di redazione [user #116] - pubblicato il 25 aprile 2020 ore 07:30
Carl Verheyen è un sessionman universalmente apprezzato per la vastità del suo linguaggio musicale. Su quello che serve nel blues, ha un’idea ben precisa.
Sapersi muovere tra gli accordi è la base per qualsiasi musicista. Avere una buona conoscenza di scale e arpeggi permette a un solista di portare a termine degnamente un chorus improvvisato. Ma contare sul giusto bagaglio di frasi e cliché propri di un genere può essere la spezia che manca per un assolo ben riuscito.
Il blues è un genere sconfinato e ricco di sfumature. Innumerevoli musicisti hanno rigirato e stravolto la forma blues tirando fuori l’impossibile da tre accordi, eppure anche i più grandi cadono nella riconoscibilità di una struttura, di una serie di abitudini che rendono le loro improvvisazioni in un certo senso “prevedibili”.
“Se ascolti Albert King, è come se suonasse lo stesso assolo in ogni canzone, ma è così potente che lo adori!” ci ha spiegato Carl Verheyen.
L’occasione per affrontare l’argomento si è presentata parlando di Essential Blues, il suo disco di standard blues registrato in tempi record. Ecco cosa ci ha raccontato Carl del lavoro.
Carl Verheyen:L’ho registrato in tipo tre giorni, praticamente dal vivo. L’intenzione iniziale era fare una compilation di brani blues provenienti dai miei vecchi dischi e registrare solo due nuove canzoni, ma il produttore mi ha proposto: “perché non fare come i Rolling Stones? Partire e registrare un disco intero in tre giorni?” Il progetto sarebbe quindi stato di avere il prodotto finito in un mese, e così è stato. Ho pensato che se avessi registrato brani nello stile del Delta, di Chicago, del Texas, country, blues britannico… ne sarebbe venuto fuori un album davvero variegato. È tutto si è svolto davvero in fretta! Abbiamo cominciato a registrare di lunedì alle 3 del pomeriggio e abbiamo fatto due canzoni, il giorno dopo cinque canzoni, e il giorno dopo ancora le altre.
Accordo: Lavorando così, immaginiamo ci sia stato davvero poco tempo per scrivere parti e fare take addizionali… CV:Abbiamo fatto qualche take aggiuntiva, ma erano praticamente tutte prime take, buona la prima. È quella che io amo chiamare “la take della scoperta”, perché è quella in cui analizzi sul momento ciò che accade, pensi “stiamo passando su un G7, ecco cosa posso fare”. Invece nella seconda take te lo aspetti, pensi “quel G7 arriverà tra un po’, ci farò questa cosa qui”. La prima take è estemporanea, coglie l’attimo, e spesso è la cosa migliore. Va detto che avevo suonato a lungo in passato molti dei brani che avremmo registrato. E in generale… è blues!
La riflessione che ne è seguita riguarda l’importanza di avere un repertorio solistico all’altezza, di quanto padroneggiare il linguaggio sia fondamentale a sfangarla nel genere, sfoderando quelli che Verheyen chiama “i template del blues”.
Che sia tutto davvero lì?