasonati maestri della seicorde (ma non solo) e una pletora di dischi all'attivo, hanno sempre manifestato una spiccata musicalità in qualunque loro prodotto, mai sacrificata a scapito della loro maestria tecnica. “For the Beauty of This Wicked World” non fa eccezione, e si presenta come un disco ricco di scenari sonori diversi. Stiamo parlando di un prodotto dal sound moderno dove la chitarra è sì sempre presente ma non per forza in prima linea; il pericolo dello stantio schema del tema suonato sulla seicorde seguito da assoli vertiginosi su e giù per la tastiera viene aggirato in modo splendidamente ragguardevole. Nei sette brani, prodotti da Rustici a San Francisco, troviamo jazz fusion, progressive, new wave, brani pop cantati, dove le influenze dei due italoamericani vengono mescolate e strutturate in un caleidoscopio musicale di altissimo livello. Le note d'apertura dell'opening track “Oumuamua” non ammettono repliche con la loro austerità e incisività per poi svilupparsi in un malinconico tema di respiro prog. In questo brano il duo si fa accompagnare da Jeff Campitelli alla batteria, celebre per aver lavorato con Joe Satriani per più di due decenni. Il drummer americano dona alla traccia un elemento di vigoroso rock che non si troverà altrove in quest'album. La composizione in questione vede anche la presenza di George Brooks, già al servizio del compositore minimalista Terry Riley, che doppia con il suo saxofono il tema esposto dalla chitarra di Rustici. L'alchimia tra il sassofonista e il chitarrista partenopeo si apprezza anche nel tema del brano “XXVI-118-120”, composto dal duo italoamericano insieme allo stesso Brooks. La particolarità di questa traccia, che è la più lunga del disco (6:36) e il cui titolo si riferisce ai versi che vanno dal 118 al 120 del ventiseiesimo canto dell'inferno dantesco, sta nel perfetto connubio di atmosfere rarefatte, suonate da D'Agostino mediante fitti arpeggi di matrice classicheggiante o lunghi accordi lasciati vibrare nell'atmosfera e il ritmo jungle di un drum sequencer che sostiene il tutto. Eterei arpeggi suonati dalla seicorde acustica Seagull, entrambi in tempo ternario, aprono le danze ai pezzi più pop del disco “The Knife of Love” e la title track “For the Beauty of This Wicked World”. Pop raffinatissimo, s'intende, dove la voce di Rustici bene interpreta testi pregni di considerazioni riguardo ai gravi problemi che affliggono la nostra attualità.
Si passa da profonde speculazioni filosofiche riguardanti il relativo assopirsi delle nostre emozioni in quest'epoca fino alla tragedia dei profughi e dell'immigrazione rappresentati nella figura di una donna che tenta, senza riuscirci, di nuotare verso lidi migliori. In entrambi i brani troviamo dei toccanti assoli di Rustici che con sapienza accosta melodia cantabile e virtuosismo trascendentale intriso di note outside che colpiscono per equilibrio nella stesura e nella bellezza d'esposizione. Oltre a questa caratteristica, il suono chitarristico attuale di Corrado è pressoché unico nel panorama internazionale, ricco di frequenze basse e “arioso”, senza attacco, merito del pedale progettato su sue specifiche da DVMark. “...3-2-1... A Tribute” è un breve tributo al genio impareggiabile di John Coltrane.
I nostri suonano all'unisono un tema mozzafiato per singolarità di intervalli e velocità d'esecuzione che ricorda vagamente “Countdown”. Se il tema è una versione iper moderna del Coltrane modale, la ritmica abbraccia sonorità modernissime, di carattere perlopiù funky, che nulla hanno a che fare con l'hard bop. L'inusuale “Ice Sculptures” scritta da Pietro D'Agostino, fratello di Peppino, è un brano fortemente evocativo, quasi marziale nella scansione ritmica. Un brano che si scopre lentamente e si apprezza nella sua interezza dopo più ascolti. Ricorda certe atmosfere pre new wave anticipate da Brian Eno nelle tracce strumentali della trilogia berlinese del Duca Bianco. Molto interessante inoltre l'uso della midi guitar da parte di Peppino. La vena malinconica e contemplativa, leitmotiv di fondo dell'intero album, si ritrova anche nella conclusiva “Ocean Planets”. La composizione si apre con uno splendido arpeggio che alterna il tempo di 5/4 e 7/4 e si appoggia su una ritmica da musica elettronica per poi sfociare in una sezione dal sapore vagamente spagnoleggiante (suonata da D'Agostino sulla 12 corde) all'interno della quale si staglia l'ultima fatica solistica di Corrado. La sensazione dopo l'ascolto di questo album è che sia stato realizzato qualcosa di molto raro nell'ambiente della sei corde. Il sound moderno, ricco di influenze diverse, è parte attiva e vero punto di svolta nell'arrangiamento e nell'assimilazione di queste composizioni che vedono nelle due sonorità chitarristiche proposte un mezzo totalmente calato nell'offerta musicale e non lo scopo precipuo. “For the Beauty of This Wicked World” è in conclusione un disco prezioso, che nutre chi ha sete di novità. Non dovrebbe mancare nella discografia di tutti gli amanti della buona, in questo caso eccellente, Musica.
|